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lunedì 31 ottobre 2016
Frosinone. Ultimata la perimetrazione della Valle del Sacco
Si è conclusa la fase preliminare e ora si potrà procedere alla convocazione della Conferenza di Servizi decisoria e alla predisposizione del Decreto Ministeriale di approvazione definitiva del perimetro a firma dello stesso Ministro.
Lo ha ribadito, nel corso della riunione e riporto nei documenti ufficiali, L’ing. D’Aprile incaricato dal Ministero di seguire la complessa vicenda.
Alla riunione hanno preso parte tutti gli stakeholder del territorio, la Regione Lazio, la Provincia di Frosinone, i Comuni dell’area interessata, Arpa Lazio, ASI, Federlazio, Ispra, Consorzio di Bonifica di Anagni, Uninindustria, Legambiente, le unioni petrolifere.
La riunione è stata finalizzata all’illustrazione delle controdeduzioni alle osservazioni formulate dai soggetti privati nel corso della fase di consultazione sulla “Bozza di perimetrazione Revisione. 5” del Sito di Interesse Nazionale Bacino del Fiume Sacco.
“Nel corso della riunione – sottolinea il consigliere provinciale Magliocchetti – sono stati evidenziati alcuni aspetti, quali ad esempio che le attività finalizzate alla perimetrazione del SIN, sono state svolte sulla base dei criteri tecnici elaborati da ARPA Lazio con il supporto dell’Autorità di Bacino dei Fiumi Liri Garigliano Volturno, tenuto conto delle indicazioni pervenute da parte delle Amministrazioni territorialmente competenti”. Infine, nell’Accordo di Programma che disciplinerà l’utilizzo delle risorse stanziate dalla Legge di Stabilità per il SIN “Bacino del fiume Sacco”, verrà definito un cronoprogramma degli interventi prioritari sulla base delle segnalazioni trasmesse da parte della Regione Lazio, della ASL e di ARPA Lazio; nella definizione degli interventi prioritari si terrà conto delle segnalazioni pervenute (ad es: interdizione aree agricole, adozione misure di prevenzione per sorgenti attive di contaminazione, etc.). http://www.perteonline.it/2016/10/28/15066/
Lo ha ribadito, nel corso della riunione e riporto nei documenti ufficiali, L’ing. D’Aprile incaricato dal Ministero di seguire la complessa vicenda.
Alla riunione hanno preso parte tutti gli stakeholder del territorio, la Regione Lazio, la Provincia di Frosinone, i Comuni dell’area interessata, Arpa Lazio, ASI, Federlazio, Ispra, Consorzio di Bonifica di Anagni, Uninindustria, Legambiente, le unioni petrolifere.
La riunione è stata finalizzata all’illustrazione delle controdeduzioni alle osservazioni formulate dai soggetti privati nel corso della fase di consultazione sulla “Bozza di perimetrazione Revisione. 5” del Sito di Interesse Nazionale Bacino del Fiume Sacco.
“Nel corso della riunione – sottolinea il consigliere provinciale Magliocchetti – sono stati evidenziati alcuni aspetti, quali ad esempio che le attività finalizzate alla perimetrazione del SIN, sono state svolte sulla base dei criteri tecnici elaborati da ARPA Lazio con il supporto dell’Autorità di Bacino dei Fiumi Liri Garigliano Volturno, tenuto conto delle indicazioni pervenute da parte delle Amministrazioni territorialmente competenti”. Infine, nell’Accordo di Programma che disciplinerà l’utilizzo delle risorse stanziate dalla Legge di Stabilità per il SIN “Bacino del fiume Sacco”, verrà definito un cronoprogramma degli interventi prioritari sulla base delle segnalazioni trasmesse da parte della Regione Lazio, della ASL e di ARPA Lazio; nella definizione degli interventi prioritari si terrà conto delle segnalazioni pervenute (ad es: interdizione aree agricole, adozione misure di prevenzione per sorgenti attive di contaminazione, etc.). http://www.perteonline.it/2016/10/28/15066/
Sos pipistrelli delle Seychelles, un piano contro estinzione Rimasti in 50 dopo sostituzione foreste con coltivazioni cocco
Grotte anguste con ampie fessure verticali, luce scarsa e insetti per cibo: è l'habitat naturale dell'ultima colonia di pipistrelli delle Seychelles (Coleura Seychellensis), rimasti in meno di 50 a guardare la distruzione delle loro foreste sostituite dalle coltivazioni di cocco. Nel bel mezzo dell'oceano indiano, gli ultimi esemplari di questi microchirotteri sono distribuiti su due isole dell'arcipelago e contati una volta al mese dall'unica guida esperta del posto: prima che sia troppo tardi, il Parco Natura Viva di Bussolengo (Verona) in collaborazione con Green Teen Team Foundation, sta per siglare un accordo con Seychelles National Parks Authority per garantire un sostegno alla ricerca e alla conoscenza di questa specie.
"Sui pipistrelli delle Seychelles si sa davvero poco e questo non aiuta di certo le attività di salvaguardia", spiega Caterina Spiezio, responsabile del settore ricerca e conservazione del Parco Natura Viva. "Sono spariti nel giro di 50 anni quando ai primi del secolo scorso, è iniziata la corsa alle coltivazioni intensive. Eliminare il sottobosco con la deforestazione per loro è significato non trovare più gli invertebrati di cui si nutrono e fare i conti con la vite Kudzu, una pianta infestante che chiude gli accessi alle loro grotte e ne altera la temperatura". "Le prime fasi di progetto prevedranno di tamponare le emergenze: intanto affiancare all'unica guida permanente un maggior numero di esperti e aumentare le sessioni di conta. Poi, per progettare azioni più concrete, sarà necessario conoscere almeno il sesso di tutti individui e le loro abitudini alimentari". Per i pipistrelli delle Seychelles si tratta comunque di un tentativo disperato: "La preoccupazione più grande è quella di disturbare gli individui presenti nei vari siti e rischiare la perdita completa della specie", conclude Spiezio.
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"Sui pipistrelli delle Seychelles si sa davvero poco e questo non aiuta di certo le attività di salvaguardia", spiega Caterina Spiezio, responsabile del settore ricerca e conservazione del Parco Natura Viva. "Sono spariti nel giro di 50 anni quando ai primi del secolo scorso, è iniziata la corsa alle coltivazioni intensive. Eliminare il sottobosco con la deforestazione per loro è significato non trovare più gli invertebrati di cui si nutrono e fare i conti con la vite Kudzu, una pianta infestante che chiude gli accessi alle loro grotte e ne altera la temperatura". "Le prime fasi di progetto prevedranno di tamponare le emergenze: intanto affiancare all'unica guida permanente un maggior numero di esperti e aumentare le sessioni di conta. Poi, per progettare azioni più concrete, sarà necessario conoscere almeno il sesso di tutti individui e le loro abitudini alimentari". Per i pipistrelli delle Seychelles si tratta comunque di un tentativo disperato: "La preoccupazione più grande è quella di disturbare gli individui presenti nei vari siti e rischiare la perdita completa della specie", conclude Spiezio.
Terremoto, Ingv: “L’allontanamento della costa tirrenica da quella adriatica all’origine delle scosse da agosto a oggi”
Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia dopo il sisma di domenica: "Ci aspettiamo un abbassamento del suolo superiore ai 70 centimetri". Alessandro Amato spiega a ilfattoquotidiano.it cosa è accaduto negli ultimi 70 giorni
Altre diciotto scosse oltre la magnitudo 4 nelle ventiquattr’ore successive a quella principale. E un possibile abbassamento del suolo “fino a 70 centimetri”, come annuncia l’Ingv all’Ansa, ed è visibile osservando due scatti del monte Vettore apparsi sul sito geologi.it poche ore dopo il sisma. Terremoto e conseguenza di un evento che, dice Alessandro Amato, sismologo dell’Ingv, “ci ha sorpreso”. Una prima analisi dei dati da parte dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, tuttavia, lascia ben sperare perché non si tratterebbe del ‘risveglio’ di nuova faglia ma del distacco di un pezzo di quella già attivatasi a fine agosto. Uno scenario confortante sotto il profilo scientifico ma che non esclude la possibilità che esista ancora energia da liberare nel breve periodo. Tutta colpa dell’allontanamento della costa tirrenica da quella adriatica, fenomeno lento ma costante all’origine dei 70 giorni che hanno messo in ginocchio le terre al confine tra Lazio, Marche e Umbria.
Alessandro Amato, cosa sta succedendo lungo l’Appennino?
Bisogna partire da una causa remota. È in atto un processo geologico che dura da diverse centinaia di migliaia di anni: lo stiramento della crosta terrestre. L’Appennino si sta allargando, dall’Adriatico al Tirreno. Lo vediamo dal gps. Le due parti si allontanano a una velocità media di circa 5 millimetri ogni anno. Questo è il motore, gli effetti sono stati i terremoti degli ultimi due mesi, probabilmente legati alla rotazione della microplacca adriatica che spinge contro le Alpi e la parte meridionale di questa che ruota in senso antiorario. Siamo ancora nel campo delle ipotesi, questa è la più accreditata.
Bisogna partire da una causa remota. È in atto un processo geologico che dura da diverse centinaia di migliaia di anni: lo stiramento della crosta terrestre. L’Appennino si sta allargando, dall’Adriatico al Tirreno. Lo vediamo dal gps. Le due parti si allontanano a una velocità media di circa 5 millimetri ogni anno. Questo è il motore, gli effetti sono stati i terremoti degli ultimi due mesi, probabilmente legati alla rotazione della microplacca adriatica che spinge contro le Alpi e la parte meridionale di questa che ruota in senso antiorario. Siamo ancora nel campo delle ipotesi, questa è la più accreditata.
Cosa è accaduto negli ultimi due mesi?
Il processo di deformazione è continuo. Facciamo un esempio: cinque millimetri all’anno comportano nell’arco di due secoli una deformazione di un metro. Le faglie, che sono un sistema ramificato e complesso tra la Calabria e la Pianura Padana, resistono a questo ‘stiramento’ perché hanno un loro attrito. Quando però l’allargamento ‘batte’ la resistenza, queste si spostano in pochi secondi dello spazio che non avevano coperto nei due secoli precedenti. Dalla lunghezza del pezzo di faglia che si sposta dipende la magnitudo del terremoto. Ad agosto e negli scorsi giorni parliamo di una faglia di circa 20 chilometri. In Irpinia nel 1980 e ad Avezzano all’inizio del ‘900 si mosse una faglia di circa 40 km generando terremoti di magnitudo 7.
