DOPO L’INCENDIO DI UN MEZZO; A TERNI IL FASCICOLO (ORA PASSATO A ROMA) RIGUARDA LE OMOLOGAZIONI FACILI CONCESSE A PIRELLI, FIAT IVECO E ALTRI DAL MINISTERO DEI TRASPORTI : PRESTO LA DECISIONE SUL SEQUESTRO DEI DISPOSITIVI
IL CASO DELLA DUKIC
La società veneta ha
inventato un prodotto -
“f u n z i o n a n te ”s e co n d o
il Cpa di Bari - per il quale
da anni non le viene
concessa l’o m o l o ga z i o ne
NEL MIRINO DEI PM
I funzionari pubblici sono
accusati di aver violato
le norme per procurare
ad alcuni produttori
“ingiusto profitto”anche
ostacolandone altri
di Marco Palombi
e Carlo Tecce
T
utto comincia con un mezzo
che va a fuoco nel Torinese.
Parte da lì la nuova
inchiesta sui filtri antiparticolato
(Fap) per i diesel
che riaccende la luce su uno
dei prodotti più controversi del (ricco) mercato
dell’auto. Il procuratore di Torino, Raffaele
Guariniello, ha aperto un fascicolo sui
Fap, sentito qualche funzionario del ministero
dei Trasporti e iscritto alcune persone
nel registro degli indagati: nel mirino funzionamento
e utilità dei dispositivi che dovrebbero
rendere le auto meno inquinanti. I
reati ipotizzati, al momento, riguardano la
sicurezza e forse l’ambiente. Agli atti ci sono,
infatti, anche due perizie presentate da Assoconsum,
un’associazione di consumatori:
“Dai nostri studi si evince addirittura che
con l’installazione del Fap i danni per la salute
sono potenzialmente persino maggiori”,
dice il presidente Giovanni
Maria Cicero. Sui difetti
di questi filtri esiste in
rete una sterminata aneddotica
e non manca letteratura
scientifica sulla loro sostanziale
inutilità (se non dannosità)
ai fini del contenimento
delle “polveri sottili”.
Eppure sono obbligatori per
legge: senza il filtro, l’auto
non è omologata e non può
circolare. Di più: un decreto
ministeriale del 2008 li ha in
buona sostanza indicati come
la tecnologia ufficiale
dello Stato italiano in materia di riduzione
delle emissioni dei diesel. Lo testimonia il
caso del dispositivo 3D della Dukic Day
Dream, una società veneta che ha inventato
un sistema che lavora sulla combustione anziché
sull’ingabbiamento delle polveri (se ne
occupò Report già nel 2010): il ministero non
lo ha mai omologato nonostante il suo Cpa
(Centro prove auto) di Bari abbia messo nero
su bianco che il sistema funziona ed è
quindi “conforme”. Cavilli, liti giudiziarie e
querele si susseguono da allora, il lontano
2008, senza esito: nel frattempo il mercato
dei Fap ha preso piede, anche grazie a generosi
contributi delle Regioni per centinaia
di milioni di euro (l’ultimo è quello della
Lombardia, che ha regalato ai produttori altri
10 milioni, dopo le decine degli anni scorsi)
e all’obbligatorietà dell’installazione sui
nuovi veicoli.
1. L’inchiesta di Terni, ora a
Roma: ministero sotto accusa
Torino, ma prima ancora Roma. Anche la
procura della capitale indaga sul funzionamento
dei filtri antiparticolato e su alcuni
presunti illegittimi interventi dei dirigenti del
ministero dei Trasporti. Il 29 aprile 2014 il
pm Giorgio Orano ha ricevuto da Elisabetta
Massini, sostituto procuratore a Terni, gli atti
di un procedimento a carico di Alessandro
De Grazia, Antonio Di Pietroantonio, Maurizio
Vitelli, Paolo Cupini e Vito Di Santo.
Massini ritiene che i cinque dirigenti dei Trasporti,
in concorso fra loro, abbiano commesso
i reati di abuso d’ufficio e falso ideologico.
