Oggi la città dell’I l va è un po’la casa di tutti. Ecco perché è importante esserci: perché significa parlare di equità e di giustizia
di Stefano Caselli Si avvicina il Primo maggio, si avvicina il giorno di festa dei due concerti. Sul palco di Taranto, tra i top, ci saranno i Subsonica. Parlando con Davi- de Dileo alias “Boosta”, la prima domanda è d’obbligo. Davide, perché i Subsonica a Ta- ranto e non a Roma? Perchésista spostandotutto.Il vero Primo maggio, probabil- mente, sta diventando quello. È più concreto, più aderente alla realtà, più vicino ai principi di una festa che è ancora viva, anzi, più viva che mai, una manife- stazione dove alzare la voce e di- re delle cose è più facile. Il Primo maggio non deve essere un con- certo d’élite e quello di San Gio- vanni,nel corsodeglianni, loè diventato. Era “il concerto”solo perché si faceva a Roma. Ma l’Italia si è fratturata, così essere a Taranto venerdì significa ca- larsi di più nel tempo attuale. Responsabilità del sindacato? Credo di sì.Senza usare termini eccessivi e senza fare polemica, c’è un forte invecchiamento nel concetto di sindacato.Va molto di moda parlare di “2.0”a pro- posito di qualsiasi cosa. Ecco, te- mo che qui siamo al livello 0.1, ancora un modello MsDos. Mi rendo conto che sia difficile adattarsi a una crisi che ha ato- mizzato il mondo del lavoro, ma il mondo sindacale ha scelto, per
ora, di rimanere ancorato a una parte di mondo del lavoro che non è più il solo mondo del la- voro. È una scelta legittima, forse non c’è nemmeno alternativa, ma è un dato difatto che la rap- presentanza sia un po’in crisi. A Taranto si parlerà molto an- che di ambiente, di Ilva, petrol- chimici in Sicilia, trivellazioni in Basilicata... Vi diranno che siete quelli del “n o”a tutto... Io spero esista anche un
‘No-Mink’, nel senso di no alle minchiate.Se lecoseandassero bene, sarei il primo a dire sì. Ma così non è. Troppo spesso ci tro- viamo nella condizione di cer- care la giustizia e di trovare la legge. E le due cose non vanno d’accordo. Ecco perché è im- portante essere a Taranto: per
chi viene da fuori come noi, per manifestare solidarietà e inte- resse concreto per un problema ambientale, quello dell’Ilva, che la politica sta scegliendo di af- frontare mettendo in secondo piano il benessere delle persone. Ma in questo momento Taran- to è come se fosse la casa di tutti: esserci significa parlare di equi- tà e di giustizia. È questo il tema del nostro Primo maggio. È difficile sentirsi “co n t ro”un governo –almeno in teoria –di centrosinistra, guardandolo da s i n i st ra? Fondamentalmente, come molti temo, ho un rapporto con la politica molto disilluso. Os- servoe misentocome difronte al tavolo del gioco delle tre car- te: sembra impossibile riuscire a separare le cose buone dall’op - portunismo. Capisco che le di- namiche della politica abbiano le loro regole, ma il segnale con- tinuo è quello di una clamorosa e diffusa ignoranza civica e di una colossale mancanza di ri- spetto verso la realtà. Ed è anche un problema di informazione. In che senso? I media sono sommari. Cerco di capire cosa diavolo sia questo Italicum e facciofatica. Il para- dosso evidente è che siamo in un’epoca in cui dovremmo es- sere più informati e invece fac- ciamo fatica a individuare le no- tizie certe. Io non ho capito qua- li cavolo di fantomatiche rifor- me siano state fatte, tranne poi
scoprirlo dal commercialista. E poi vale tutto, tutti parlano, tutti commentano, tutti twittano... Poi accendi la tv,vedi le imma- gini del Parlamento e sulla sedia non stai tanto comodo. Tutti spariamo cazzate, io per primo, ma ilsenso di tristezza peril li- vello oggettivamente basso del-
la politica e della classe dirigen- te è avvilente. Non c’è più nes- suno che ti illumini a parole… Essere rock star e voler essere “impegnati”è ancora un bel pri- v i l e g i o? Il mio mestiere è fare pop, non gridareslogan.Ma ancheilpop si può fare con onestà intellet- tuale. Ed è quello che cerco di fa- re.Èuna questionediresponsa- bilità, ed è proprio il senso di re- sponsabilità che oggi manca. Bi- sogna averlo ben presente quan- do si sta su un palco davanti a migliaia di persone. La gente ti guarda, ti ascolta e magari capita purecheprenda sulserioquello che dici. Poiosservo il pubblico ai nostri concerti. Davanti vedo i più giovani, dietro, vicino al mi- xer, quelli che magari erano con noi giàvent’anni fa. Ailati, sugli spalti, quelli che hanno figli. Ec- co, mi sembra che nessuno si sia perso per strada. Forse questo si- gnifica essere stati onesti.
il fatto quotidiano 30 aprile 2015
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