Il processo di deformazione è continuo. Facciamo un esempio: cinque millimetri all’anno comportano nell’arco di due secoli una deformazione di un metro. Le faglie, che sono un sistema ramificato e complesso tra la Calabria e la Pianura Padana, resistono a questo ‘stiramento’ perché hanno un loro attrito. Quando però l’allargamento ‘batte’ la resistenza, queste si spostano in pochi secondi dello spazio che non avevano coperto nei due secoli precedenti. Dalla lunghezza del pezzo di faglia che si sposta dipende la magnitudo del terremoto. Ad agosto e negli scorsi giorni parliamo di una faglia di circa 20 chilometri. In Irpinia nel 1980 e ad Avezzano all’inizio del ‘900 si mosse una faglia di circa 40 km generando terremoti di magnitudo 7.
Perché al confine tra Lazio, Umbria e Marche si sono avuti quattro sismi così forti in così poco tempo?
Il primo terremoto di magnitudo 6 ha provocato uno spostamento nell’ordine di al massimo un metro nella direzione sud-sud est e nord-nord ovest. Il sistema è stato seguito da tanti aftershock (sismi più piccoli nei giorni successivi, nda). Il movimento di questa faglia ha perturbato i pezzi di faglia attorno. È come se lo spostamento del 24 agosto avesse stuzzicato la faglia più vicina. Questa quindi si è probabilmente mossa prima di quanto avrebbe fatto.
Il primo terremoto di magnitudo 6 ha provocato uno spostamento nell’ordine di al massimo un metro nella direzione sud-sud est e nord-nord ovest. Il sistema è stato seguito da tanti aftershock (sismi più piccoli nei giorni successivi, nda). Il movimento di questa faglia ha perturbato i pezzi di faglia attorno. È come se lo spostamento del 24 agosto avesse stuzzicato la faglia più vicina. Questa quindi si è probabilmente mossa prima di quanto avrebbe fatto.
Parliamo dei due sismi dello scorso mercoledì?
Sì, i due terremoti di magnitudo 5.4 e 5.9 possono essere spiegati così. Perché siano passati due mesi è un’incognita: queste attivazioni successive di faglia – e ne conosciamo tante, storicamente – hanno tempi variabili. Passiamo da minuti a giorni fino a mesi, come nel caso appenninico. Tutti immaginavamo a quel punto che l’energia accumulata dalla ‘causa remota’ di cui parlavamo all’inizio fosse stata scaricata completamente.
Sì, i due terremoti di magnitudo 5.4 e 5.9 possono essere spiegati così. Perché siano passati due mesi è un’incognita: queste attivazioni successive di faglia – e ne conosciamo tante, storicamente – hanno tempi variabili. Passiamo da minuti a giorni fino a mesi, come nel caso appenninico. Tutti immaginavamo a quel punto che l’energia accumulata dalla ‘causa remota’ di cui parlavamo all’inizio fosse stata scaricata completamente.
La terrà è però tornata a tremare il 30 ottobre, con una scossa più forte di tutte le altre. Perché?
Stiamo aspettando i dati dei satelliti, che saranno probabilmente decisivi perché ci permetteranno di vedere esattamente i movimenti orizzontali e verticali. Capiremo così dove inizia e dove finisce la rottura della faglia verificatasi domenica mattina. Certo è che siamo rimasti stupiti. Siamo già sicuri, infatti, che la rottura del 30 ottobre riprende in parte quella del 24 agosto – verificatasi tra Amatrice, Accumoli e Norcia – e quella di Norcia-Visso dei giorni precedenti. L’ultimo terremoto ha avuto origine in mezzo alle altre due e ha attivato una faglia di 20-25 km, quasi 30, che vanno da un po’ più a nord dell’epicentro fino a sud, verso Amatrice. Al momento la spiegazione più plausibile è che la parte di faglia che si è mossa il 24 agosto non fosse slittata completamente, continuando nelle scorse ore il suo smottamento. Il trattamento dei dati sismologici ci ha già permesso di capire che l’ultimo evento ha la stessa direzione delle altre faglie. E se non si tratta della stessa, parliamo comunque di una parallela.
Stiamo aspettando i dati dei satelliti, che saranno probabilmente decisivi perché ci permetteranno di vedere esattamente i movimenti orizzontali e verticali. Capiremo così dove inizia e dove finisce la rottura della faglia verificatasi domenica mattina. Certo è che siamo rimasti stupiti. Siamo già sicuri, infatti, che la rottura del 30 ottobre riprende in parte quella del 24 agosto – verificatasi tra Amatrice, Accumoli e Norcia – e quella di Norcia-Visso dei giorni precedenti. L’ultimo terremoto ha avuto origine in mezzo alle altre due e ha attivato una faglia di 20-25 km, quasi 30, che vanno da un po’ più a nord dell’epicentro fino a sud, verso Amatrice. Al momento la spiegazione più plausibile è che la parte di faglia che si è mossa il 24 agosto non fosse slittata completamente, continuando nelle scorse ore il suo smottamento. Il trattamento dei dati sismologici ci ha già permesso di capire che l’ultimo evento ha la stessa direzione delle altre faglie. E se non si tratta della stessa, parliamo comunque di una parallela.
Questo vuol dire che il movimento è concluso?
Non possiamo saperlo, perché non si può calcolare quanta energia è stata caricata durante il processo geologico di cui parlavamo all’inizio. Non conosciamo tutte le faglie che ci sono e quanta resistenza hanno agli sforzi né come interagiscono tra di loro. Le incognite da questo punto di vista sono ancora molte. Il fatto che il terremoto del 30 ottobre abbia ‘ricalcato’ parte delle due faglie già attive potrebbe non essere negativo. Se si fosse ‘svegliata’ un’altra faglia sarebbe stato più preoccupante. Questo non toglie che gli ultimi eventi possano aver provocato l’attivazione di un altro pezzo della stessa faglia o di una contigua. di Andrea Tundo | 31 ottobre 2016 http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/10/31/terremoto-ingv-lallontanamento-della-costa-tirrenica-da-quella-adriatica-allorigine-delle-scosse-da-agosto-a-oggi/3142932/
Morti per amianto, a processo due ex manager dell’Atm per omicidio colposo
Secondo l’accusa, formulata dal pm di Milano Ascione due ex direttori generali dell’azienda milanese dei trasporti non avrebbero fatto nulla per salvaguardare i dipendenti dell'azienda dei trasporti milanesi da "importanti rilasci di fibre" di amianto, sostanza presente "in maniera massiccia" lungo le gallerie della metropolitana e negli altri depositi
Non avrebbero fatto nulla per salvaguardare i dipendenti Atm da “importanti rilasci di fibre” di amianto, sostanza presente “in maniera massiccia” lungo le gallerie della metropolitana e negli altri depositi dell’Atm. Il gup di Milano Ilaria De Magistris ha rinviato a giudizio due ex manager dell’azienda dei trasporti milanesi, in relazione alla morte per tumore di sei dipendenti e ai casi di altri due lavoratori che si sono ammalati per la presenza di fibre e polveri di amianto nei tunnel della metropolitana milanese e nei depositi destinati al ricovero notturno dei mezzi di superficie. Il giudice, accogliendo la richiesta del pm Maurizio Ascione, titolare dell’inchiesta, ha mandato a processo davanti all’undicesima sezione penale di Milano (prima udienza fissata per il 13 gennaio) Elio Gambini e Roberto Massetti, il primo dg di Atm dal 1988 al 1995, il secondo dal 1995 al 2001, per omicidio colposo e lesioni colpose.
Secondo l’accusa, formulata dal pm Ascione – titolare di una serie di altri procedimenti, alcuni già arrivati anche a sentenza, su ex manager di grandi aziende per morti da amianto – i tunnel della metropolitana sarebbero stati, infatti, sprovvisti di “adeguato impianto di aspirazione” e di “filtri nelle camere di ventilazione” contro le stesse fibre che sarebbero rimaste nell’aria a causa dell’intenso traffico di treni nelle gallerie. In più, si legge nel capo di imputazione, gli ex manager non si sarebbero curati della “manutenzione dei tetti in eterenit” degli hangar dove la notte venivano ricoverati i mezzi, né avrebbero disposto “la pulizia in sede degli abiti da lavoro”. Gli imputati, sempre secondo l’accusa, si sarebbero così resi responsabili di sei casi di morte per mesotelioma pleurico (un autista di bus, un elettricista, un addetto al segnalamento ferroviario della metropolitana, un meccanico incaricato della riparazione di autobus, un tecnico elettricista e un falegname) e due di lesioni. Le morti sono avvenute tra il 2009 e il 2015. L’Azienda dei trasporti milanesi nel procedimento è stata anche citata come responsabile civile per gli eventuali danni e i familiari delle persone decedute e i lavoratori ammalati si sono costituiti parti civili, così come, tra gli altri, anche Anmil, l’Associazione nazionale lavoratori mutilati e invalidi del lavoro di F. Q. | 31 ottobre 2016 http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/10/31/morti-per-amianto-a-processo-due-ex-manager-dellatm-per-omicidio-colposo-e-lesioni/3146966/
Inquinamento atmosferico, rapporto Unicef: “Aria tossica contribuisce alla morte di 600mila bambini all’anno”
In 'Clear the Air for Children' l'associazione ha stimato che sono oltre 300 milioni i piccoli che vivono in aree con i più alti livelli di inquinamento esterno, 6 o 7 volte maggiori rispetto alle linee guida internazionali dettate dall’Organizzazione mondiale della Sanità
Ogni anno l’inquinamento contribuisce alla morte di 600mila bambini sotto i 5 anni, mentre sono 300 milioni nel mondo, uno su sette, quelli che respirano aria tossica perché vivono in aree con i più alti livelli di inquinamento esterno, 6 o 7 volte maggiori rispetto alle linee guida internazionali dettate dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Il rapporto dell’Unicef Clear the Air for Children, utilizzando immagini satellitari, ha mostrato per la prima volta quanti bambini sono più esposti all’inquinamento esterno e dove vivono in tutto il mondo. Nella fattispecie, sono 2 miliardi quelli che abitano in aree dove si respira aria pessima a causa di molti fattori, tra cui emissioni di veicoli, ampio uso di carburanti fossili, polvere e incendi di rifiuti.
