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Ascolta il podcast del Fatto di domani. “Mi dimetto con effetto immediato da sottosegretario, lo comunicherò nelle prossime ore alla Meloni”, ha annunciato il critico durante l’evento “La Ripartenza” organizzato da Nicola Porro a Milano. Di motivi per lasciare, dopo gli scoop del Fatto e di Report, Sgarbi ne aveva a iosa. Basti citare l’ultimo episodio: l’augurio di morte ai cronisti Thomas Mackinson e Emanuele Bonaccorsi, con la minaccia di “tirarsi fuori l’uccello” e la mano pronta sulla cerniera. Il sottosegretario lascia l’incarico ma si dipinge come un “perseguitato dai media”. Di scuse ai giornalisti, neanche a parlarne: “Non mi devo scusare con nessuno, ho espresso le mie imprecazioni come fa chiunque”, ha attaccato Sgarbi nel suo stile. Del resto, ha aggiunto, “il giornalista non morirà per questo”. Sulla testa del critico pendeva già una mozione di sfiducia: la Camera avrebbe dovuto votare il ritiro delle deleghe, dopo rinvii e fughe delle destre, il 15 febbraio. Giorno non casuale: entro quella data, l’Autorità garante del mercato e della concorrenza (Agcm) avrebbe dovuto pronunciare il verdetto sulle conferenze a pagamento del sottosegretario (almeno 33 per 900 mila euro di compensi). Secondo Adnkronos, invece, il giudizio ufficiale arriverà già lunedì prossimo. Le destre speravano di scaricare sull’Autorità il fardello delle dimissioni di Sgarbi, evitando il voto di sfiducia. Ma il sottosegretario ha anticipato tutti, alludendo ad un documento dell’Agcm che anticiperebbe il verdetto di incompatibilità: “L’Antitrust ha mandato una molto complessa e confusa lettera dicendo che aveva accolto due lettere anonime, che ha inviato all’Antitrust il ministro della Cultura, in cui c’era scritto che io non posso fare una conferenza da Porro”. Il critico ha bollato il ministro Sangiuliano come “un uomo senza dignità” – per aver spedito all’Autorità le missive senza nome – e ha annunciato il ricorso al Tar contro l’Agcm. Su Sgarbi pesano anche le inchieste della magistratura. È indagato a Macerata per riciclaggio di beni culturali: l’inchiesta riguarda il dipinto rubato di Rutilio Manetti. La procura di Imperia invece indaga su di lui per l’esportazione illecita del Concerto con bevitore, dipinto di Valentin de Boulogne. Vale milioni, ma l’autista di Sgarbi l’avrebbe comprato in nero per 10 mila euro. I TRATTORI SPACCANO (ANCHE) LA DESTRA DI GOVERNO. LA LEGA SOLIDARIZZA, LORO SE LA PRENDONO CON LOLLOBRIGIDA. Ieri a Bruxelles, oggi a Melegnano, hinterland milanese. Ma anche a Ragusa, Crotone, Tarquinia. La protesta degli agricoltori è arrivata anche l’Italia, pure se in proporzioni minori rispetto ad altri Paesi Ue. Ma non per questo la sfida per la politica è meno problematica. “Porteremo la protesta a Roma. Nei prossimi giorni ammasseremo i trattori fuori dalla città. Non ci saranno blocchi, ma sicuramente disagi: ci aspettiamo migliaia di adesioni da tutta Italia”, ha minacciato Danilo Calvani, agricoltore della provincia di Latina, ex capofila della protesta dei Forconi e oggi molto attivo nel presentarsi sui predellini dei trattori. Ieri una delegazione di trattori è arrivata fin sotto la regione Lombardia. Il presidente di Regione, Attilio Fontana, ha espresso solidarietà in una nota. Ma gli agricoltori ce l’hanno anche con il governo e con il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, che del resto non ha battuto ciglio quando in finanziaria è stato deciso di aumentargli le tasse, nello specifico abolendo la proroga per i benefici fiscali sull’Irpef agricola. Il principale partito di governo è in difficoltà con questa protesta, mentre la Lega ha buon gioco a soffiare sul fuoco, sperando di capitalizzare in termini elettorali. E forse, come vedremo sul Fatto di domani, anche di indebolire l’alleato-rivale meloniano. Le proteste proseguono intanto anche in Belgio e in Francia, anche se un sindacato ha annunciato la sospensione dei blocchi dopo le concessioni fatte dal governo Attal. GOVERNO IN PANNE SU STELLANTIS: UN MINISTRO CONTRO L’ALTRO. “Dobbiamo intenderci: se a dicembre la Volkswagen ha superato nelle vendita in Italia Stellantis, a fronte di condizioni di mercato e incentivi simili, il problema non è del governo ma dell’azienda”. In mattinata il ministro Urso sgancia una nuova bomba, dopo giorni di tensioni tra il gruppo automobilistico e il governo, e ribadendo che “dal prossimo anno tutte le risorse del Fondo automotive andranno non più a incentivare i consumi, ma la produzione. Quindi chi produce o chi intende produrre di più nel nostro Paese. Per esempio una seconda casa automobilistica”. E mentre da opposizioni e sindacati piovono critiche alla strategia (?) dell’esecutivo, Giorgetti mette un altro paletto: “Lo stato in Stellantis? Io entrerei invece in Ferrari”. Una battuta pungente in risposta all’ipotesi avanzata dallo stesso ministro delle Infrastrutture. Segno che nel governo ognuno va da se. E in questo caos Stellantis – che ricordiamolo nei primi 6 mesi del 2023 ha totalizzato 11 miliardi di profitti – la fa da padrona, ricattando il governo. Sul Fatto di domani il racconto di cosa sta succedendo. MEDIO ORIENTE, HAMAS: “TREGUA IMPOSSIBILE SENZA LA FINE TOTALE DEI COMBATTIMENTI”. 