Un mondo senza pesci: tra 40 anni, se non si corre ai ripari, potrebbe essere una realta'. L'allarme e' stato lanciato alle Nazioni Unite nel corso di un convegno organizzato dalla Ocean Sanctuary Alliance con l'Italia e un vasto gruppo di Paesi dalle Bahamas alla Polonia, Palau e le Maldive, Australia, Olanda e Israele: tutti uniti nello sforzo di guidare in porto l'obiettivo di sviluppo sostenibile n. 14 che dovrebbe essere approvato il prossimo Settembre dall'Onu e si prefigge di "conservare e usare sostenibilmente mari e oceani e le risorse marine". Come e' vero per l'Italia, oceani e mari - ha ricordato il rappresentante permanente italiano all'Onu Sebastiano Cardi - sono "una opportunita' e una sfida in cui "tutti hanno una posta in gioco". I partecipanti al convegno hanno concordato che le oasi marine sono cruciali per il mantenimento dell'equilibrio ecologico, che e' poi essenziale per l'esistenza umana, e Cardi ha ricordato l'impegno italiano nell'iniziativa pilota del piccolo stato isola di Palau per dar vita alla prima riserva marina nazionale. "Questi non sono tempi ordinari", ha osservato d'altro canto il rappresentante delle Bahamas Elliston Rahming secondo cui "gli oceani di domani dipendono da oggi". Le Bahamas stanno prendendo contromisure: si sono impegnate a aumentare le oasi marine del 10% entro il 2020.
Il rischio di un futuro senza pesce arriva anche da uno studio della University of British Columbia che punta il dito contro il cambiamento climatico, l'acidificazione degli oceani, la pesca eccessiva e la distruzione degli ecosistemi marini.
L'indagine è stata presentata in Giappone dal team internazionale di ricerca del programma Nereus, che si occupa di studiare il futuro degli oceani e della pesca a livello mondiale. Stando agli esperti, è necessario correre ai ripari percorrendo due strade: migliorare la governance degli oceani per garantire una pesca sostenibile, e al contempo ridurre le emissioni di CO2.
"I tipi di pesce che porteremo in tavola saranno in futuro molto diversi", spiega William Cheung, codirettore del programma Nereus. "I pescatori cattureranno molte più specie di acqua calda, dalle dimensioni inferiori, e questo influenzerà l'approvvigionamento ittico proveniente sia dalle attività di pesca nazionale e d'oltremare, sia dalle importazioni".
In molte regioni del Pianeta, proseguono gli studiosi, i cambiamenti previsti condurranno a un declino delle attività di pesca, così come a un'alterazione della biodiversità marina e della catena alimentare.
Il rischio di un futuro senza pesce arriva anche da uno studio della University of British Columbia che punta il dito contro il cambiamento climatico, l'acidificazione degli oceani, la pesca eccessiva e la distruzione degli ecosistemi marini.
L'indagine è stata presentata in Giappone dal team internazionale di ricerca del programma Nereus, che si occupa di studiare il futuro degli oceani e della pesca a livello mondiale. Stando agli esperti, è necessario correre ai ripari percorrendo due strade: migliorare la governance degli oceani per garantire una pesca sostenibile, e al contempo ridurre le emissioni di CO2.
"I tipi di pesce che porteremo in tavola saranno in futuro molto diversi", spiega William Cheung, codirettore del programma Nereus. "I pescatori cattureranno molte più specie di acqua calda, dalle dimensioni inferiori, e questo influenzerà l'approvvigionamento ittico proveniente sia dalle attività di pesca nazionale e d'oltremare, sia dalle importazioni".
In molte regioni del Pianeta, proseguono gli studiosi, i cambiamenti previsti condurranno a un declino delle attività di pesca, così come a un'alterazione della biodiversità marina e della catena alimentare.
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