domenica 26 gennaio 2014

27 gennaio giornata della memoria: Ma i razzisti dopo Mussolini e fascismo ci sono ancora: vedi la Lega

Ma i razzisti ci sono
ancora: vedi la Lega
GLI INSULTI ALLA KYENGE, QUELLI A LERNER, L’ALLEANZA CON MARINE LE PEN:
UN’INTERVISTA DELL’82 PER RICORDARE QUELLO CHE IN TROPPI RIMUOVONO
Il 27 gennaio 1945 le truppe
dell’Armata Rossa entrarono
nella città polacca di
Oswiecim e scoprirono il
campo di concentramento più
tristemente noto con il nome di
Auschwitz. I soldati sovietici trovarono
una montagna di cadaveri,
ma anche qualche superstite, la
cui testimonianza fece scoprire al
mondo, per la prima volta, l’or -
rore del genocidio nazista, strumenti
di tortura e di annientamento:
i forni crematori. È importante
non dimenticare il passato
ma i fatti ci dimostrano invece
che dimenticare è molto facile.
Nella “Bell’Italia” esiste un partito,
la Lega, che senza giri di parole
mette alla gogna il ministro della
Repubblica Kyenge, prima paragonandola
a un orango tango per
il colore della pelle, poi pubblicando
su La Padania i suoi impegni
pubblici perché i “padani” sap -
piano dove poterla contestare; il
poco onorevole Bonanno dà dell’ebreo
a Gad Lerner perché aveva
definito il suo gesto di presentarsi
in Parlamento con il volto dipinto
di nero, un atto nazista; il segretario
Salvini annuncia che alle
Europee di maggio la Lega sarà
alleata con il partito xenofobo di
estrema destra Front National di
Marine Le Pen. L’intervista di Enzo
Biagi che il Fatto Quotidiano
pubblica alla vigilia del “Giorno
della Memoria” – istituito per
non dimenticare le vittime dell’Olocausto
e in onore di coloro
che, rischiando la propria vita,
hanno protetto i perseguitati – è
allo scrittore Primo Levi, uno dei
pochi sopravvissuti ad Auschwitz.
L’intervista andò in onda
su RaiUno l’8 giugno 1982 nel
programma Questo secolo: 1935 e
dintorni, viaggio negli anni che contano
.
Quando Mussolini cambiò idea
e gli italiani divennero ariani
Levi, nato a Torino nel ’19, fu partigiano
nel Partito d’Azione in
Val d’Aosta. Nel dicembre del
1943, insieme a due compagni,
venne preso dai fascisti. Prima deportato
nel campo di concentramento
di Fossoli, a Carpi, poi, il
22 febbraio del ’44, insieme ad altri
650 ebrei, fu sbattuto dentro un
treno merci con destinazione Auschwitz.
Solo in 22 si salvarono.
L’esperienza del campo di concentramento
può venire superata
e resa indolore, addirittura resa
utile come tutte le esperienze della
vita. Ma non si cancella mai”,
scrisse Levi. L’esperienza vissuta
ad Auschwitz la raccontò nel libro
Se questo è un uomo, pubblicato per
la prima volta nel 1947.
Biagi e Levi si conobbero quando
lo scrittore piemontese con La tregua,
in cui raccontò il viaggio di
ritorno dal lager nazista, vinse,
nel 1963, la prima edizione del
Premio Campiello. Biagi lo volle
conoscere perché aveva letto Se
questo è un uomo, ed era stato molto
colpito per la narrazione
asciutta, piena di particolari, realista.
Il libro, ripubblicato da Einaudi
nel 1956, aveva avuto un
grande successo.
Il Giorno della Memoria ci riporta
alla mattina del 1938, quando
in Italia tutto iniziò. Allora Biagi,
diciottenne, lavorava già in una
redazione. I quotidiani, ha ricordato
più volte il grande giornalista,
per disposizioni ricevute dal
regime uscirono con questo titolo:
Le leggi per la difesa della Razza”.
Il fascismo voleva mettersi al
passo con i camerati di Berlino.
Gli italiani furono invitati, inizialmente
attraverso la stampa, a
considerare, che tranne una piccola
minoranza, appartenevano
alla razza ariana. “Era un privilegio,
per la verità, del quale nessuno
si era mai preoccupato, Mussolini
compreso”, disse Biagi nella
presentazione dell’intervista.
Nel 1934 ricevendo uno dei capi
del sionismo internazionale, alla
presenza del rabbino di Roma,
parlando del Führer, il Duce affermò,
a proposito degli ebrei: “Il
signor Hitler è un imbecille e un
cialtrone fanatico, ascoltarlo parlare
è una tortura, un giorno non
ci sarà più traccia di lui, gli ebrei
saranno sempre un grande popolo,
Hitler è una cosa da ridere non
lo temete e dite alla vostra gente di
non averne paura”. Mussolini che
aveva amato una ragazza ebrea,
Margherita Sarfatti, non era, inizialmente,
frenato da pregiudizi,
cambiò per convenienza, come
tante altre volte, opinione.
La sopravvivenza vissuta come
colpa e il suicidio
Il 6 ottobre 1938, i 60 mila cittadini
italiani di religione ebraica
seppero che per loro stava cominciando
una nuova persecuzione.
Il Gran Consiglio stabilì che erano
proibiti i matrimoni misti, gli
ebrei non dovevano avere industrie
con più di 100 dipendenti, né
terreni che superassero un certo
valore, né domestici ariani, niente
servizio militare, niente radio,
niente nome sull’elenco del telefono,
niente annunci funebri. Li
ributtarono ancora una volta nel
ghetto. In Italia 200 professori
persero la cattedra, 23 mila professionisti
perdettero il lavoro,
150 tra ufficiali e sottufficiali vennero
congedati, chiusi i portoni
delle scuole, che erano di tutti, per
6 mila studenti.
Venne diffuso il Manifesto della
Razza a firma di dieci illustri
scienziati nel quale si affermava:
Gli ebrei non appartengono alla
Razza italiana”. L’11 aprile 1987
Levi morì suicida. Ferdinando
Camon nel libro Conversazione con
Primo Levi ha scritto: “Dopo Auschwitz
lui non viveva ma sopravviveva,
che vivere ancora per lui è
una colpa, che sulla Terra non c’è
spazio per le vittime dello Sterminio
e per chi lo nega”
il fatto quotidiano 26 gennaio 2014

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