sabato 22 novembre 2014

Ilva, Vendola non vuole gli ambientalisti. Sel nè ecologia nè libertà, solo il potere sinistro

I LEGALI DEL GOVERNATORE CHIEDONO L’ESCLUSIONE DAL PROCESSO DI VERDI, LEGAMBIENTE, WWF, PAECLINK E COMITATI
L’ALTRO PROCESSO
A Taranto già
condannati ventisette
dirigenti dell’azienda
per la morte
di 28 operai, affetti
da mesotelioma
di Francesco Casula
Taranto
Arriverà nei prossimi giorni la decisione del
giudice Vilma Gilli che dovrà valutare le oltre
mille richieste di risarcimento presentate nei
confronti dell’Ilva di Taranto, delle altre due società
dell’impero dei Riva e dei 49 imputati coinvolti
nell’inchiesta “ambiente svenduto”.
Nell’udienza di ieri, infatti, accusa difesa e parti
civili si sono dati battaglia per
l’esclusione o l’ammissione delle
numerose richieste giunte sul
tavolo del giudice e che, complessivamente
ammontano a oltre
30 miliardi di euro. La procura,
ad esempio, ha chiesto di
escludere la costituzione di parte
civile di associazioni ambientaliste
nei confronti delle società
giuridiche imputate, mentre il
legale di Nichi Vendola, il governatore
di Puglia accusato di
concussione, ha chiesto al magistrato
di non accogliere la richiesta di costituzione
presentata da Verdi, Legambiente, Wwf,
Peacelink, Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi
e pensanti e altre associazioni ambientaliste.
L’UDIENZApreliminare, quindi entra nel vivo pochi
mesi dopo la chiusura in primo grado di un
altro processo epico contro lo stabilimento siderurgico
al termine del quale furono condannati 27
ex dirigenti accusati di omicidio colposo per la
morte di 28 operai affetti da mesotelioma
pleurico contratto per
l’esposizione all’amianto presente
nella fabbrica di Taranto.
Una problematica che “non ha
mai superato il piano dell’orali -
tà” dato che nessun dirigente
Italsider (nome della fabbrica
durante la gestione statale) o Ilva
ha mai adottato un provvedimento
concreto volto a migliorare
le condizioni di lavoro legate
all’amianto”. Nelle 268 pagine
il giudice Simone Orazio ha
chiarito inoltre che “questa situazione di consapevole
e lucida omissione si è perpetrata per decenni,
essendo sotto gli occhi di tutti nel senso che
l’inerzia è stata maturata e voluta sia da coloro che
avevano ruoli operativi e che pertanto erano a conoscenza
delle inaccettabili condizioni in cui costringevano
a lavorare i dipendenti sia da parte di
coloro che avevano responsabilità manageriali,
gestionali e di controllo finanziario data l’assenza
di alcuno stanziamento al riguardo”. Insomma i
vertici della fabbrica, pubblica e privata, erano
perfettamente a conoscenza della situazione, ma
nessuno si è attivato. Anzi. Le malattie che hanno
ucciso gli operai potevano essere evitate o quanto
meno individuate per tempo. Nella sentenza, infatti,
si legge che l’azienda non ha mai disposto
visite mediche idonee che avrebbero consentito di
diagnosticare una patologia (placche pleuriche)
che poteva essere un campanello d’allarme per il
mesotelioma” e avrebbe “obbligato il datore di lavoro
a non esporre più il lavoratore”alle fibre cancerogene
e quindi “sottraendolo al pericolo di
morte”. Gli operai, perciò, potevano essere salvati.
Quello che è accaduto a Taranto, quindi, “non è il
frutto di un singolo incidente, di un fatto episodico
coincidente con una svista o con una omissione
o con una decisione superficiale dei vertici in
materia di sicurezza sui posto di lavoro”, ma la
drammatica conseguenza di “una logica di organizzazione
dei fattori produttivi” di “una pianificazione
delle linee di politica del lavoro e della
salute del lavoratori” determinate dalla mirata
scelta compiuta dai vertici con la colpevole complicità

del loro collaboratori”. Pag. 7 Il fatto quotidiano 22 novembre 2014

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