LA MAPPA DEL PERICOLO – In Asia del Sud si trova il numero più alto di bambini a rischio, 620 milioni. In Africa sono 520 milioni. Nella regione dell’Asia dell’Est e del Pacifico, invece, 450 milioni. In Europa sono 120 milioni i piccoli che vivono in aree che superano i limiti compresi nelle linee guida, 20 milioni quelli che risiedono in zone dove questi limiti sono superati di ben due volte. Oltre a contribuire ogni anno alla morte di 600mila bambini sotto i 5 anni, l’inquinamento minaccia le vite di altri milioni ogni giorno. “Gli agenti inquinanti non solo danneggiano il loro sviluppo polmonare – ha dichiarato Anthony Lake, direttore generale dell’Unicef – ma possono superare la barriera emato-encefalica e danneggiare permanentemente il cervello e il loro futuro. Nessuna società può ignorare l’inquinamento dell’aria”.
LE CAUSE E LE CONSEGUENZE – Lo studio esamina anche le conseguenze dell’inquinamento all’interno (soprattutto delle abitazioni), comunemente causate dall’uso di carburanti come carbone e legna da ardere, che colpisce maggiormente i bambini nei Paesi a basso reddito e nelle aree rurali. L’inquinamento all’interno e all’esterno sono direttamente legati alla polmonite e ad altre malattie respiratorie che causano la morte di circa 1 bambino su 10 sotto i 5 anni di età, rendendo l’aria malsana uno dei principali pericoli per la salute dei bambini, molto più sensibili rispetto agli adulti sia perché i loro polmoni, il loro cervello e il sistema immunitario si devono ancora sviluppare in maniera completa, sia perché respirano anche più velocemente e inspirano più aria rispetto al loro peso corporeo.
L’APPELLO DELL’UNICEF – I dati sono stati lanciati una settimana prima del COP22 che si terrà a Marrakech, in Marocco, dove l’Unicef chiederà ai leader del mondo di intraprendere azioni urgenti per tagliare l’emissione di agenti inquinanti nei propri paesi. Il primo passo è quello di ridurre l’inquinamento: “Tutti i Paesi – sottolinea l’Unicef – dovrebbero lavorare per rispettare le linee guida globali sulla qualità dell’aria dell’Oms e, per raggiungere questo obiettivo, i governi dovrebbero adottare misure come il taglio delle combustioni di carburanti fossili e investire in fonti di energia efficienti e rinnovabili”. Un’altra priorità è quella di ridurre al minimo l’esposizione dei bambini. “Le fonti di inquinamento come le industrie – spiega il rapporto – non dovrebbero essere collocate vicino alle scuole e ai parchi giochi, mentre una migliore gestione migliore dei rifiuti può ridurre la quantità di rifiuti bruciati all’interno delle comunità”. L’Unicef, ad esempio, sostiene la distribuzione e l’utilizzo di fornelli più puliti in Bangladesh, Zimbawbe e altri Paesi del mondo. “Noi proteggiamo i nostri figli quando proteggiamo la qualità dell’aria che respiriamo. Entrambi sono fondamentali per il nostro futuro” ha concluso Lake. di Luisiana Gaita | 31 ottobre 2016 http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/10/31/inquinamento-atmosferico-rapporto-unicef-aria-tossica-contribuisce-alla-morte-di-600mila-bambini-allanno/3141461/
“Lo Sblocca Italia era morto, ma la ‘r iforma’lo resuscita” AngeloBonelli Il portavoce dei Verdi : “La Consulta aveva bocciato l’esclusione degli enti locali dalle decisioni. Il Sì li zittisce per Costituzione ”
Il governo ha perso l’occasione storica di inserire nella Carta il principio di tutela del l ’ambiente, come in Francia e Spagna
Chi è A n ge l o Bonelli, nato a Roma nel 1964, è coportavoce dei Verdi dal 2009. Inizia la sua c a r r i e ra politica nelle battaglie a m b i e n t a l i ste e nelle c i rco s c r i z i o n i del Comune di Roma. È st a to Co n s i g l i e re regionale e A ss e ss o re a l l ' A m b i e n te della Regione Lazio. Nel 2006 è eletto alla Camera: d i ve n t a capogruppo dei Verdi per la XV l e g i s l a t u ra (2006 2008)
VIRGINIA DELLA SALA Èuna riforma che gli ambientalisti non possono far altro che bocciare, che porta l’Italia indietro e che fa gli interessi delle aziende e di chi si occupa di grandi opere”. Ma soprattutto, spiega Angelo Bonelli, portavoce dei Verdi, legittima per Costituzione la supremazia del governo su decisioni che riguardano l’ambiente. Bonelli, perché votare no? Per diversi motivi. Parto dal primo: qualche giorno fa l’o rganizzazione mondiale meteorologica, la Wmo ha annunciato che la concentrazione di C02 nell’atmosfera ha superato le 400 parti per milioni. È un dato drammatico peril pianeta.Eppure, invece di preoccuparci di garantire un futuro equo e sostenibile, facciamo una riforma che va nel senso opposto. La Costituzione dovrebbe avere, nei suoi principi, il tema della sfida epocale che ci aspetta. Quali? La lotta al cambiamento climatico, il principio di precauzione, la sostenibilità ambientale, la tutela dei territori e il diritto alla partecipazione nelle scelte che incidono su ll’ambiente. Nel 2003 il presidente francese Chirac promulgò la Carta dell’A mbiente. Da allora, fa parte della Costituzione: definisce il principio di precauzione in materia ambientale, dispone
continuo atttacco all'ambiente Allarme in Sardegna: grande svendita ai privati Nella finanziaria regionale una norma per svincolare 4 mila km quadrati di suolo
Blitz notturno Si tratta di “usi civici” tra monti e costa L’assessore replica: “Non li venderemo”
» FERRUCCIO SANSA Un tratto di matita. Poche righe nella legge finanziaria regionale. “Così un sesto della Sardegna sarà sdemanializzato. E poi rischia di essere venduto. Tutto per colpa di una delibera della Regione. L’hanno approvata zitti zitti, di notte: ci aveva provato il centrodestra,adesso riprova il centrosinistra. E tutti tacciono”, denuncia Stefano Deliperi dell’associazione ambientalista Gruppo di Intervento Giuridico. Parliamo di 4 mila chilometri quadrati sui 24 mila dell’isola. È labattaglia degli usi civici. “Pochi sanno di che cosa si tratti. Addirittura molti non ne conoscono l’e s i s t e nza. Si tratta di immobili, di aree di proprietà collettiva. Cioè deicittadini. Ilcomune ne può avere la gestione, ma non sono suoi. I cittadini li
possono utilizzare per esempio per pascolo, semina e raccolta della legna. I terreni a uso civico e i demani civici costituiscono un patrimonio per le collettività locali in Sardegna. Sono indispensabili sia per l’economia e il tessuto sociale sia per la cura dell’a mbiente. Anche se i comuni li curano così poco”.
MA USCIAMO dalle mappe e andiamo a vedere in Sardegna. Quella vera. Partiamo da Capo Altano, proprio di fronte
SCONTRI AL CORTEO NO TAV Inchiesta, le Ferrovie commissariano il Terzo Valico
IL TERZO Valico è un’opera fondamentale, per l’Italiae perl’Europa, e le vicende giudiziarie di questi giorni non devono mettere in discussione la sua realizzazione. Nel giorno in cui la protesta No Tav torna a farsi sentire,ad AlessandriacomeinValle diSusa,i governatori diPiemonte, Liguriae Lombardia chiedono al ministro Graziano Delrio di convocare un tavolo con tutte le istituzioni coin
voltenella realizzazionedi "quest’opera strategica" perché "non subisca ritardi". E, mentre i nuovi vertici del Cociv assicurano di essere "già al lavoro per garantire la prosecuzione" dei cantieri, Rfi(Rete FerroviariaItaliana) annuncia che assumerà la direzione lavori come previsto dal nuovo Codice degli Appalti. Quello delle ferrovienon èun commissariamentovero e proprio, come chiede il presidente della
Regione Piemonte Sergio Chiamparino, ma poco cimanca. Intanto, fuoridal Centogrigio Sport Villagedi Alessandria, leforze dell’ordi ne hanno caricato un centinaio di No Terzo Valico che, insieme ad esponenti del M5S e del sindacato Usb, impedivano l’ingresso ai partecipanti."I 60milioni dicui siparla inquesto incontrodovrebberodarli aiterremotati",afferma Claudio Sannita, leader della protesta
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Pescara Bussi, i veleni infiniti della discarica: un pesce su tre contiene mercurio L’allarme Le sostanze tossiche del sito sono entrate nella catena alimentare
L’analisi L’I st it uto zo oprof i l at t ico di Teramo avverte: “S a re b b e nece ssario vietare la pesca”.
» ANTONIO MASSARI Un pesce su tre è intossicato dal mercurio. I dati – d el l’Istituto zooprofilattico sperimentale di Teramo –so nodel 2015e riguardanouna delle aree più avvelenate del paese: le acque del fiume Aterno-Pescara a ridosso della vallediBussi dove,nel2007, fu scoperta la mega-discarica che un tempo apparteneva al gruppo Montedison. Discarica al centro di un processo che ha visto imputati 19 dirigenti Montedison e s’è concluso nel dicembre 2014, in primo grado, con l’assoluzione per tutti dal reato di avvelenamento perché il fatto non sussiste.
