Il rallentamento economico della Cina e degli ex Paesi emergenti ha accelerato un trend di ribassi delle commodity che dura ormai da diversi mesi. I titoli del comparto minerario sono stati colpiti dalle vendite, perché la prospettiva di stagnazione delle materie prime mette a nudo le debolezze di bilancio: Glencore ha perso più del 70% da giugno Quindici mesi di calo delle materie prime iniziano ad essere un indizio sufficiente del fatto che le commodity si trovino nel mezzo di una crisi bella e buona. E' con questo concetto, preso in prestito dall'analisi diBloomberg, che si può partire nel descrivere il crollo azionario che stanno vivendo le grandi compagnie del settore, da Glencore a Rio Tinto passando per Bhp Billiton. La prima, quotata alla Borsa di Londra, lunedì è crollata di trenta punti percentuali lasciando sul terreno oltre 4 miliardi di capitalizzazione. Dal giugno scorso, il titolo ha perso più del 70%, mentre nella giornata di martedì è andato in scena un recupero dopo le vendite della vigilia (il titolo).
I problemi del settore sono molteplici. Di base, la ragione della crisi sta nel rallentamento cinese che getta ulteriori ombre sul consumo di materie prime: se l'economia più dinamica al mondo, la fabbrica del globo, non garantisce ritmi di espansione da centometrista, ma rallenta per iniziare a correre il suo mezzo fondo, allora non ci sarà così bisogno di rifornirla di materie prime. L'ultima conferma è arrivata dal tracollo dei profitti industriali, il peggiore da quattro anni. A Pechino, poi, vanno aggiunti tutti gli altri Brics (a cominciare dal Brasile) che non sono più Paesi emergenti e neppure dinamici, ma economie stanche nel mezzo di una crisi. E quindi i titoli delle compagnie del comparto ne soffrono. Queste prospettive acuiscono - come nel caso di Glencore - problemi endogeni che riguardano la sostenibilità dei bilanci. Non è un mistero per gli analisti che quello del colosso minerario sia troppo indebitato e che, con un aumento del costo dell'indebitamento, si possa metterne a repentaglio la reputazione di emittente da "investment grade", cioè di sicuro affidamento secondo le agenzie di rating.
Sta di fatto che il problema è generalizzato ed esce dai libri contabili di Glencore e dalle sue magagne borsistiche. Il Bloomberg commodity index è sceso del 50% dai picchi del 2011 (-15% sono in questo trimestre, il peggiore dal 2008) e otto delle dieci azioni che hanno performato peggio sullo Standard&Poor's 500 - indice principale di Wall Street - fanno affari nel mondo delle materie prime. Alcoa ha appena annunciato uno spinoff aziendale che vorrebbe esser proprio la risposta a un mutato contesto di settore, Shell ha deciso di ritirarsi dall'Artico nonostante abbia investito miliardi di dollari sul petrolio dell'Alaska. Tutti stanno rivedendo i piani d'espansione e investimento e come se non bastasse ci sono anche le autorità in giro per il mondo che mettono in dubbio il comportamento delle banche nel determinare i prezzi delle materie prime preziose: i picchi dei prezzi di oro e argento sono ormai una memoria di quattro anni fa, il petrolio ha iniziato la sua discesa nell'estate del 2014 e - complice il comportamento dell'Opec - non si è mai ripreso, il gas naturale Usa vale meno di un quarto di quanto segnasse nel 2008.
E per alcuni il peggio potrebbe esser solo iniziato. Ha fatto rumore la ricerca degli analisti John LaForge e Warren Pies, del Ned Davis Research Group, secondo i quali le materie prime sarebbero in un super-ciclo di ribassi da 20 anni, sulla base di un'analisi che risale al 18esimo secolo e lega i prezzi delle commodity all'andamento dei mercati più che ai fondamentali. La buona notizia, ha spiegato LaForge, è che il crollo maggiore si ha nei primi sei anni di ciclo.
Le reazioni si vedono dunque in ogni parte del globo. L'ultima a intervenire è stata la Banca centrale indiana, che - anche sotto la pressione ad allentare del premier Narendra Modi - ha tagliato i tassi dal 7,25 al 6,75%, ai minimi dal maggio 2011 e molto oltre le attese. Il governatore Raghuram Rajan ha spiegato la mossa dicendo che "l'indebolimento dell'attività economica globale rispetto alle nostre ultime stime lascia intendere che i prezzi delle commodity rimarranno bassi per un po': serve una domanda interna più forte per sostenere la crescita mondiale debole, e la politica monetaria deve essere accomodante per questo". http://www.repubblica.it/economia/2015/09/29/news/materie_prime_crollo_glencore-123903238/?ref=HRLV-6
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