venerdì 1 maggio 2015

ILVA, I 7 PECCATI CAPITALI DELLA POLITICA A GETTONE

Mentre i tarantini soffrono Da Berlusconi a Renzi, passando per i tecnici ed Enrico Letta: i vari governi hanno sempre garantito la produzione dell’acciaio a discapito della salute dei cittadini e salvaguardando gli interessi del padrone, quella famiglia Riva al centro degli scandali. Il tutto condito dal ricatto: convivere col rischio malattia pur di avere uno stipendio

CALL CENTER: PAGATI 2,50 EURO L’ORA ”Guadagno 2,50 euro all’ora. E si parla di un au- mento a 3,60. Poi, c’è chi lavora 3 ore al giorno e chi anche 6. A raccontarlo sono i lavoratori di un call center di Taranto alla Slc Cgil. “Non c’è limite al peggio - ha commentato Andrea Lu- mino, segretario della Slc Cgil di Taranto - il call center lavora per un colosso della telefonia”
di Francesco Casula TarantoÈ una storia di regali, omissioni e silenzi quella che lega lo Sta- to italiano all’Ilva di Taranto. Un racconto che negli ultimi anni, attraverso ben sette de- creti ad aziendam, spiega in modo emblematico come gli ultimi governi di tutti gli schieramenti abbiano cercato di salva- guardare a ogni costo la produzione d’acciaio nella fabbrica, a discapito della salute dei citta- dini di Taranto. Una storia che comincia ben pri- ma dell’estate 2012 quando la magistratura io- nica pose sotto sequestro sei impianti dell’Ilva. Nel 2010 arriva il primo dono: la Prestigiacomo alza i limiti Il primo decreto “salva Ilva”arriva nell’estate 2010. Nella città dell’Ilva i dati inquietanti sulle emissioni di benzo(a)pirene hanno messo l’Ilva nell’angolo. Il primo dono arriva dal ministro dell’Ambiente del governo di Silvio Berlusconi, Stefania Prestigiacomo, che decreta per legge l’innalzamento dei limiti per questo inquinante cancerogeno nelle città con un numero di abi- tanti superiore ai 150 mila abitanti. La bufera che porta la fabbrica dei Riva alla ri- balta nazionale giunge nell’estate 2012 quando la procura guidata da Franco Sebastiochiede e ot- tiene dal gip Patrizia Todisco il sequestro senza facoltà d’uso dell’area a caldo della fabbrica, ri- tenuta responsabile delle emissioni che secondo gli esperti generano “malattia e morte”. Nello stesso giorno l’allora ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, pur rappresentando un dicastero considerato parte lesa per l'inquinamento della fabbrica, annuncia il ricorso al riesame per dis- sequestrare gli impianti, pur non avendo nessun titolo per farlo. Sempre quel giorno vara il de- creto con il quale stanzia 336 milioni di euro de- stinati sulla carta “per il risanamento ambientale e la riqualificazione del territorio della città di Taranto”. Qualche mese più tardi lo stesso Clini vara un nuovo provvedimento che consente all’Ilva di produrre indisturbata per i successivi 36 mesi in attesa di adeguare gli impianti inquinanti alle di- sposizione della nuova Autorizzazione integrata ambientale (Aia). I magistrati tarantini solleva- no la questione di legittimità costituzionale del decreto, ma la Consulta dà ragione al governo. Da quel momento l’inquinamento èa norma di legge:si puòprodurre acciaioascapito dellasa- lute di operai e cittadini di Taranto. Il governo di Mario Montinomina un “garante per l’Ilva”: ver- rà soppresso pochi mesi dopo la sua istituzione. Da Monti a Letta: nuovo governo, ma la musica resta la stessa Il governo Monti viene sostituito da quello di Enrico Letta, ma la musica per i tarantini non cambia: l’emergenza Ilva continua a essere af- frontata a colpi di decreti. Il nuovo ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, dopo il com- missariamento dell’industria dei Riva nomina Enrico Bondialla guida della società, lo stesso che qualche mese prima, proprio i Riva, avevano no- minato amministratore straordinario. Alla base della decisione, la necessità di “sostituire gli or- dinari organi di gestione della società Ilva Spa con una struttura commissariale straordinaria, che perseguirà gli stessi obiettivi, escludendo ipotesi di espropriazione o nazionalizzazione
