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lunedì 27 giugno 2016
Quello strano delitto di don Cesare che oggi scuote le coscienze
di Gian Luca Campagna Galeotto fu il libro. Ammettiamolo. Ma facciamo un passo indietro, visto che oggi tutti parlano della morte di don Cesare Boschin. E dei suoi contorni misteriosi. E dell’avvenuta riapertura del caso. Felice Cipriani, giornalista e scrittore della memoria, a novembre mi convocò in modo quasi perentorio a casa sua. Dopo aver zigzagato con la quattroruote su gomiti asfaltati, tra faggi e ciliegi, nella campagna di Maenza, sorseggiando un nocino clandestino preparato in casa contro ogni regola, mi presentò un dattiloscritto. “È la storia di un parroco di campagna, ammazzato perché aveva tentato di difendere la sua gente e la sua terra. E tutti noi siamo stati colpevoli del silenzio che è calato sulla sua figura” mi fa, con quella cadenza lenta che appartiene a chi ne ha vista qualcuna in più degli altri e crede giunto il momento di condividere quelle esperienze. Conoscevo la storia, figuriamoci. C’ho scritto un romanzo su. O meglio, sono partito da quella storia per raccontare le storture di un territorio (quello pontino) così tanto uguale a tanti altri territori (il resto d’Italia, quindi, suppongo, del mondo occidentale), deragliando poi dalla vera storia di don Cesare ma affrontando la criticità dei traffici illeciti dei rifiuti. Volevo gettare un sasso nello stagno col mio ‘Finis terrae’, travestendo la verità con l’abito della creatività. E si sa, con la realtà romanzata, esce anche meglio. Scuote gli animi. Solo che Felice m’aveva preceduto. E di brutto. E sì, perché il mio amico, mi stava proponendo di pubblicare un libro inchiesta su quella morte, sui vizi e virtù di Borgo Montello durante gli anni ruggenti dei traffici sospetti sulla monnezza, ma soprattutto non si capacitava di un’inerzia imbarazzante cui erano cadute le fiacche energie delle istituzioni per fare luce su un caso orrendo come la morte barbara di un prete, risalente a ben 21 anni prima e archiviata con la celerità di come si calcia un rigore in una partita tra bambini. E così mentre ad aprile nasceva il libro ‘Quello strano delitto di don Cesare’ cresceva in alcune persone, che poi in rapida successione sono divenute amiche, perché quando sei teso alla ricerca ontologica, non puoi non condividere il percorso dell’amicizia, la voglia di far riemergere il caso. Così, Felice, animo inquieto e volitivo, carattere tipico delle genti lepine, s’imbatteva casualmente (o fatalmente) nell’avvocato Stefano Maccioni, il legale della famiglia Pasolini (un altro di quei casi archiviati senza un reale colpevole). Due chiacchiere, l’illustrazione del suo libro inchiesta e la curiosità investigativa di Maccioni scintilla a Borgo Montello, sublimata con la procura da parte del nipote di don Cesare, Luciano Boschin, che lo investe ufficialmente del caso. La Procura di Latina consegna gli atti e Maccioni dichiara apertamente in una presentazione del libro di Felice che, grazie alle moderne armi investigative (leggi, tracce biologiche), il caso potrebbe essere riaperto. E così è. E oggi tutti gridano allo scandalo, alla vergognosa assenza di indagini reali, al trionfo farsesco della verità, mentre il neosindaco di Latina, Damiano Coletta, dopo aver promesso l’intitolazione di una via al parroco, annuncia che il Comune di Latina si costituirà parte civile. Non so se servirà a qualcosa quest’azione. Di certo, il libro di Felice Cipriani ha aperto il vaso di Pandora delle coscienze dormienti. E alla fine, caro Felice, siamo riusciti nel nostro intento: smuovere le coscienze per spedirle a ricercare la verità. Del resto, il ruolo sociale degli scrittori è questo.http://www.expressomagazine.it/magazine/quello-strano-delitto-di-don-cesare-che-oggi-scuote-le-coscienze/
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