Dopo ogni allarme inquinamento scatta il giro di vite sulle temperature delle caldaie, ma come dimostra la clamorosa gaffe dell'allora sindaco Moratti nel 2011, si tratta di obblighi impossibili da controllare e dall'efficacia molto limitata
di VALERIO GUALERZINel gennaio del 2011, all'indomani dell'ennesimo allarme smog sulla Pianura Padana, l'allora sindaco di Milano Letizia Moratti reagì in maniera non molto diversa da come sta facendo oggi il suo successore Giuliano Pisapia. L'arsenale di armi spuntate in dotazione ai nostri amministratori per sperare di uscire rapidamente dall'emergenza inquinamento non lascia infatti grandi spazi di manovra. Così anche in quell'occasione arrivò l'immancabile ordinanza municipale per ridurre il ricorso al riscaldamento degli edifici, limitando la temperatura massima consentita a 18 gradi. Pochi giorni dopo una delegazione di Legambiente guidata da Andrea Poggio, termometri alla mano e telecamere del Tg regionale al seguito, si presentò nella sala consiliare di Palazzo Marino per misurare i gradi nell'aula. La colonnina di mercurio fu spietata nello smascherare l'ipocrisia della politica e si arrampicò rapidamente fino a quota 24, ben 6 gradi in più dei 18 consentiti. Sdegnarsi per gli amministratori che lasciano al freddo i poveri cittadini mentre loro se ne stanno al calduccio è però fuori luogo. In quell'occasione controlli furono eseguiti anche in altri edifici pubblici e i risultati non cambiarono di molto: 22, 23 e pesino 26 gradi.Se c'è qualcosa che deve scandalizzare è semmai la demagogia che si nasconde nel riflesso condizionato che accompagna ogni allarme smog, a cominciare dalle sostanzialmente inapplicabili e inutili ordinanze per limitare la temperatura del riscaldamento. Eppure, anche stavolta, persino il vertice tra il ministro dell'Ambiente Galletti, sindaci e governatori delle Regioni non ha potuto fare a meno di mettere sul piatto, tra le varie misure, anche una riduzione del riscaldamento di 2 gradi, confermando quanto già deciso ieri (dopo Pisapia) dal commissario straordinario di Roma Francesco Paolo Tronca che in una nota ha informato di aver incaricato "il comandante della polizia locale di effettuare un'attività di controllo sul rispetto delle disposizioni in materia di abbassamento delle temperature di esercizio, a partire dai grandi impianti di riscaldamento".
Il quadro di riferimento generale per il funzionamento delle caldaie è regolato dal decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 74. Per quanto riguarda il livello di riscaldamento invernale la normativa prevede che "la media ponderata delle temperature dell'aria misurate nei singoli ambienti riscaldati di ciascuna unità immobiliare non deve superare i 18°C (+ 2 di tolleranza) per gli edifici adibiti ad attività industriali, artigianali e assimilabili e i 20°C + 2 per tutti gli altri edifici".
Un regolamento che può valere come indicazione di massima, ma che chiunque abbia esperienza di faticose assemblee di condominio sa bene, è molto difficile da prendere alla lettera visto che la temperatura di un primo piano non sarà mai uguale a quella di un attico e che quella della parte di edificio esposta a sud non sarà mai uguale a quella esposta a nord. Ancora più velleitario è pensare, come sembra voler fare il commissario Tronca, che queste norme possano essere fatte rispettare a forza di controlli. "L'esercizio, la conduzione, il controllo, la manutenzione dell'impianto termico e il rispetto delle disposizioni di legge in materia di efficienza energetica - recita sempre il decreto del 2013 - sono affidati al responsabile dell'impianto, che può delegarle ad un terzo". Per quanto riguarda le sanzioni a carico dei trasgressori, i proprietari e gli amministratori di condominio che non rispettano le nuove norme in materia di climatizzazione e riscaldamento sono passibili di una multa compresa tra i 500 e i 3.000 euro. Multe tra i 1.000 e i 6.000 euro sono invece previste per gli operatori incaricati del controllo degli impianti che non ottemperano al regolamento.
"Ogni comune in realtà ha adottato modalità di verifica diverse - ricorda Andrea Poggio - a Milano negli uffici pubblici spetta al Servizio di igiene del lavoro delle Asl mentre nei condomini intervengono dei tecnici, ma possono entrare solo se attivati dalla segnalazione di un inquilino. Nessuno però è così sciocco da chiamare i vigili con la possibilità di prendersi una multa. Succede solo in seguito a liti tra condòmini e per dissuadere questa litigiosità il Comune ha istituito una tariffa di 60 euro a carico di chi fa la segnalazione per ogni chiamata".
Da Milano a Roma, altra città nella stretta delle polveri sottili, risulta dunque ben complicato immaginare in questi giorni squadre di vigili urbani, già alle prese con il difficile compito di verificare la regolarità della circolazione a targhe alterne, fare ispezioni di controllo nei condomini o negli uffici delle capitale dove nessuno li ha chiamati. Senza contare che ormai circa un terzo degli impianti di riscaldamento degli edifici residenziali è autonomo e quindi le verifiche sulle temperature e l'efficienza delle caldaie andrebbe fatta appartamento per appartamento. Inoltre se si parla di inquinamento dannoso per il clima del Pianeta è un conto, ma ai fini dello smog urbano le nostre caldaie, ormai per la maggior parte a metano (vedi tabella dell'Enea qui sopra), hanno un incidenza molto modesta mentre il vero pericolo, come ricordava oggi su Repubblica Stefano Caserini del Politecnico di Milano, sono semmai i camini a legna, ancor più difficili da controllare malgrado il divieto imposto. "Ogni iniziativa che promuove l'efficienza energetica e la riduzione delle emissioni di CO2 è benvenuta", dice il presidente della Federazione italiana per l'uso razionale dell'energia Dario Di Santo. "Ma sgombriamo il campo dagli equivoci: contro lo smog ordinanze come quella sul riscaldamento non servono assolutamente a nulla". http://www.repubblica.it/ambiente/2015/12/31/news/smog_misure_sul_riscaldamento_inutili_e_inapplicabili-130376918/?ref=twhr&utm_source=dlvr.it&utm_medium=twitter
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