venerdì 2 ottobre 2015

L'appello degli scienziati: "Così deve cambiare l'Ipcc per salvare il Pianeta"

Da quasi trent'anni il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico studia il malessere terrestre. Ma i risultati ottenuti fino a oggi non soddisfano gli scienziati che, alla vigilia delle elezioni del nuovo presidente, propongono di voltare pagina: più apertura al grande pubblico, comunicazioni più agili e taglio dei costi

È dal 1988 che migliaia di studiosi da 195 Paesi studiano il malessere del clima terrestre, e come evitare (o almeno minimizzare) i danni dovuti al riscaldamento climatico. Aumentano i dati, i grafici, migliorano i modelli climatici ma, di fatto, nulla si fa per evitare il peggio. I risultati di decine di conferenze sul clima e vertici per i negoziati multilaterali sono stati finora deludenti. Il pubblico rimane confuso e i governi non trovano soluzioni all'incalzante cambiamento climatico.

Il clima cambia dunque, noi no. A pochi mesi dalla conferenza internazionale sul clima indetta dalle Nazioni Unite a Parigi (Cop 21, in Dicembre) ai governi si chiede ora di concludere i negoziati con risultati concreti. Il tempo per compiere quella "svolta epocale" necessaria per ridurre le emissioni e contenere l'aumento della temperatura entro 2°C scarseggia.

Oggi molti esperti si chiedono dunque se l'Ipcc sta facendo "le cose giuste" e se le "sta facendo bene". L'Ipcc "ha subito molte critiche sia nella sostanza sia nel modo di operare", sostiene oggi su Science Carlo Carraro ex rettore della Università Cà Foscari Venezia e attuale vice-presidente di uno dei gruppi di lavoro dell'Ipcc. Tra queste c'è il carattere troppo "tecnico" e "globale" dei rapporti dell'Ipcc, poco adattabili a problematiche politiche locali. I politici "chiedono indicazioni precise e locali", e finora l'Ipcc non è stata in grado di fornirle. Insomma i politici si trovano spesso in mano un documento di cui non sanno bene cosa fare.

Secondo Carraro, Robert Stavins e Robert Stowe (Università di Harvard), Charles Kolstad (Università di Stanford), Christian Flachsland e Ottmar Edenhofer (Mercator Research Institute on Global Commons and Climate Change, Berlino), l'Ipcc deve cambiare tono, marcia, obiettivi. Il rischio è quello di diventare un'istituzione macchinosa a cui nessuno da più ascolto.

"Un problema è che la scienza del clima progredisce rapidamente, ma è frenata dalla lentezza tipica delle Nazioni Unite", dice Carraro. "Inoltre, gli scienziati discutono i temi da presentare nelle sintesi dei rapporti, che sono i documenti più letti (rispetto ai corposi rapporti finali), e sono poi i politici a decidere cosa verrà pubblicato. Temi importanti ma scomodi per alcuni Paesi, nelle sintesi possono saltare". Un primo cambiamento proposto da Carraro e colleghi è quindi quello di far sedere allo stesso tavolo scienziati e politici, in modo da comprendere l'uno il linguaggio e le ragioni dell'altro. Malgrado il futuro del clima terrestre dipenda dal dialogo tra scienziati e politici, i due mondi sembrano non essersi ancora incontrati. "Sia gli scienziati sia i politici beneficerebbero di uno scambio di vedute", dice Carraro.

Affetto da una sorta di forma di gigantismo che lo rende pesante e complicato, l'Ipcc richiede continuamente agli studiosi la presenza in riunioni, conferenze, incontri. Bisognerà ridurre i viaggi, abbattere i costi, aumentare le collaborazioni a distanza, scrivono Carraro e colleghi (senza contare l'inquinamento dovuto allo spostamento frequente di centinaia di esperti da un punto del globo all'altro).

Infine c'è la cronica incapacità del mondo accademico di comunicare con il pubblico. "Ora serve un'efficace strategia di comunicazione. Dobbiamo impiegare anche i nuovi media e i social network. Bisogna che l'Ipcc diventi capace di fare buona divulgazione al mondo politico, del business e al grande pubblico per evitare che la divulgazione sia fatta, in modo talvolta distorto, da altri", dice Carraro.

C'è anche una sproporzione tra rappresentanti del mondo scientifico dei Paesi occidentali rispetto a quelli delle economie emergenti o in via di sviluppo. Gli autori sostengono che servono più risorse per la partecipazione dei paesi in via di sviluppo, fino a oggi sottorappresentati (pur essendo questi tra le prime vittime del cambiamento climatico).

La proposta di riforma presentata su Science "coglie un sentimento diffuso all'interno dell'Ipcc di insoddisfazione nei confronti della gestione passata" e anticipa le elezioni del presidente e dei nuovi vertici dell'Ipcc, indette per il 6-10 Ottobre. Carraro conclude sottolineando che questa potrebbe essere l'occasione per rinnovare l'Ipcc e renderlo uno strumento ancora più efficace. http://www.repubblica.it/ambiente/2015/10/01/news/l_ipcc_a_un_bivio_rinnovarsi_o_finire_per_non_essere_piu_ascoltati-124006272/?ref=HREC1-16

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