Il principio di precauzione è uno degli strumenti principali da utilizzare per ogni progetto che abbia impatto incerto su ambiente e salute e per il quale sia oggettivamente difficile fornire prove certe di innocuità.
Una importante e recente sentenza del Consiglio di Stato (n. 02495/2015) ribadisce ancora una volta l’utilità e l’importanza del principio di precauzione “ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa”.
Scusandomi con i giuristi per l’approssimazione della descrizione (e consigliando comunque la lettura integrale dell'atto), provo a sintetizzare gli aspetti più rilevanti della sentenza ai fini della tutela ambientale e sanitaria delle Comunità “a rischio”.
In estrema sintesi, viene richiesta dai proponenti un’autorizzazione per concessione coltivazione idrocarburi.
Questa attività potrebbe comportare rilevanti e irreversibili conseguenze ambientali e sanitarie, ben identificate dalla Commissione VIA regionale che ha esaminato la richiesta.
A fronte dei pareri positivi espressi dai Ministeri competenti, il Comitato VIA regionale esprime invece parere negativo avvalendosi, tra le altre motivazioni, del principio di precauzione per le possibili conseguenze negative dell’opera.
Il TAR Abruzzo accoglieva parzialmente il ricorso della società proponente, tra le altre motivazioni, per il “carattere di pubblica utilità dell’attività estrattiva” e respingendo per “difetto di motivazione” il principio di precauzione, indicando però alcune “regole applicative” dello stesso, da utilizzarsi in un nuovo procedimento VIA. Tra le “regole” era previsto che il proponente dovesse “fornire la prova di innocuità dell’intervento da realizzarsi”. La società promuove allora successivo ricorso al Consiglio di Stato (chiedendo anche il risarcimento per “danni patiti e potenziali”), pretendendo l’autorizzazione e contestando duramente, tra le altre cose, il Comitato VIA (chiede addirittura la sostituzione dei membri con uno o più commissari ad acta) e le “regole applicative” del principio di precauzione che “si atteggerebbe come un potere di interdizione totale”, la più comune e banale delle motivazioni solitamente addotte per contestare tale principio.
La sentenza del Consiglio di Stato conferma la validità delle conclusioni del Comitato VIA e sancisce, tra l’altro, che la decisione dei ministeri e quella del comitato VIA regionale non sono in conflitto, in quanto “alle due amministrazioni fanno capo due procedimenti autonomi a tutela di interessi distinti e non conflittuali”.
Ma l’aspetto più rilevante è che il Consiglio di Stato ribadisce la validità del ricorso al principio di precauzione sottolineando un principio fondamentale: “il richiamato principio di precauzione fa obbligo alle Autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente, ponendo una tutela anticipata rispetto alla fase dell’applicazione delle migliori tecniche proprie del principio di prevenzione. L’applicazione del principio di precauzione comporta dunque che, ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, anche nei casi in cui i danni siano poco conosciuti o solo potenziali (cfr., ex multi, Cons.Stato Sez. IV, 11 novembre 2014, n. 5525)”.
L’importanza di questa sentenza sta nel ribadire ancora una volta, pur se indirettamente, la rilevanza del concetto di PREVENZIONE PRIMARIA DEL DANNO. Troppo spesso, infatti, le Comunità si trovano di fronte alla necessità di quantificare dal punto di vista epidemiologico danni irreversibili che sarebbero stati evitabili semplicemente con il ricorso a tecniche di epidemiologia predittiva e di analisi del rischio.
In altri termini, troppo spesso si arriva troppo tardi, semplicemente perché si è ignorata la disponibilità di importanti e validati strumenti di previsione del danno, di solito proprio per la fatidica definizione di “carattere di pubblica utilità” attribuita ai progetti e brandita come se fosse un lasciapassare universalmente valido.
Ho già avuto modo di ricordare in altre occasioni che, dal punto di vista scientifico, non abbiamo bisogno di ulteriori dimostrazioni per affermare che l’ambiente è uno dei determinanti fondamentali della salute umana e che la qualità di entrambi dipende fortemente dalle scelte politiche che li coinvolgono.
Troppo spesso la politica dimentica questo semplice assunto e per fortuna, in casi come quello descritto, arrivano i giudici a ricordarlo, IN NOME DEL POPOLO ITALIANO, alle Comunità e a chi, negli enti pubblici, gestisce iter autorizzativi dai quali può dipendere il futuro della propria Comunità.
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