Per sostenere l’accusa, allega una consulenza
tecnica e la denuncia di Anna Dukic.
Il comportamento dei cinque dirigenti avrebbe
procurato - scrive il magistrato nella trasmissione
degli atti a Roma - “un ingiusto
profitto” a Fiat, Pirelli Feelpur e Iveco. Il consulente
del magistrato ha scoperto che i filtri
omologati non hanno realmente superato gli
esami richiesti dai decreti, ma le società -
come la Pirelli, già monopolista del mercato -
hanno ottenuto lo stesso il nullaosta ministeriale.
Nel documento già citato, Massini
illustra poi le violazioni: “Nell’esercizio delle
loro funzioni, i dipendenti del ministero dei
Trasporti hanno omologato filtri antiparticolato
in assenza delle prescritte prove di durabilità,
in presenza di motori capostipite selezionati
in violazione del dm 39/2008 e Di
Santo, Di Pietroantonio, Cupini e Vitelli si
sono sostituiti illegittimamente ai Cpa per
l’esecuzione delle prove tecniche, ritenendo
irrilevanti i superamenti dei valori limite”. Il
magistrato di Terni, infine, ha suggerito ai
colleghi romani di “valutare l’opportunità di
procedere a sequestro dei filtri medesimi, per
i quali non appare sussistere alcuna prova
assunta nel rispetto delle norme
(…) nonché di valutare
conseguenze negative in materia
ambientale derivanti
dalla loro utilizzazione”.
Da quasi un anno la Procura
di Roma possiede il fascicolo,
ma non risulta abbia promosso
sequestri. Nei prossimi
giorni è però attesa la decisione
del pm Orano: o chiederà
l’archiviazione o il rinvio
a giudizio.
2. Le omologazioni
false, il ruolo di Vert
Le osservazioni del sostituto Massini si basano
su varie fonti di prova, ma il pezzo forte
è la perizia tecnica, che finisce per mettere in
dubbio sette anni di politiche per contrastare
l’inquinamento, sette anni di spese assai pesanti
per i cittadini, le aziende e gli enti locali
che hanno dovuto impiantare i filtri su auto,
camion e autobus. Nelle omologazioni - sostiene
la perizia - ci sono dati che non tornano,
i motori-campione non sono scelti secondo
le regole e mancano sempre le prove di
durabilità. Vale a dire che manca la prova di
cosa succede al filtro dopo 50mila chilometri.
In realtà in molti casi – e in almeno uno anche
tra le omologazioni sequestrate e finite nella
perizia: quella per un dispositivo Pirelli – si
citano prove di durabilità effettuate presso i
laboratori dell’Università di Berna diretti dal
professor Jan Czerwinski secondo un protocollo
ideato dal Vert, che sta per Ve r i f i ca t i o n
of emission reduction technologies, un istituto
svizzero. Piccolo problema: il Vert risulta
fondato dai maggiori produttori europei di
filtri antiparticolato, tra cui Pirelli (Bruno
Tronchetti Provera ne è presidente), mentre
il dottor Czerwinski siede nel comitato scientifico
dell’associazione. La cosa non è illegale
-e d’altra parte né Pirelli, né Fiat o Iveco
risultano indagate - ma di sicuro lascia adito
a un certo sospetto di conflitto d’interessi. La
torta, d’altra parte, era ed è davvero ghiotta:
considerando i veicoli coinvolti nel 2008 tra
trasporto pubblico, commerciale o civile, si
arriva a oltre 11 milioni di veicoli. Ai prezzi di
vendita era un giro d’affari potenziale da 20
miliardi di euro, cui vanno aggiunte da allora
le nuove automobili, che escono dalle fabbriche
già dotate dei filtri: l’anno scorso, per
capirci, in Italia sono state immatricolate
1.359.616 vetture, oltre la metà sono diesel.