SECONDO la corte d’Ass ise, guidata dal giudice togato CamilloRomandini, vifu soloil reato di disastro ma, poiché fu colposo e non doloso, anche in questo casonessuna condanna: l’accusa è caduta in prescrizione. L’appello del pro
cesso per la discarica di Bussi
strutture pubbliche e la follia della roulette russa: LECCO Via alle indagini sul ponte crollato, lo scaricabarile continua “L’ultimo Tir e chiudiamo” Ma il cavalcavia è venuto giù
Batti e ribatti L’Anas accusa la Provincia, che incassa i pedaggi, ma risponderà della mancata m a nute n z ione
Un morto, 5 feriti È di due giorni fa il disastro del cavalcavia l u n go la MilanoLe cco. Il crollo è stato p rovo c a to dal passaggio di un tir di 108 to n n e l l a te , un peso forse eccessivo per il ponte che già dava segni di cedimento. Un uomo ha perso la vita: è r i m a s to s c h i a cc i a to dal tir. Mentre altre cinque sono rimaste ferite. Tra queste, tre bambini e l’autista del mezzo pesante che av re b b e c a u s a to il crollo
Un morto, 5 feriti È di due giorni fa il disastro del cavalcavia l u n go la MilanoLe cco. Il crollo è stato p rovo c a to dal passaggio di un tir di 108 to n n e l l a te , un peso forse eccessivo per il ponte che già dava segni di cedimento. Un uomo ha perso la vita: è r i m a s to s c h i a cc i a to dal tir. Mentre altre cinque sono rimaste ferite. Tra queste, tre bambini e l’autista del mezzo pesante che av re b b e c a u s a to il crollo
DANIELE MARTINI Ora fanno filtrare la notizia che quel camion stracarico di bobine di acciaio che ha schiantato il cavalcavia di Annone in Brianza precipitando poi sulla strada statale di sotto sarebbe stato l'ultimo carico pesante fatto transitare e poi avrebbero chiuso. Sono arrivati troppo tardi e ora si deve piangere un morto, ci sono quattro feriti gravi in ospedale e si avviano le inchieste ministeriali e giudiziarie per i reati di omicidio colposo e disastro colposo. Quel che è successo venerdì pomeriggio sul ponte della provinciale 49 che scavalca la statale 36 è un concentrato del peggio di come sono state ridotte in questi ultimi anni le strade in Italia tra arruffamento di competenze, interessi, follie burocratiche e pessima manutenzione. Il cavalcavia di Annone fu costruito circa mezzo secolo fa dalla provincia di Como che nel 1992 fu spezzettata per consentire la nascita della Provincia di Lecco alla quale fu trasferito il cavalcavia. Non del tutto, però. E qui cominciano le anomalie.
LA PROVINCIA oggi è responsabile solo del “sopra” del ponte, il manto stradale, ma non del “sotto”, la struttura portante, passata negli anni Novanta del secolo scorso all'Anas. L'azienda pubblica delle strade aveva infatti deciso di far scorrere sotto quelle arcate la nuova statale 36 di Como e dello Spluga, una
Milano -LeccoLa struttura ha ceduto al passaggio di un Tir: automobili schiacciate, tre bambini feriti. È subito scaricabarile Ss 36, crolla il ponte che doveva essere già chiuso: 1 morto
il fatto quotidiano 29 ottobre 2016
Il buco di tre ore Il camion in transito alle 17.20, ma i calcinacci erano iniziati a cadere già intorno alle 14
Il buco di tre ore Il camion in transito alle 17.20, ma i calcinacci erano iniziati a cadere già intorno alle 14
»DAVIDE MILOSA
Milano Uccide piùlaburocrazia cheil cemento.Pare questa la chiave per spiegareil crollo diun ponte ieri sera lungo la strada statale Milano-Lecco tra i Comuni di Cesana Brianza e Arnone. Risultato: un morto e quattro feriti. Tra questi, tre bambini che non sono però in gravi condizioni. E che la burocraziaabbiaimpedito il blocco immediatodel ponte,appare evidente dalla ricostruzione fatta dall’Anas, che, va ricordato, non ècompetente peril cavalcaviadi pertinenza,invece, della Provincia di Lecco. Questa la posizione di Anas. La struttura è stata costruitanegli anni Sessanta. Nel 2009, un Tir ha urtato la parte superiore provocando danni lievi. Calcinacci che anche ieri hanno iniziato a cadere attorno alle 14. Il dramma tre ore dopo. In tutto questo tempo nulla è stato fatto per chiudere il ponte.
ALLE 17.20il cavalcavia è crollato per intero. Untir per itrasporti speciali che lo stava attraversando è precipitato sulla carreggiata. Si tratta di un camion con a bordo bobinedi acciaioperun pesostimato di70 tonnellate. Iltir, precipitando, si è tirato dietro un’au to, mentre un’altra che lo seguiva è riuscita a fermarsi rimanendo in bilico sul troncone di cemento rimasto.Il crollo istantaneo della struttura in cementoarmatoha completamente schiacciato un’auto bianca, mentre la motrice del camion si è schiantata su un’utilitaria rossa. L’incidente ha provocato la morte dell’automobili sta abordo dell’Audi bianca distrutta dal cavalcavia. La vittima era Claudio Bertinioriginaria di Civate (Lecco).L’autista del tir, un cittadino bulgaro, ha riportato
Taranto Ve l e n i Il governatore pugliese: “C h i u d e re ” Peacelink: “A l l’Ilva è inquinata la falda” Sms a Emiliano: mio figlio ha il tumore
il fatto quotidiano 29 ottobre 2016
GIANLUCA PALMA Ciao Michele, ieri dopo undici giornidiricoveroa mio figlio di 13 anni è stato riscontrato un bruttotumore. Purtroppo siamo di Taranto e l’Ilva ci ha condannati. Non voglio che altri genitori passino ciòche sto passando io, chiud ila”. Continua il dramma dell’Ilva di Taranto. Ne è la prova questo sms che il governatore della Puglia, Michele Emiliano, ha ricevuto ierie hapubblicato sulla sua paginaFacebook, suscitando centinaia di commenti, tra chi è favorevolealla chiusura e chi
chiede strutture e risorse per ricevere cure adeguate senza essere costretti a partire.Proprio ieri la Corte europea dei diritti dell’uomo ha promosso unricorso relativo a207 tarantini, come reso noto dal l’avvocato Anton Giulio Lana,
GIANLUCA PALMA Ciao Michele, ieri dopo undici giornidiricoveroa mio figlio di 13 anni è stato riscontrato un bruttotumore. Purtroppo siamo di Taranto e l’Ilva ci ha condannati. Non voglio che altri genitori passino ciòche sto passando io, chiud ila”. Continua il dramma dell’Ilva di Taranto. Ne è la prova questo sms che il governatore della Puglia, Michele Emiliano, ha ricevuto ierie hapubblicato sulla sua paginaFacebook, suscitando centinaia di commenti, tra chi è favorevolealla chiusura e chi
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grandi opere inutili e devastanti, i favori degli amici operazione Amalgama Grandi OpereL’inchiesta partì dalle intercettazioni nello studio di un commercialista Tutto iniziò con l’uomo che inguaiò Ricucci
Inchiesta “Sistema” Nell’informativa del Ros di Firenze del 2014 si citano Monorchio jr e il Terzo Valico
» VALERIA PACELLI Più di un anno fa, mentre veniva intercettato il commercialista che poi per la Procura di Roma è diventato un accusatore di Stefano Ricucci, tra le voci captate dalle cimici del suo studio è finita anche quella di Domenico Gallo, imprenditore calabrese ritenuto “pr om ot or e”, con altri, del presunto sodalizio che lavorava nelle principali opere pubbliche italiane.
ÈCOSÌ CHEÈ NATAl’inchiesta “Amalgama”, per dirla con le parole diun indagatoquando indicava una “joint venture” tra “imprese appaltatrici, di
rettoredeilavori esocietàindicate da Giampiero De Michelis”, socio di Gallo, arrestato mercoledì con altri 20. Il commercialista che i pm stavano intercettando è Luca De Fil ippo, più volte citato nell’ordinanza che lo scorso 15 luglio ha portato Ricucci in carcere. Il commercialista rivela ai pm alcuni aspetti d
Sette piani diventano tre e l’ecomostro resta dov’è Sant ’Agata di PugliaPrima l’ordine di abbattere il palazzo costruito in un’area a rischio idrogeologico, poi una nuova perizia ribalta tutto
Secondo grado Dopo la cond a n n a dei proprietari, l’av vo cato deputato Sisto ha chiesto una nuova perizia
ANTONELLO CAPORALE Sette piani all'apparenza ma tre all'occorrenza! Il più grande processo sull'effetto ottico si è svolto nei mesi scorsi alla Corte d'appellodi Bari ilcui giudice, stimando e ristimando la base per l'altezza, ha convenuto cheun palazzo,originariamente valutato dal suo collega di primo grado di sette piani fosse solo di tre. La sentenza, che assolve la proprietà precedentemente condannata, si fonda sull'esito della perizia di parte che ha ricalcolato, in ragione del pendio dentro ilquale èscavato l'immobile, la sua altezza. La legge del pendio, o la norma sul pendio, sulla parete apparente o in ritiro, è una delle più fortunate esperienze legali di Francesco Paolo Sisto, deputato di Forza Italia ma avvocato di splendida e indubitabile fama a Bari che ha visto assolvere il suo rappresentato.
SIAMO a Sant'Agata di Puglia, paese della Daunia noto per il suo vento e infatti ai suoi fianchi, sorgendo su una collina, centinaia di pale eoliche gli tengono compagnia permettendogli, se solo lo chiedesse, di prendere il volo. Bene. Nel 2002 viene concesso un permesso di costruire lungo il costone che scende a valle. Un massimo di dieci metri e ottanta centimetri di altezza e non più di tre piani di felicità per il costruttore e per chi abiterà quel meraviglioso edificio. Le betoniere vanno un po' a rilento, il permesso scade (tre anni è il tempo dato dalle leggi) ma soprattutto l'Autorità di Bacino individua nel sito prescelto un'area a pericolosità elevata dal punto di vista id ro ge o lo gi co . Piogge e poi frane, l'incubo del nostro tempo. Indica l'area rossa, dove le costruzioni devonoessere mitigate esoprattutto autorizzate da un permesso speciale. Il vincoloc'è machi lorispetta? Le betoniere, anche se lenta
mente
CLIMA E SMOG: MENO PRODUCO, MEGLIO È
Ora ilWmo, l’O r g anizzazione meteorologica mondiale, la più antica istituzione del mondo sul clima fondatanel1873,diventata agenzia delle Nazioni Unite, certificaufficialmente che dalla Rivoluzione industriale in poi la temperatura del pianetaèaumentata di2gradi centigradi. Cosa che produce fenomeni inquietanti, sia nel l’immediatoe soprattutto nel futuro, come la contrazione dei ghiacciai, l’i n n a l z am e n t o dei mari, la riduzione della terra disponibile, fenomeni meteorologici imprevisti e disastrosi.