dell’azienda di Taranto”. Qualche mese più tardi, con il decreto legge sulla Terra dei Fuochi, Bondi ottiene dal governo il potere di aumentare il capitale sociale dell’Ilva Spa, chiedendo al gruppo Riva di partecipare e, in caso di rifiuto, il commissario potrebbe ricor- rere a investitori terzi o chiedere all’autorità giu- diziaria lo svincolo del tesoretto da oltre 1 mi- liardo di euro sequestrato ai Riva dalla procura milanese in un’altra inchiesta giudiziaria. Nell’agosto 2013, il governo Letta, attraverso un
emendamento, concede all’Ilva l’autorizzazione a smaltire i rifiuti della produzione nelle disca- riche interne allo stabilimento. Un nuovo regalo del governo che consente all’Ilva di risparmiare milioni di euro. Per lo stesso motivo, nel maggio dello stesso anno, era stato arrestato l’allora pre- sidente della Provincia di Taranto, Gianni Flo- rido, accusato di aver fatto pressioni sui dirigenti per rilasciare il via libera all’azienda dei Riva. La questione Taranto passa infine nelle mani del nuovo governo di Matteo Renzi, che per man-
tenere quella che poi sembra una “tradizione”, varaun nuovodecretosalvaIlva. Inpompama- gna, il premier e il suo ministro Gianluca Galletti, annunciano che l’Ilva entrainamministrazione controllata: a capo della struttura c’èPietro Gnu- diche nel frattempo aveva sostituito Bondi come commissario straordinario. Il provvedimento di Renzi è aspramente criticato da Giorgio Assen- n a to , direttore dell’Agenzia regionale ambiente (Arpa), a causa dell’allungamento dei tempi di adeguamento all’Aia: l’Ilva può continuare a produrre e quindi a inquinare senza che la pro- cura possa intervenire per salvaguardare il di- ritto alla salute di operai e abitanti di Taranto. Non solo. Il nuovo decreto prevede garanzie per il prestito ponte concesso dalle banche per il ri- sanamento ambientale:il denarodegli istitutidi credito, quindi, viene garantito rispetto al cre- dito dei dipendenti, dei fornitori e persino dell’eventuale risarcimento alle vittime. Già, perché il nuovo provvedimento di Renzi con- senteai legalidell’azienda, cheè inamministra- zione straordinaria, di evitare all’Ilva il paga- mento degli eventuali risarcimenti, in caso di condanna nel procedimento penale che intanto ha preso il via nel tribunale di Taranto. Un sì del ministero e 2 miliardi di euro potremmo doverli pagare noi E mentre a distanza di anni i tarantini aspettano l’avvio delle bonifiche, i regali potrebbero non esserefiniti. Pochigiornifagli avvocatidell’Ilva hanno chiesto al ministero l’autorizzazione a patteggiare per uscire definitivamente dal pro- cedimento: gli avvocati dell’Ilva sarebbero di-
sposti a pagare sulla carta una multa da 3 milioni di euro e la confisca di 2 miliardi di euro come profitto del reato. Solo sulla carta, però, visto che in realtà la multa finirebbe nella massa passiva dell’Ilva che intanto è giuridicamente fallita e il denaro per pagare i 2 miliardi di risarcimento l’azienda dovrebbe ricorrere a obbligazioni ga- rantite dallo Stato e ai soldi sequestrati a Milano alla famiglia Riva. Denaro dei cittadini, quindi, che in realtà non verrebbe nemmeno confiscato, ma semplicemente vincolato così come prescri- ve il piano ambientale varato dal governo. Lo stesso piano di risanamento che, dal 2012 a oggi, la politica ha dilatato: spostando sempre in avan- ti itermini per ilrisanamento degliimpianti in- quinanti, mentre i tarantini continuano ad at- tendere. L’eventualepatteggiamento, però,por- terebbe con sé anche l’ammissione delle respon- sabilità dell’Ilva: una mossa che darebbe ragione ai giudici di Taranto dapprima tacciati di “ta- lebanismo giudiziario”e poi obbligati dalla legge anonintervenire.Per oraèsoloun’ipotesi, per- ché nel frattempo potrebbe arrivare il tempo per un nuovo decreto e un nuovo regalo.

il fatto quotidiano 1 maggio 2015

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