Ho conosciuto Stefan Weber in una fredda e nevosa serata viennese a metà degli anni ’80. Partecipavo per la prima volta ad un campaign meeting di Greenpeace e la tradizione voleva che i neofiti condividessero la stanza d’albergo con un campaigner esperto: Stefan appunto. Ma lui allora pesava oltre 120 chili. Quindi con quella che era la sua caratteristica risata tonante mi disse che forse sarebbe stato meglio per me dormire con qualcun altro: “Russo come un trattore”. Mi fece l’occhiolino: “Sono anni che uso questa scusa per poter dormire in una stanza singola: cosa non prevista dalle regole interne”.
Stefan era fatto così. Allegro, ottimista, spaccone. Allergico a qualsiasi regola ritenesse stupida. Cioè tutte. Tedesco (meridionale) di nascita e passaporto, era finito in Svizzera, a Zurigo, per ragioni familiari. Negli anni ’70, Zurigo è stata campo di battaglie studentesche di intensità comparabile a quelle accadute contemporaneamente a Milano, Roma e Bologna. Stefan ne aveva vissute parecchie. Soprattutto, aveva provato sulla propria pelle il declino del movimento, stritolato tra l’indifferenza e la paura dei bravi cittadini e i morsi dell’eroina.
Stefan disprezzava la Svizzera. Il suo cuore era in una villetta sulle colline sopra Rosignano, con vista sul mare e la spiaggia bianca dello stabilimento Solvay. Sarebbe inutile adesso elencare le tante battaglie condotte insieme, soprattutto quelle contro le esportazioni di rifiuti tossici nei Paesi poveri che rivelarono gli intrecci criminali tra trafficanti di armi, droga e rifiuti, servizi segreti e rispettabili finanzieri ed avvocati d’affari svizzeri, inglesi e caraibici.
La condanna di David Mills ed il recente arresto di Filippo Dollfus, appartenenti a quelle categorie di colletti bianchi, confermano quello che un piccolo team di Greenpeace, di cui Stefan era la testa di ariete, aveva denunciato anni prima. A supporto della dichiarazione pubblica dell’allora Segretario Generale dell’Onu, Kofi Annan, sulla presenza della “mafia” dietro le esportazioni di rifiuti tossici in Somalia, c’erano le investigazioni di Greenpeace.
Che l’holding ODM fosse registrata alle British Virgin Islands presso lo studio fiduciario di colui che era stato nominato dagli americani capo della polizia panamense dopo l’invasione e l’arresto di Noriega, lo rivelò Greenpeace. Si sono già scritti libri, prodotto brillanti documentari e abbozzati copioni cinematografici su queste storie. La Convenzione Unep di Basilea sulle esportazioni di rifiuti, pur con tutti i suoi limiti, fu il risultato diretto della campagna di Greenpeace. Gli Usa non l’hanno mai ratificata.
Stefan amava guidare. Treni ed aerei gli erano sconosciuti. Anche perché gli avrebbero impedito di arrivare alle riunioni col suo bagaglio preferito: casse di bottiglie di vino francese. Quando c’era lui, si era sicuri che l’ultima notte sarebbe stata memorabile. Stefan non usava carte di credito e non aveva un conto in banca. Aveva sempre le tasche piene di qualsiasi valuta europea. Diceva di “non voler lasciare tracce”. Stefan non sopportava i burocrati che amavano la vita tranquilla e gli inviti a Davos. Preferiva di gran lungo il suo cane.
Greenpeace non seppe mai che, “per meglio conoscere il mondo dei trafficanti” qualcuno aveva creato una società lussemburghese che andava in giro a “tastare il terreno” sulla possibilità di esportare rifiuti tossici. Le offerte, naturalmente, piovvero. Vennero proposte spedizioni in America Latina, Africa, Caraibi, Romania, di cui Stefan era tempestivamente informato. Alla fine, ci trovammo ad avere a che fare con agenti segreti sotto copertura, poliziotti, gendarmi, infiltrati, truffatori e millantatori e dogane di mezza Europa. Ma, soprattutto, con “rispettabili” aziende europee, sempre alla ricerca di soluzioni facili e poco care per liberarsi dei loro rifiuti.
Stefan non esitava a prendere rischi. Quando venimmo a conoscenza che la sede ODM era in un distinto quartiere luganese, indossammo giacca e cravatta e con borsa di pelle ed occhiali da sole Stefan bussò alle porte di tutto l’edificio, entrando negli uffici, memorizzando entrate ed uscite. “Andiamo a visitare Comerio la prossima settimana” disse alla fine. L’ufficio svizzero lo implorò di parlare prima con gli avvocati. “Sono avvocati svizzeri. meglio informarli dopo, altrimenti ci diranno di stare fermi e zitti”. Aveva ragione lui, naturalmente. Diversi avvocatini luganesi si squagliarono al pallido sole ticinese quando vennero informati dell’intenzione di visitare gli uffici ODM e di pubblicare il rapporto The Network. Dovemmo rivolgerci a Zurigo e Berna, dove trovammo finalmente qualcuno disposto a fornire supporto legale, dietro adeguato pagamento naturalmente.
Stefan non era d’accordo con la decisione di Greenpeace di chiudere – praticamente – la campagna contro i traffici di rifiuti. I morti provocati da Trafigura in Costa d’Avorio e le migliaia di tonnellate di rifiuti elettronici che coprono le praterie africane gli avrebbero dato ragione. Ma la lotteria nazionale olandese nel 1998 aveva donato 7 milioni a Greenpeace per combattere la deforestazione amazzonica. Obbiettivo sacrosanto ma preso a pretesto per farla finita con quei rompiscatole che avevano scoperchiato la fogna criminale e finanziaria dei traffici internazionali e le loro coperture istituzionali, portando Greenpeace in un una “terra incognita” che provocava disagi, incomprensioni ma anche invidia all’interno dell’organizzazione, vista la grande popolarità guadagnata.
Praticamente tutti gli uffici nazionali utilizzavano i successi della campagna “waste trade” per le loro attività di ricerca fondi. Priorità all’Amazzonia quindi e arresto immediato della campagna “waste trade”, con un taglio netto del 50% del budget e dei campaigners internazionali, fino ad allora attivi praticamente in tutto il mondo e la prospettiva di un ulteriore riduzione per gli anni successivi. Era arrivato il momento di voltare pagina, anzi di bruciarla. Stefan non si voltava indietro.
Soprattutto, Stefan era incazzato. Con la sua espressione bonaria, la risata tonante, contagiosa e le sue poche parole in italiano – “Ciao sono Stefano” si annunciava al telefono – Stefan era incazzato e quindi agiva. La sua prematura scomparsa ho paura renderà queste qualità ancora più rare.
Roberto Ferrigno*
*Ex coordinatore internazionale campagna “Toxics” di Greenpeace http://toxicleaks.org/blog/2015/09/03/caccia-ai-trafficanti-di-rifiuti-chi-freno-greenpeace-un-ricordo-di-stefan-weber/
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