MA AL DI LÀdi questi grandi eventigeofisicici sonoleconseguenze del “qui e ora”sulla nostra salute. Prendiamo un fenomeno marginalema significativo dell’interaquestione. Quando ero giovane, e quindi non parliamodi epochepleistoceniche, le allergie praticamente non esistevano ocomunque erano casi assai rari. Oggi non c’è quasi ragazzoo ragazza che non ne sia affetto (allergie alimentari, allergie stagionali e tutta un’altra serie di risposte a un ambiente che ci fa star male). Tutta questa serie di fenomeni, sia quelli macroche quellimicro, sono dovuti allo straordinario, e in velocissima progressione, aumento dell’ani dride carbonica, Co2
MA AL DI LÀdi questi grandi eventigeofisicici sonoleconseguenze del “qui e ora”sulla nostra salute. Prendiamo un fenomeno marginalema significativo dell’interaquestione. Quando ero giovane, e quindi non parliamodi epochepleistoceniche, le allergie praticamente non esistevano ocomunque erano casi assai rari. Oggi non c’è quasi ragazzoo ragazza che non ne sia affetto (allergie alimentari, allergie stagionali e tutta un’altra serie di risposte a un ambiente che ci fa star male). Tutta questa serie di fenomeni, sia quelli macroche quellimicro, sono dovuti allo straordinario, e in velocissima progressione, aumento dell’ani dride carbonica, Co2
la Pontina come l'Aurelia? Asfalto e ricostruzioni Il presidente onorario di Italia Nostra: “Il problema del Paese è la crisi dei valori” L’ITALIA TRA MAZZETTE E OPERE INUTILI
L’Aurelia trascurata descritta nel libro del “Fa tt o”, i lavori postsisma: le associazioni ambientaliste pronte a combattere
»NICOLA CARACCIOLO Lacrisiitaliana èinlarga misura una crisi morale. Si ruba troppo, ci sono troppe tangenti, troppi lavori inutili e sbagliati. Sono problemi su cui da anni batte il Fatto. Ci sonoi terremotie lasituazione èaggravatadalle frodi delle opere pubbliche nei territoricolpiti. Ancora:leautostrade non servono forse a sveltire il traffico, ma permettono diottenere favolosetangenti. Vedi la Salerno-Reggio Calabriae lastbutnot leastl ' a u t ostrada Tirrenica impostata spendendo miliardieprogettando di spenderne altri. La casaeditrice del Fatto pubblica inquesti giornil'inchiesta di un bravissimo giornalista, Daniele Martini, “Scippo diStato”, chedimostra quanto sia pericolosa e incancrenita la pratica del furto pubblico. I bersagli di Martini sono l'Anas e le Autostrade, le
grandi opere inutili e i favori agli amici Lobbying efficace Nel 2015 la metro stava per saltare. Ma l’attuale braccio destro di Sala ha evitato il blocco L’inutile M4 di Milano, l’altro affare del gruppo
Amici in Comune Michele Longo e l’av vo cato Annoni riescono a far confermare l’opera, con la scusa di Expo
grandi opere e Impregilo Renzi, l’ultimo cortigiano del re delle costruzioni Soldi e politica. Da Tangentopoli al sì del premier al grande affare dello Stre tto
» GIORGIO MELETTI Icasi sonodue.O MatteoRenzi paga alla giovane età il prezzo di una scarsa memoria storica. Oppure, grazie alle sue rinomate doti di apprendimento, sa tutto. Trattandosi del presidente del Consiglio è difficile dire quale delle due ipotesi sia la più preoccupante. La prima cosa da sapere è chi sia Michele Longo, il manager arrestato due giorni fa. Come mestiere principale è il capo delle domestic operationsdi Salini Impregilo. A lui fa capo il business italiano del gruppo guidato da Pietro Salini, il re delle costruzioni caro a palazzo Chigi. Longo non è solo presidente del Cociv (costruttore del terzo valico ferroviario Genova-Tortona del costo di6,2miliardi).È, oèstato,anche numero uno del consorzio CavToMi (costruttore dell’alta velocità ferroviaria Torino-Milano), della società costruttrice dell’a ut o s tr ada Pedelombarda, del Cavet (alta velocità Firenze-Bologna), di Iricav Due (alta velocità Verona-Padova). Un biglietto da visita di platino: tutte le grandiopere di cui si occupa partono come pr oject -financing (realizzazione a spese del costruttore)e finisconoa caricodi Pantalone. Fino all’ultimo euro.
scandalo dell'Eni, centro oli di Viggiano, Vado Ligure, G8 Inchieste, condanne e scandali, funzionari e dirigenti pubblici premiati: ma tutti hanno fatto carriera
È il sistema-Italia: se hai guai con la giustizia, vai lo stesso avanti, anche se la tua posizione non si è mai chiarita. Ed è il caso di molti dirigenti pubblici: dalla “porc ata” di Vado Ligure alle botte del G8, dallo scandalo dell’Eni ai successi internazionali del caso di Alma Shalabayeva deportata in Kazakistan
MONTANARI “Quelle chiese a n d ava n o protette meglio”
SISMA INFINITO Alle 7,40 la terra trema ancora tra Lazio, Marche e Umbria 100 mila senza un tetto sicuro È stato il terremoto più potente dopo quello d e l l’Irpinia del 1980. A Norcia ha buttato giù anche la basilica di San Benedetto, già danneggiata dallo sciame che è partito tra Amatrice e Accumoli il 24 agosto scorso. La scossa ha fatto solo 20 feriti e nessun morto, ma adesso il grande problema è dato dall’in - certezza per i cittadini di poter ancora rientrare negli appartamenti mossi così violentemente. Sindaci e Protezione civile consigliano di dormire fuori casa
PAURA “SCJIHAD” Salta il Trofeo To p o l i n o : rischio attentati
TRA LE MACERIE Il Mostro ritorna e si porta via Castellucc io
Al cimitero di San Lorenzo del Vallo, nel cosentino, moglie e figlia di un uomo accusato di omicidio sono state uccis e ieri mattina. Nessuno ha visto niente
Usa Email che rilanciano Trump in un pc usato dall’assistente Hillary molla Huma la sua “o m b ra” al torchio dell’F bi
COSA ROSSA? Dov ’è la sinistra Airaudo e Civati si confrontano
tratto da www.ilfattoquotidiano.it
terremoto adesso è un incubo, il più potente dal 1980. A Latina e provincia paura durante le messe, supermarket a soqquadro. Sezze la frana sulle coste e distacchi dalle mure. Latina zona pub rischia il linciaggio dopo il furto. Caos trasporto pubblico treni fuori orario 2 mila firme contro, a Minturno la protesta si fa più dura
https://www.facebook.com/www.ilgiornaledilatina.it/photos/a.603383373072304.1073741828.602561603154481/1112150352195601/?type=3&theater IL GIORNALE DI LATINA
EDIZIONE DEL 31 OTTOBRE
IN ABBINAMENTO CON ANTEPRIMA SPORT
avremo mai un servizio idrico pubblico? Acqua, l’offerta blindata di Acea per l'acquisto di acqualatina
Mentre prosegue il dibattito tra i sindaci di centrodestra e quelli del Pd è sempre il gruppo romano l’unico ad avere i soldi Mentre va avanti il dibattito tra i sindaci di centrodestra e quelli del Pd e dei movimenti civici circa il ritorno alla gestione pubblica dell’acqua, il percorso di vendita delle azioni di Acqualatina in mano a Veolia ha preso una strada tutta sua. Indipendente dalla volontà dei Comuni, che peraltro non è univoca. Infatti da un lato la cordata di maggioranza dei sindaci più la Presidente della Provincia spingono per le dimissioni immediate del consiglio di amministrazione per affrontare in non secondo momento l’iter di ripubblicizzazione dell’acqua che in parole più semplici implica il reperimento di fondi per pagare le quote di Veolia. D’altro canto i sindaci di centrodestra (una minoranza del totale) hanno avanzato tre giorni fa una formale manifestazione di interesse all’acquisito e chiedono a tutti gli altri di unirsi a quella proposta. Anche i sindaci di centrodestra non hanno i soldi per acquistare le azioni detenute dal gruppo francese ma avanzano un’idea più o meno concreta, ossia chiederli alla Regione Lazio. In questo scenario l’unico soggetto che, invece, ha reale disponibilità finanziaria è proprio Acea spa che inizialmente aveva «solo» offerto di acquistare da Veolia il 49% delle azioni di Acqualatina senza aver avuto né concorrenti né ostacoli.
L'articolo completo in edicola con Latina Oggi (31 ottobre 2016) http://www.latinaoggi.eu/news/news/30406/acqua-lofferta-blindata-di-acea.html
i danni del terremoto in provincia di Latina. La corruzione del funzionario. Cena con rissa al ristorante
http://www.latinaoggi.eu/sezioni/42/news
Latina e l’ombra lunga del nuovo inceneritore
Lo spettro dell’inceneritore torna ad aleggiare nella provincia di Latina. Un’ ipotesi, quella di realizzare un impianto di valorizzazione energetica di rifiuti urbani e speciali a Borgo Montello (o a Mazzocchio, si pensava all’epoca), che prese piede quasi dieci anni fa – con la cordata di centro-destra presieduta dall’ex sindaco di Latina Vincenzo Zaccheo (in prima linea) e dall’ex presidente della Provincia Armando Cusani – e che sembrava riposta nei cassetti di un corso amministrativo oramai sulla via del tramonto.
Ma tale spettro questa volta non è alimentato da istanze locali, bensì da un provvedimento che arriva direttamente dalle stanze di Palazzo Chigi. Si tratta del decreto ministeriale n.233 emanato dalla Presidenza del Consiglio riguardante l’individuazione della capacità della capacità complessiva degli impianti di incenerimento italiani e, soprattutto,del fabbisogno residuo di incenerimento. È proprio quest’ultima voce a riaprire ufficialmente la partita per un nuovo impianto di termovalorizzazione nel Lazio.