3. Co s ’è, come funziona
e quanto inquina il Fap
Il Fap è una gabbia, con struttura a nido d’ape,
che viene installata a valle del motore per bloccare
le Pm10, le polveri sottili: col filtro l’auto
dovrebbe diventare più “verde” (da Euro 2,
poniamo, ad Euro 4 o 5). C’è un problema,
però: il filtro tende a intasarsi e quindi va pulito
abbastanza spesso. Ci pensa lo stesso Fap a
farlo attraverso la cosiddetta “rigenerazione”:
il sistema immette liquido infiammabile nella
gabbia e brucia le polveri a temperature che
vanno dai 500 ai 700 gradi centigradi, poi
espelle i residui. Questo trattamento fa sì che le
Pm10 vengano sminuzzate riducendosi di diametro
divenendo Pm2,5 (particolato fine) o
anche meno (ultrafine): queste ultime però,
quando le respiriamo per strada, non vengono
bloccate nel naso e nella laringe come le Pm10,
ma finiscono direttamente nei polmoni e sono molto più dannose per la salute. La normativa
europea, infatti, fa riferimento al numero di
emissioni di particolato, non solo alla massa,
come fanno invece i decreti ministeriali italiani,
il cui nemico sembra essere solo il Pm10.
Il funzionamento del Fap – aumento della
contropressione, rigenerazione da effettuare
solo ad alte velocità – finisce per costringere
l’automobilista a consumare più carburante
con relativo danno economico e ambientale.
C’è anche di peggio: per “rigenerarsi” i filtri
immettono in atmosfera anche altri gas serra,
il più pericoloso dei quali è il biossido di azoto.
L’Agenzia per la sicurezza di salute e ambiente
francese ha consegnato al governo un
rapporto in cui sostiene che sono le auto con
Fap ad aver causato l’innalzamento del livello
di biossido d’azoto in Francia: è anche per
questo che il premier Manuel Valls – in un
paese in cui i due terzi e più del parco auto è
diesel – ha recentemente lanciato una campagna
per abbandonare questo tipo di auto
entro il 2020. I miglioramenti tecnologici
vantati dai produttori, insomma, sembra non
abbiano convinto Parigi.
4. Tutta comincia nel 2008
con Pirelli monopolista
Per comprendere l’intricata vicenda occorre
tornare al 2008, quando il ministero dei Trasporti,
di concerto con Ambiente e Salute,
emana due decreti per disciplinare l’o m o l ogazione
di dispositivi da montare sui veicoli
diesel per ridurre l’emissione di polveri sottili.
È un tentativo per abbattere il vincolo dei
blocchi del traffico e delle domeniche ecologiche
consentendo ai veicoli di usufruire di
un passaggio sul libretto: una vecchia automobile
Euro 2 può trasformarsi in Euro 5 con
la semplice installazione del filtro, il rimedio
prescelto dai tecnici statali pur non essendo
affatto l’unico disponibile. Il testo individua
una serie di priorità che compongono l’e s e rgo
dei provvedimenti. Il legislatore si concentra
soltanto sulla diffusione all’esterno di
polveri sottili e va a rianimare - se non a creare - il mercato dei filtri
antiparticolato, settore
all’epoca già coperto da Pirelli
EcoTechnology, il cui
prodotto è certificato da
Ispra, Legambiente e Regione
Lombardia. Fino al 2010, Pirelli
soddisfa il 95 per cento
dell’offerta, il resto va ai tedeschi
di Hjs. Il decreto è
scritto come se la tecnologia
Fap fosse l’unica applicabile e
- oltre a favorire in maniera
volontaria o incidentale certi
operatori (alcuni, come Pirelli EcoTechnology,
comunque non immuni da perdite
d’esercizio), finisce per tradire l’intenzione
che l’ha ispirato: eliminare l’inquinamento
nel suo insieme e non aggredire, con risultati
che poi vedremo essere ambigui, la sola emissione
di Pm10.