800 FUNZIONARI USA ED EUROPEI CONTRO ISRAELE: “STRAGE DI CIVILI ERA EVITABILE”. Sono trascorsi 119 giorni di conflitto, dopo che il 7 ottobre, Hamas ha compiuto un massacro nello Stato ebraico, uccidendo 1.200 persone e rapendo più di 300 ostaggi. A Parigi, nei giorni scorsi, funzionari americani, assieme ad egiziani ed emissari del Qatar, hanno studiato come mettere in atto una tregua, dopo quella di novembre scorso. Secondo indiscrezioni, la pausa dovrebbe permettere il rilascio di 35 persone, per altrettanti di cessate-il-fuoco. In linea di massima, Israele è concorde, anche se il premier Netanyahu rifiuta l’eventualità che il suo esercito si ritiri dalla Striscia in modo totale. Hamas oggi ribadisce che non è possibile prendere in considerazione la tregua se non ci sarà una fine permanente dei combattimenti. Inoltre, in cambio degli ostaggi israeliani, Hamas chiede il rilascio di centinaia di palestinesi, tra cui Marwan Barghouti, il leader di Fatah che è stato condannato a cinque ergastoli. Non ci stanno, però, ad aspettare oltre, i parenti degli ostaggi ancora nei tunnel di Gaza. Secondo Tel Aviv, si tratta di 109 persone; ci sono poi 27 corpi di cui si chiede la restituzione. “120 giorni sottoterra senza aria: gli ostaggi sono in pericolo mortale”. Questo lo slogan che sarà gridato domani sera nella manifestazione annunciata dal Forum delle famiglie, in programma a Tel Aviv; i parenti chiedono che si firmi un accordo, a qualunque costo, per riavere i propri cari. La contestazione nei confronti del premier Netanyahu per come ha condotto il conflitto arriva anche dall’Occidente. Oltre 800 tra diplomatici e funzionari americani ed europei hanno sottoscritto un documento in cui accusano Israele di “gravi violazioni del diritto internazionale”, chiedendo ai rispettivi governi una reazione più decisa. Altrimenti c’è “il rischio di rendersi complici di una delle più gravi catastrofi umanitarie del secolo”. Nel testo si accusa Israele di “non avere limiti” nelle sue operazioni militari a Gaza: operazioni che hanno già provocato “migliaia di morti civili evitabili”. Sul Fatto di domani leggerete altri particolari sulla crisi in Medio Oriente e un reportage da Rafah, dove sono ammassati i gazawi che sono stati costretti a lasciare le loro case a causa della guerra, e dove oggi l’Idf ha annunciato che espanderà la sua operazione di terra. LE ALTRE NOTIZIE CHE TROVERETE Caso Pozzolo, la perizia sulla pistola: “toccata da almeno 3 persone”. Tre persone diverse avrebbero toccato la pistola di Emanuele Pozzolo, il deputato di FdI dalla cui pistola, la notte di Capodanno alla Pro Loco di Rosazza, è partito il colpo che ha ferito Luca Campana. La relazione finale del Ris sull’arma è arrivata in Procura a Biella. Secondo quanto si apprende nessuno dei tre profili di Dna emerge come prevalente rispetto all’altro: uno appartiene a Emanuele Pozzolo, che aveva portato con sé la pistola, un altro è di Pablito Morello, caposcorta di Andrea Delmastro che aveva messo in sicurezza l’arma dopo lo sparo. Non si sa invece a chi appartiene il terzo Dna sull’arma. Conferita la laurea alla memoria di Giulia Cecchettin. L’Università di Padova ha consegnato oggi il diploma in Ingegneria ai familiari della ragazza uccisa da Filippo Turetta l’11 novembre scorso. “Hai provocato uno squarcio nelle nostre coscienze, nella mia per prima”, ha detto il padre Gino intervenendo alla cerimonia. “Nella tua breve vita sei riuscita a insegnarmi tanto e ora posso dirlo, senza che tu mi dica che non è ancora vero: complimenti ingegnera”, le parole emozionate della sorella Elena. Catturato in Corsica Marco Raduano, il boss della mafia garganica evaso dal carcere di Nuoro. La sua fuga, nel 2023, era stata ripresa dalle telecamere di sorveglianza del penitenziario di massima sicurezza: il boss, uno “spietato killer”, s’era calato con le lenzuola ed erano poi seguite due ore di “buco” prima che la sorveglianza si accorgesse della sua assenza. Ad acciuffarlo, in un ristorante di Bastia, sono stati i carabinieri del Ros guidati dal colonnello Lucio Arcidiacono, lo stesso che ha arrestato Matteo Messina Denaro. OGGI LA NEWSLETTER IL FATTO INTERNAZIONALE La “guerra” di Putin alle idee colpisce (anche) il regista de “Il Maestro e Margherita”di Michela A. G. Iaccarino “I manoscritti non bruciano” ha scritto Michail Bulgakov, ma le parole, in tempo di guerra, invece continuano a farlo. Nella guerra tra Ucraina e Russia è finito anche l’adattamento cinematografico del capolavoro “Il Maestro e Margherita”. Arrivato nei cinema della Federazione pochi giorni fa, solo nel primo weekend, il film ha incassato oltre 400 milioni di rubli, ma, dicono i media indipendenti, presto potrebbe essere ritirato o addirittura vietato perché il regista Michail Lockshin è diventato bersaglio dei blogger militari russi che sostengono il conflitto contro l’Ucraina. |
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