Durante il Consiglio straordinario tenutosi in Regione, l’assessore all’Ambiente e ai Rifiuti Mauro Buschini ha contrattaccato la decisione arrivata dai vertici del Governo. “Confermiamo di non ritenere indispensabile la costruzione di un nuovo impianto di recupero di energia dai rifiuti – ha dichiarato -, seppure registriamo il decreto ministeriale dell’onorevole Galletti come una positiva sollecitazione collaborativa. L’ulteriore fabbisogno di termotrattamento potrebbe trovare compensazione nell’ammodernamento degli impianti esistenti di Colleferro e San Vittore.” Si rischia dunque lo strappo su una vicenda che si aggiunge alla già “sanguinaria” guerra dei rifiuti laziale.
Il Governo smentisce la Regione. Una vera e propria sferzata da parte del Governo alla giunta Zingaretti, che da tre anni – già con il piano Rifiuti del 2013 – smentisce categoricamente la possibilità caldeggiata dal Ministero dell’Ambiente. La presa di posizione del Governo ha, dunque, avuto come primo effetto quello di dare la stura alla polemiche interne alla Pisana. Il fronte dell’opposizione compatto punta il dito contro il governatore. “Decisione che non è campata in aria ma si basa su dati reali che Zingaretti, che si è affrettato a dire che nessun inceneritore nuovo sarà realizzato sul territorio, o non conosce o, peggio, continua a far finta di non conoscere”, ha commentato il consigliere pontino di Forza Italia Giuseppe Simeone all’indomani della pubblicazione dell’atto sulla Gazzetta Ufficiale, ovvero lo scorso 5 ottobre. Della stessa stregua le dichiarazioni di Devid Porrello, capogruppo pentastellato in Consiglio: “Oltre tre anni di immobilismo sui rifiuti, di mancata programmazione per l’impiantistica,di proliferazione di iniziative private per il trattamento della Forsu si risolvono per Zingaretti scaricando le responsabilità sui comuni. Per il Pd regionale l’emergenza rifiuti del Lazio si risolve con le discariche, come ha spiegato Buschini in un suo recente intervento in aula e per il Pd nazionale bastano un paio di inceneritori.” Fa eco l’intervento di Fabrizio Santori, esponente FdI, nonché membro della Commissione Ambiente. “Zingaretti continua a mentire sapendo di farlo, e anche oggi ribadisce che non ci sarà nessun impianto, dopo l’assenza del Lazio in conferenza Stato-Regioni a Febbraio quando si decise su questo delicatissimo tema”. Ma Zingaretti non ci sta ad abbandonare la linea adottata dalla sua amministrazione e ha tempestivamente cassato il provvedimento dei colleghi di partito a Palazzo Chigi, in quanto non cogente – il cui recepimento da parte della Regione non è obbligatorio e inderogabile. Ma le cose in realtà non stanno proprio così.
Lo “Sblocca inceneritori” miete le prime vittime e Zingaretti sembra essere tra queste. Il testo a firma Renzi-Galletti non è altro che l’atto finale (o comunque una delle battute finali) di una telenovela legislativa portata avanti a colpi di decretazione governativa. Va ad attuare infatti una delle previsione contenute nell’art.35 del decreto-legislativo 133/2014 riguardante “Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive”: il famoso Sblocca Italia, emanato nel settembre 2014 e convertito in legge nel novembre successivo. La bozza del testo, giunto alla terza riscrittura, era stato recapitato alle Regioni lo scorso 29 luglio, scatenando un effetto domino di dichiarazioni nell’universo capitolino. Ma la partita si era infiammata già a termine dell’ultima riunione della Conferenza Stato-Regioni di nove mesi fa sulla realizzazione delle rete nazionale di termovalorizzatori. In quell’occasione tutti gli enti regionali manifesteranno il sostegno al progetto, tranne Campania e Lombardia; assente Zingaretti. “Il presidente della Regione riferisca in Consiglio sulla sua assenza, perché ha commesso un alto tradimento e si è macchiato di codardia”, fu la stoccata di Santori. L’ex eurodeputato nonché ex presidente della Provincia di Roma disertò l’assemblea per evitare lo scontro interno al partito sull’asse Pisana-Palazzo Chigi. Una presa di posizione che invece non ha potuto aggirare lo scorso agosto quando fu proprio lo stesso Ministro Galletti a riaprire il dibattito in un question time alla Camera. “Gli impianti di smaltimento non sono sufficienti, oggi, per uscire dalla crisi. Il Lazio ha bisogno di un termovalorizzatore”, spiegò l’esponente in quota ad Area Popolare al Governo. Tempestiva è stata in quel caso la risposta di Zingaretti il giorno dopo in Consiglio Regionale, chiamato a relazionare sullo stato del ciclo dei rifiuti: “Seguendo l’iter della competenza regionale di pianificazione, sulla base del fabbisogno e della raccolta differenziata e dell’impiantistica, confermo che non si reputa necessaria l’apertura di una procedura per un nuovo termovalorizzatore“. Dello stesso avviso la sindaca capitolina Virginia Raggi. Ma le cifre snocciolate dal Ministero sembrano minare alla credibilità del governatore Pd e della sua politica in materia di rifiuti.
Quasi 8 milioni e mezzo di tonnellate l’anno da bruciare; e al Lazio serve la copertura per altre 200 mila. Le cifre presentate nell’allegato del decreto si rifanno al rapporto Rifiuti 2015 dell’Ispra su dati 2014. Secondo l’analisi dal Ministero dell’Ambiente, l’Italia deve soddisfare un fabbisogno residuo di incenerimento di 1.818.334 t/anno a fronte di un fabbisogno complessivo di 8.390.760 t/anno ed una capacità impiantistica 6.575.749. Circa un 37% in più di “monnezza” dovrà essere bruciata. Servono dunque nuovi inceneritori, 8 per la precisione di cui uno nel Lazio. Nella territorio laziale sono presenti quattro inceneritori: tre attualmente funzionamento – l’impianto di Colleferro due di San Vittore – e uno, (quello di Malagrotta) autorizzato ma non in funzione e per il quale è stata richiesta una variante d’opera, a cui si va ad aggiungere la struttura di Ponte Malmone che tratta solo rifiuti sanitari.
Secondo il Governo la capacità complessiva regionale di incenerimento ammonta a 665.300 t/anno, necessaria a coprire solamente il 75% del fabbisogno che è stimato a 879.382 t/anno. Tradotto: a fronte della grave crisi sul fronte rifiuti che sta attraversando il Lazio, occorre riaprire l’impianto di Malagrotta e realizzare un nuovo inceneritore per colmare il gap di quelle 210 mila tonnellate. Una soluzione che, almeno in termini puramente normativi e in relazione all’alterativa-discariche, appare in linea con la direttiva 2008/98 della Comunità Europea che predilige la valorizzazione dei rifiuti al conferimento in siti di smaltimento, rispettivamente il quarto e il quinto (ed ultimo) livello della gerarchia di gestione.
Quei dati della Regione un po’ troppo “ottimisti”. Ma perché il Ministero afferma che c’è bisogno di far fronte ad un ulteriore fabbisogno di incenerimento, mentre la Regione nega tutto? Le cifre sul ciclo dei rifiuti riportate nel Piano regionale si basano, come quelli del dicastero presieduto da Galletti, su dati Ispra, per la precisione relativi alle annualità 2012-2014. La relazione tecnica del Governo, infatti, stima la capacità degli impianti sulla stessa soglia della delibera di Consiglio dello scorso aprile, ma con una piccola imprecisione: nel conteggio delle tonnellate conferite negli impianti di valorizzazione non sono incluse le 30.000 tonnellate ospitate dall’inceneritore di Ponte Malmone. Una disattenzione che però risulta ininfluente vista l’enorme produzione di rifiuti urbani e speciali che interessa il Lazio. Il nodo sorge appunto sulle previsione di quest’ultimo parametro per il prossimo quinquennio. La produzione totale di rifiuti della regione non è scesa sotto le 3 milioni di tonnellate annue negli anni che vanno dal 2010 e al 2014 (ndr. I dati 2015 saranno oggetto del rapporto Ispra 2016): nel 2014 le tonnellate prodotte sono state 3.082.772 – 523 kg per abitante -, ultimo dato di un trend in diminuzione che ha raggiunto il -9,34% rispetto a alle rilevazioni del 2010, anno in cui la percentuale di raccolta differenziata si attestava al 16,5% e che ora dovrebbe raggiungere il 35%.
In termini di rifiuto indifferenziato, circa 28 mila tonnellate in meno per ogni punto percentuale di raccolta differenziata che si aggiunge nella gestione del ciclo dei rifiuti. Ed è proprio la quota di indifferenziato che interessa il processo di valorizzazione, step successivo alla frazionatura e selezione negli impianti di TMB che produce CSS, frazione secca, percolati e scarti. Una fase del ciclo che riguarda poco meno del 50% dell’indifferenziato prodotto a livello nazionale, ovvero – stando sempre a dati 2014 – ben 16.248.784 tonnellate. Un obiettivo, quello della forbice sulla quota di indifferenziato con parallelo incremento della raccolta differenziata, imposto dalla sopracitata direttiva europea recepita dal nostro Paese nel dicembre del 2010, ma anche dal decreto legislativo sulle norme in materia ambientale del 2006 varato dal governo Berlusconi-ter che sottoscriveva il diktat del raggiungimento del 65% di raccolta differenziata entro il 2012. Obiettivo disatteso dal momento che tutt’oggi non si è riusciti a superare la soglia del 45%, percentuale che nel Lazio si abbassa, come già detto, fino al 35 nella proiezione 2016. A firma invece dell’esecutivo tecnico targato Mario Monti è invece il Programma Nazionale di Prevenzione di Rifiuti adottato nell’ottobre che prevede al 2020 una riduzione del 5% della produzione di rifiuti per unità di Pil. La Regione ha stabilito due ipotesi per raggiungere gli orizzonti prefissati: una che non prevede una riduzione dei rifiuti ma si pone il traguardo del 2020 per elevare il regime di raccolta differenziata nella quota stabilita dall’UE; e una seconda, più accreditata, che conta di ridurre di un punto percentuale la produzione totale nei primi 5 anni con un incremento della quota differenziata del 5% annuo. Praticamente un trend a velocità raddoppiata rispetto a quello registrato nel periodo 2010-2014.