5. Lo strano caso degli esclusi:
la società veneta penalizzata
Appena le norme ministeriali vengono pubblicate
sulla Gazzetta Ufficiale e l’adozione di un
dispositivo per contrastare il particolato diventa
un obbligo di legge, l’azienda Dukic Day
Dream (Vicenza) si rivolge al Cpa di Bari, un
organo del ministero, e verifica lo strumento
ideato, il dispositivo “Tre D”: a differenza dei
filtri che agiscono all’uscita dei fumi tossici,
questo interviene sulla combustione diminuendo
alla fonte la produzione dell’inqui -
namento. E qui c’è l’inghippo. Per come è sviluppata
la legge, Dukic non può effettuare il
test di durabilità: il dispositivo non patisce
l’usura come accade per il filtro e non raccoglie
particolato, semplicemente fa in modo che se
ne produca meno. Il Cpa di Bari, però, capisce
lo spirito della cosa e infatti comunica al ministero
che la Dukic può ricevere l’omologa -
zione e competere sul libero mercato: la prova
sui fumi è riuscita, il dispositivo è “idoneo” e
“conforme”. Passa l’intera estate e non succede
nulla. Poi inizia un carteggio tra il ministero
dei Trasporti e il Cpa. Il 20 ottobre 2008 il
direttore generale Vitelli spiega perché la Dukic
non può ottenere il certificato: “Non risulta
essere stata effettuata la verifica di durabilità
del sistema ai sensi del decreto”. Il Cpa risponde
soltanto per ripetere che quel test non
è necessario per il dispositivo
Dukic e ribadisce l’efficacia
del prodotto. Poi ancora scrive
il ministero, stavolta firma
il dirigente Alessandro De
Grazia, e di nuovo controdeduce
il Cpa. Il 25 marzo 2009,
sempre De Grazia, interrompe
la tenzone con una raccomandata
di cinque righe: “Si
prende atto della posizione
assunta da codesto ufficio”, i
destinatari sono il Cpa di Bari
e la Direzione Generale territoriale
del Sud. Nel frattempo, e lo scopriamo
leggendo la dettagliata perizia commissionata
dal pm Massini, a Pirelli & C. viene concessa
l’omologazione e l’opportunità di sfruttare il
mercato in esclusiva. Il 7 febbraio 2013, Massini
affida a un ingegnere di Padova lo studio
sui filtri, l’incarico viene completato in 90
giorni. Il perito analizza i decreti ministeriali e
numerosi dispositivi venduti sul mercato di
Fiat, Iveco e Pirelli e riporta le anomalie riscontrate:
le emissioni inquinanti di agenti
chimici come l’ossido di azoto e il platino non
sono ridotte neanche del 20 per cento, il limite
minimo previsto per l’omologazione. E arriviamo
alla contestata prova di durabilità, Dukic
non può eseguirla, ma il perito rivela che
neppure Fiat, Iveco e Pirelli si sono sottoposti
al test nonostante il filtro subisca un progressivo
deterioramento. Sta di fatto che “Tre D”
non è stato omologato, anche se è sul mercato
e viene venduto a privati e istituzioni con piena
soddisfazione della clientela.
Il magistrato di Roma dovrà ora chiarire se il
ministero ha agevolato alcune società a scapito
di Dukic e, soprattutto, se i Fap trasformano
le macchine in ciminiere inquinanti,
ancora più dannose a prescindere dall’i d e ntificazione
in Euro 4 o Euro 5 che viene impressa
sul libretto di circolazione. A Torino,
invece, Guariniello deve verificare se i recenti
e frequenti incendi di veicoli sono dovuti
all’innalzamento della temperatura all’i n t eno del motore (si superano i 500 gradi centigradi)
per consentire la pulizia automatica
dei filtri. Tra l’altro, gli stessi filtri, collegati a
un sistema elettrico, potrebbero provocare lo
spegnimento del motore anche se il veicolo è
in movimento.
Ha collaborato Andrea Giambartolomei il fatto quotidiano 29 marzo 2015
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