La sera del 12 agosto la città portuale di Tianjin, uno dei maggiori centri industriali della Cina, con quindici milioni di abitanti, venne svegliata da due forti esplosioni innescate in un deposito di sostanze chimiche. Oltre cento i morti, settecento i feriti e trentamila persone intossicate. Il 20 novembre, cento giorni dopo il disastro, la Cina ricorda quella che è stata una tragedia umana e ambientale di proporzioni gigantesche.
Il magazzino della compagnia Ruihai Logistics, dove si è verificata l'esplosione, conteneva molti composti chimici altamente pericolosi e reattivi, tra cui centinaia di tonnellate di cianuro di sodio, una sostanza che può essere letale se inalata.Secondo i dati della stazione di monitoraggio di Tianjin-Tanggu, tra i materiali pericolosi c'erano, oltre al cianuro di sodio, toluene disocianato e carburo di calcio, che in caso di contatto rappresentano una diretta minaccia per la salute. In particolare il cianuro di sodio è altamente tossico.
In questi giorni il governo sta per rendere noti i risultati dell’indagine su come si è potuto produrre il disastro. Qian Cheng, di Greenpeace Asia orientale, unica organizzazione internazionale presente sul posto, che ha seguito quotidianamente l'evolversi della situazione, continua a occuparsi di questa tragedia per far sì che non si ripeta mai più.
Che lezione possiamo trarre da quanto accaduto a Tianjin?
Il sistema di gestione delle sostanze chimiche pericolose non funziona, ha troppe falle ed è troppo permissivo. Ci sono esempi internazionali su come rispondere ai disastri (il caso di Seveso, in Italia, nel 1976) ma anche su come prevenirli. La Cina ha bisogno di un sistema a 360 gradi per prevenire simili disastri. E poi bisogna fare molto sul fronte della trasparenza, perché non è possibile che nessuno sapesse, a iniziare dai vigili del fuoco che sono intervenuti perdendo la vita, quali sostanze fossero custodite in quel sito.
Neanche gli abitanti erano a conoscenza di abitare vicino a un sito pericoloso?
No, affatto. Le abitazioni civili erano a meno di 500 metri dal deposito, mentre la distanza minima prevista è di un chilometro. Una distanza di sicurezza, qualunque essa sia, non è comunque sufficiente per fornire sicurezza ai lavoratori, abitanti e ambiente.
Cosa servirebbe?
Una riflessione trasparente sull’uso delle sostanze chimiche nel nostro Paese e una loro seria regolamentazione. C’è una sorta di REACH cinese, in quanto prende spunto dalla normativa europea che regola le sostanze chimiche, ma si applica solo alle nuove sostanze chimiche. Ci sono più di 45.000 sostanze chimiche che sono state classificate, ma che non sono completamente sotto controllo.
Possiamo dire che Tianjin, come accadde per Cernobyl, deve servire a svegliare le coscienze e portare a modificare il sistema?
Pensiamo debba avvenire adesso. Anche allora tanti vigili del fuoco persero la vita nel tentativo di spegnere l’incendio al reattore. Non abbiamo bisogno di eroi, ma di regolare meglio le sostanze chimiche che impieghiamo, eliminando quelle pericolose che possono essere sostituite con alternative più sicure, per evitare i rischi ambientali, sanitari e di sicurezza. Questo è proprio il momento giusto per farlo, perché il governo si appresta a varare il prossimo piano quinquennale. http://www.lastampa.it/2015/11/19/scienza/ambiente/inchiesta/cento-giorni-dopo-la-seveso-cinese-fa-ancora-paura-Q3z229BCZeGsnuIs4NgGlM/pagina.html
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