Secondo tali proiezioni si dovrebbe raggiungere il pareggio nel rapporto capacità degli impianti/fabbisogno nel 2019 nella prima e nel 2020 nella seconda, con un livellamento che dovrebbe arrivare dall’aumento della raccolta differenziata.
Si legge, dunque, nel piano Zingaretti nella sezione riguardante gli inceneritori: ”Non si prevede in alcun modo la necessità di un ulteriore impianto oltre a quelli già in esercizio. Sarà invece valutato l’adeguamento a carico termico degli impianti di Colleferro in sede di revamping dei medesimi. Si ricorda che nel 2017 entrerà in esercizio la terza linea di San Vittore.” Ma arriviamo al punto: il governo Renzi non crede nelle previsioni di riduzione della produzione di rifiuti – tant’è vero che in un allegato del decreto si legge “n.d., non dichiarato, non approvato” – né alle percentuali di RD messe nero su bianco per il prossimo quinquennio. Una riduzione che tra l’altro, dal 2014, anno di entrata in vigore dello Sblocca Italia, che è stata minima e comunque non in linea a quel -10% auspicato dal piano di prevenzione regionale. Da 3.082.372 a 3.000.543 del 201: solamente un -3,7%.
In entrambe le opzioni caldeggiate ci sarebbe – a fronte delle oltre 665 mila tonnellate l’anno di capacità complessiva – un deficit che va dalle 55 mila alle 150 mila tonnellate. Senza dimenticare un paio di fattori tra l’altro decisivi nell’indirizzo recapitato dal Ministero. In primis una mancata chiusura del ciclo laziale dal momento che il 10% di rifiuti urbani e di quelli derivanti dal loro trattamento sono destinati fuori regione e per lo più smaltiti in discarica. E poi c’è la spigolosa questione della percentuale di rifiuti indifferenziati inviati a trattamento che devo essere portati a valorizzazione: la Commissione Ambiente regionale ha fissato il tetto al 45%, mentre la linea del Governo, nel territorio laziale – prendendo ad esempio le stime 2016 – di innalzare tale quota dai 6 ai 10 punti percentuali (relativamente alle famose prima e seconda ipotesi di programmazione). Ed ecco che si spiega quel surplus di tonnellate pari a 210 mila esplicitate nell’atto di governo. Un sistema con evidenti difficoltà di gestione quello dei rifiuti laziali, status di cui certamente non è all’oscuro la giunta regionale, che infatti aveva “messo le mani avanti” con l’annuncio da parte di Zingaretti che dell’assessore all’Ambiente Buschini della possibilità di realizzare una discarica di servizio a Roma. Ricorrere dunque alla soluzione estrema del conferimento in discarica, concetto ribadito anche nel aggiornamento del Piano dello scorso aprile, in cui si legge. “È evidente l’esigenza di reperire volumetrie utili alle esigenze di smaltimento della frazione residua del trattamento dei rifiuti urbani. Tale insufficienza è quella maggiormente evidente nella rete degli impianti regionali [..]È pertanto necessario prevedere da subito la possibilità di effettuare ampliamenti e/o sopraelevazioni degli impianti esistenti ed in esercizio.” In molti ora puntano dunque il dito contro il governatore Zingaretti; uno dei più accessi sostenitori della realizzazione di un nuovo inceneritore e dell’inadeguatezza dell’ultimo piano Rifiuti è Donato Robilotta, consigliere regionale di minoranza e coordinatore di Socialisti e Riformisti (partito satellite dell’ex-universo Pdl). “Continuare a dire che rispetto ai dati del fabbisogno regionale non c’è bisogno del nuovo impianto è un errore – ha commentato una volta appreso della pubblicazione del decreto e delle dichiarazione di Zingaretti – Significa non tener conto che la relativa delibera regionale, la 199 del 2016, conteneva calcoli non suffragati da dati convincenti tanto che non è stata presa in considerazione ai fini della stesura finale del decreto”.
In entrambe le opzioni caldeggiate ci sarebbe – a fronte delle oltre 665 mila tonnellate l’anno di capacità complessiva – un deficit che va dalle 55 mila alle 150 mila tonnellate. Senza dimenticare un paio di fattori tra l’altro decisivi nell’indirizzo recapitato dal Ministero. In primis una mancata chiusura del ciclo laziale dal momento che il 10% di rifiuti urbani e di quelli derivanti dal loro trattamento sono destinati fuori regione e per lo più smaltiti in discarica. E poi c’è la spigolosa questione della percentuale di rifiuti indifferenziati inviati a trattamento che devo essere portati a valorizzazione: la Commissione Ambiente regionale ha fissato il tetto al 45%, mentre la linea del Governo, nel territorio laziale – prendendo ad esempio le stime 2016 – di innalzare tale quota dai 6 ai 10 punti percentuali (relativamente alle famose prima e seconda ipotesi di programmazione). Ed ecco che si spiega quel surplus di tonnellate pari a 210 mila esplicitate nell’atto di governo. Un sistema con evidenti difficoltà di gestione quello dei rifiuti laziali, status di cui certamente non è all’oscuro la giunta regionale, che infatti aveva “messo le mani avanti” con l’annuncio da parte di Zingaretti che dell’assessore all’Ambiente Buschini della possibilità di realizzare una discarica di servizio a Roma. Ricorrere dunque alla soluzione estrema del conferimento in discarica, concetto ribadito anche nel aggiornamento del Piano dello scorso aprile, in cui si legge. “È evidente l’esigenza di reperire volumetrie utili alle esigenze di smaltimento della frazione residua del trattamento dei rifiuti urbani. Tale insufficienza è quella maggiormente evidente nella rete degli impianti regionali [..]È pertanto necessario prevedere da subito la possibilità di effettuare ampliamenti e/o sopraelevazioni degli impianti esistenti ed in esercizio.” In molti ora puntano dunque il dito contro il governatore Zingaretti; uno dei più accessi sostenitori della realizzazione di un nuovo inceneritore e dell’inadeguatezza dell’ultimo piano Rifiuti è Donato Robilotta, consigliere regionale di minoranza e coordinatore di Socialisti e Riformisti (partito satellite dell’ex-universo Pdl). “Continuare a dire che rispetto ai dati del fabbisogno regionale non c’è bisogno del nuovo impianto è un errore – ha commentato una volta appreso della pubblicazione del decreto e delle dichiarazione di Zingaretti – Significa non tener conto che la relativa delibera regionale, la 199 del 2016, conteneva calcoli non suffragati da dati convincenti tanto che non è stata presa in considerazione ai fini della stesura finale del decreto”.
Perché Latina? La paralisi pontina e il peso delle sentenze. Il placet della Regione sulla possibilità di approvare ampliamenti relativamente ai siti per i quali è stata o è in programma delle procedure di VAS o di VIA piomba sulla provincia di Latina come una brezza, presagio di tempesta. La discarica di Borgo Montello, che ha di fatto terminato le volumetrie disponibili per il conferimento con la cessazione delle attività anche da parte di Ecoambiente avvenuta lo scorso 6 ottobre (gli invasi Indeco sono stati chiusi a gennaio), è oggetto di una consultazione pubblica volta al rilascia della certificazioni di Via sugli impatti ambientali, propedeutica al rilascio dell’Aia (Autorizzazione Integrata Ambientale) che darebbe il via libera ai lavori di ampliamento. Si parla di nuove volumetrie per un totale di 560 mila metri cubi.
Un’operazione che potrebbe essere parallela a quella della realizzazione del famoso nuovo inceneritore, che “chiuderebbe” il ciclo dei rifiuti pontino, con una ventina di impianti di trattamento sparsi nel territorio. Le virgolette sul verbo utilizzato sono d’obbligo, visto le dichiarazioni dello scorso 13 ottobre del dirigente di Arpa Lazio Marco Lupo. Ebbene, secondo i dati Arpa il 70% dei rifiuti che escono da questi siti di trattamento (e che in buona parte devono essere portati a valorizzazione) sono tradotti fuori regione. Il che si configurerebbe come una violazione della sentenza della Corte di Giustizia Europea del luglio 2015 – con cui l’Europa andava a sanzionare l’Italia per milioni di euro a causa della mala-gestione dell’emergenza rifiuti datata 2007 in Campania – che rimarcava i cosiddetti principi di autosufficienza e prossimità, secondo cui bisogna “garantire la gestione e la rimozione dei rifiuti il più vicino possibile a dove sono stati prodotti”. Una disposizione prevista dalla direttiva europea n.12 del 2006 e ripresa anche dal Tar del Lazio lo scorso marzo, quando scrisse che l’Ente avrebbe dovuto provvedere “all’individuazione della rete integrata e adeguata di impianti, incluse le discariche per lo smaltimento dei rifiuti speciali del trattamento dei rifiuti urbani, necessari a conseguire l’obiettivo dell’autosufficienza su scala regionale”.
In poche parole, il rischio che la provincia di Latina vada incontro ad una violazione di tale direttiva esiste e che si andrebbe ad aggiungere alla procedura di infrazione subita per le inadempienze in relazione alla già citata direttiva del 2008 sulla gerarchia dei rifiuti – a cui fa anche riferimento il Governo nel decreto Sblocca Inceneritori come motivazione di base per l’ampliamento della capacità di incenerimento nel Lazio – ma anche alla disposizione 1993/31 sul conferimento in discarica: immondizia non trattata, inclusi rifiuti speciali come quelli industriali, per anni sono stati abbancati a Borgo Montello. Infrazione per la quale l’Italia è stata condannata nell’ottobre 2014. Sono dunque molteplici i provvedimento che pongono Latina al centro dei riflettori per il progetto di un nuovo inceneritore. Visto e considerato che difficilmente Zingaretti si presenterà ad Albano con in mano una richiesta di riprendere le carte per quel progetto di un termovalorizzatore, dopo le rassicurazioni offerte ; e che la Colari del ras laziale dei rifiuti Manlio Cerroni nell’estate 2015 aveva manifestato la volontà di rinunciare alle famose altre due linee di gassificatori, oltre a quella già esistente. Opzione, quest’utlima, rigettata anche dalla giunta Raggi e dai vertici del Pd proviciale. Il quadro generale – una rebus che imbriglia Stato,Regione e cittadini – non sorride di certo a Latina, i cui siti di smaltimento sono però da chiudere secondo il parere espresso da Alessandro Bratti, presidente della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulle Ecomafie, nella seduta del 13 ottobre.
Il precedente: quel chiodo fisso di Zaccheo. “Ancora tu, ma non dovevamo vederci più?”: lo cantava Battisti ma lo penseranno anche gli abitanti della provincia di Latina rimuginando sulla questione – inceneritore. Una trama che aveva acceso il dibattito cittadino quasi dieci anni fa, con Zaccheo e Cusani che cavalcarono per lungo tempo la battaglia di un nuovo inceneritore nel territorio pontino. In particolare l’ex presidente della provincia viene oggi accusato da di aver ostacolato l’approvazione del progetto del maxi impianto di TMB nei terreni adiacenti piezometria occupata dagli invasi, proprio nelle mire di arrivare a realizzare un nuovo impianto di valorizzazione. E Borgo Montello era uno dei siti papabili. Tant’è vero che nel 2008 Zaccheo si presentò alla Pisana offrendo ai presenti un intervento più che chiaro circa le intenzioni dell’amministrazione.” “Prima di affrontare qualunque intervento sulle discariche di Borgo Montello – avvertì l’ex primo cittadino – chiedo che la Regione Lazio si autodetermini in via definitiva sulla costituzione dell’ATO e garantisca l’autonomia e l’autosufficienza dell’intero ciclo dei rifiuti all’interno dell’Ambito Territoriale di Latina.” La denuncia che Zaccheo presentava all’assise regionale era che il CDR (combustibile derivato da rifiuti) da portare a valorizzazione negli impianti di incenerimento fosse conferito in strutture fuori dal subAto, “senza possibilità di regolazione della tariffa di igiene ambientale (assoggettata alla gestione di altri ambiti) e con conseguenti, ovvi e prevedibili aumenti dei costi.” A fronte di quella possibilità a Latina nacque anche un comitato No-inceneritore.
Ma l’amministrazione comunale si espressa in maniera secca e definitiva nel 2013 contro questa possibilità, con una delibera votata all’unanimità dal Consiglio. Ultimo capitolo della vicenda?
Stato vs Regione Lazio: il vaso di Pandora delle competenze. E se vince il Si? Sui destini della questione l’ultima parola spetta alla Regione: questa è la tesi conclamata dalla sfera vicina a Zingaretti, appellandosi alla natura “cognitiva” del provvedimento ministeriale; quella “positiva sollecitazione collaborativa”, come l’ha definita il delegato all’Ambiente Buschini, diventerebbe automaticamente inaggirabile nel caso la regione non predisponessi di un piano Rifiuti, documento che però l’assise regionale ha ratificato solamente sei mesi fa. Ed ecco che, almeno apparentemente, il decreto legislativo si configura – è quanto si legge nel testo – come un dispensatore di “contenuti programmatici generali” che vanno a stabilire un “un quadro di riferimento per successivi atti di pianificazione regionale”; e soprattutto che non vanno ad intervenire “sulla ubicazione puntuale, sulle condizioni operative, né sulla ripartizione di risorse”. Una “intimazione” che di fatto, oggi, non è ancora supportata da una Vas che metta nero su bianco gli effetti ambientali, quindi i determinanti e le pressioni esercitate sull’ambiente. Secondo la Direzione generale per i rifiuti e l’inquinamento del Ministero non vi è la sussistenza per avviare tal procedimento, che però dovrà essere intrapreso, sotto l’egida degli uffici tecnici della Regione circa le relazioni preliminari dei singoli progetti candidati ad espletare la richiesta del Governo di un nuovo inceneritore. Competenza – quella della Pisana sulla questione nuovo inceneritore – che è ammessa nello art.35 dello Sblocca Italia ed è conferita dallo stesso decreto dello scorso 5 ottobre: “spetta alle regioni – recita il testo – il compito di recepire, nell’ambito dei rispettivi Piani di gestione dei rifiuti, le scelte strategiche contenute nel presente decreto, avviando le necessarie procedure di valutazione ambientale strategica ed eventualmente di autorizzazione dei progetti, in esito alla localizzazione dell’impiantistica da realizzare per soddisfare il relativo fabbisogno residuo di incenerimento dei rifiuti”. Riferimento che rimanda al decreto legislativo del 2006 sulle “Norme in materia ambientale”. Ma c’è un “però”: l’art.199 comma 12 di tale dgls, il quale afferma che, previo l’accordo con la Regione interessata, sono ammessi “la costruzione e l’esercizio, oppure il solo esercizio, all’interno di insediamenti industriali esistenti, di impianti per il recupero di rifiuti urbani non previsti dal piano regionale”. È nella formulazione del titolo V che si nasconde il grimaldello della questione: così come è oggi il Governo può attivare il potere sostitutivo, forte anche del placet ottenuto in sede di Conferenza Stato-Regioni dagli enti. E c’è anche chi paventa, come il consigliere Robilotta, uno scenario risolutivo a favore della manovra dell’esecutivo nel caso se vincesse il Si all’imminente referendum costituzionale: secondo tale ipotesi la cosiddetta “clausola di supremazia statale” – inserita nella modifica dell’art.117 del Titolo V sulla ripartizione delle competenze Stato-Regioni e che elimina la legislazione concorrente su diverse materie – potrebbe rivelarsi una mannaia scagliata sulla vicenda. Anche se c’è da precisare che la gestione rientra già nelle competenze esclusive dello Stato, e che la legislazione delle Regioni in materia è limitata ad una potestà “integrativa” in funzione di una “maggiore tutela ambientale”, senza violare gli standard minimi stabiliti dal Ministero; e non è ancora chiaro come la revisione costituzionale posso influire puntualmente sulla gestione rifiuti. Resta il fatto che, qualsiasi sia l’esito del referendum, la giunta Zingaretti non sembra avere propriamente il coltello dalla parte del manico così come si lascia intendere dalla Pisana.
I rischi per la salute: la trincea delle associazioni ambientaliste. Il motivo per cui associazioni e comitati, così come anche Legambiente, si battono contro gli inceneritori sono i dubbi sull’impatto che possono avere sugli abitanti che vivono nelle aree limitrofe agli impianti. Sta di fatto che questo tipo di tecnologia rientra nella categoria industrie instabili stando all’art.216 del testo unico sulle leggi sanitarie. Tali impianti, bruciando i rifiuti, e quindi riducendone il volume, producono una quantità di ceneri, polveri e gas che ammontano a circa 30% del peso dei rifiuti che entrano nel processo. Si tratta di fonti inquinanti sicuramente cancerogene, quali diossine,particolato, gas contenenti metalli pesanti e cloruro di vinile. Di studi epidemiologici sul rischio esposizione e l’effetto sulla salute umana ne sono stati fatti molti, ma la controversia sulla questione è ancora aperta. Il progetto Moniter che ha preso il via in Emila-Romagna, dove sono attivi 8 inceneritori, ha evidenziato delle associazioni tra aborti spontaneo e alcune sedi tumorali – colon,pancreas e linfoma non Hodgkin – con la prossimità degli impianti nella popolazione sotto osservazione. Altri risultati allarmanti, per restare dalle nostre parti, sono emersi da uno studio dell’Eras Lazio sulla popolazione residente nel raggio di 7 km dall’impianto di Malagrotta nel periodo 1996-2010: un totale di 85.599 persone. I numeri parlano di un eccesso diagnostico e di ricoveri per patologie riguardanti il sistema circolatorio, respiratorio e digerente; si nota inoltre un’associazione nelle donne con il cancro alla mammella e alla laringe. Relazioni statistiche difficile da tradurre in vere e proprie rapporti di causa-effetto, soprattutto per condizioni patologiche multi-fattoriali come quelle tumorali. Le associazioni ambientaliste hanno tuttavia le idee molto chiare in materia. A settembre di un anno fa, tuttavia, Legambiente, Wwf, GreenPeace e Medici per l’ambiente dell’Isde ha firmato un documento condiviso nel quali si invitava i governatori delle Regioni a boicottare la programmazione del Governo sugli inceneritori inserito nello Sblocca Italia; un provvedimento, il decreto sui termovalorizzatori, che secondo i firmatari “ricaccia l’Italia indietro, prigioniera di una tecnologia, quella dell’incenerimento, che va superata anche in coerenza con i nuovi paradigmi che l’Europa indica e suggerisce”.
Una toppa su un ciclo tutt’altro che virtuoso. Quella sui rifiuti, in particolare sul nuovo inceneritore, è una partita che nel Lazio si gioca su più fronti. Da un lato il pressing del Governo, le procedure di infrazione europee e la sentenza del Tar. Dall’altro la consapevolezza che i termovalorizzatori, teoricamente, non rappresentano certo la migliore soluzione. Sia da un punto di vista di impatto ambientale – e lo dimostrano anche quegli studi epidemiologici sulla popolazione a contatto con tali “bruciatori di immondizia” – che da un punto di vista dell’ottimizzazione energetica. Si raggiunge, infatti, un rendimento pari al 40% dell’energia associata al materiale in entrata. C’è poi anche il nodo del costo: la differenziata costa 198 euro a tonnellata, mentre il termo trattamento può superare i 220 includendo gli incentivi energetici aggiunti in bolletta. Anche l’Ue non predilige tale opzione, spingendo per spostare la lancetta delle quote indifferenziato-differenziato verso una politica di gestione circolare, schema ripreso anche nel Collegato Ambientale presente nella Legge di Stabilità 2016.
Ma il punto è tuttavia un altro, e lo ha espresso senza giri di parole il ministro Galletti: “Il Lazio ha bisogno di un termovalorizzatore. A me non piace, ma lo preferisco comunque alle discariche.” La paralisi sulla gestione dei rifiuti che attanaglia la Regione potrebbe far sì che l’ipotesi (che poi è innegabilmente più di un ipotesi) di un impianto di termotrattamento sia una sorta di “toppa” necessaria. E a Latina, soprattutto a Borgo Montello il cui futuro è legato alla decisione della stessa Regione in merito agli ampliamenti, si inizia già a tremare. http://www.latina24ore.it/latina/129439/latina-nuovo-inceneritore/