di Andrea Strozzi | 28 gennaio 2015 Da oltre un anno mi occupo attivamente della divulgazione della Bioeconomia, che – è bene ricordarlo fin da subito – non è la “economia del settore bio” (come sta cominciando a farci credere un certo pressapochismo mainstream), bensì una disciplina socioeconomica che postula, ai fini della salvaguardia del nostro habitat, uno sviluppo dell’attività umana neghentropico, cioè attento ad evitare l’irreversibile degradazione di materia ed energia intrinseca ai processi produttivi. Uno dei riferimenti concettuali oggi giorno più osteggiati – con un tasso di ostracismo che sconfina nell’eresia – è quello di “decrescita”, che nei suoi presupposti fondamentali si ispira proprio all’approccio bioeconomico introdotto mezzo secolo fa da un geniale economista rumeno a cui fu negato il Premio Nobel soltanto per la scomodità delle sue tesi (naturalmente contrarie alla deriva ultracapitalistica di allora). Una delle quali, certamente la più “blasfema”, era che un sano e duraturo equilibrio ecosistemico avrebbe dovuto basarsi non tanto sulle leggi che governano l’offerta aggregata (più produttività, più efficienza e più stress sui fattori produttivi), quanto sulle dinamiche della domanda: soltanto da una sobria e responsabile rimodulazione dei nostri stili di vita si sarebbero potuti ripristinare gli equilibri ambientali ed umani che il boom economico del Dopoguerra aveva così repentinamente stravolto nelle cosiddette “economie sviluppate”. Da oltre un anno mi occupo attivamente della divulgazione della Bioeconomia, che – è bene ricordarlo fin da subito – non è la “economia del settore bio” (come sta cominciando a farci credere un certo pressapochismo mainstream), bensì una disciplina socioeconomica che postula, ai fini della salvaguardia del nostro habitat, uno sviluppo dell’attività umana neghentropico, cioè attento ad evitare l’irreversibile degradazione di materia ed energia intrinseca ai processi produttivi. Uno dei riferimenti concettuali oggi giorno più osteggiati – con un tasso di ostracismo che sconfina nell’eresia – è quello di “decrescita”, che nei suoi presupposti fondamentali si ispira proprio all’approccio bioeconomico introdotto mezzo secolo fa da un geniale economista rumeno a cui fu negato il Premio Nobel soltanto per la scomodità delle sue tesi (naturalmente contrarie alla deriva ultracapitalistica di allora). Una delle quali, certamente la più “blasfema”, era che un sano e duraturo equilibrio ecosistemico avrebbe dovuto basarsi non tanto sulle leggi che governano l’offerta aggregata (più produttività, più efficienza e più stress sui fattori produttivi), quanto sulle dinamiche della domanda: soltanto da una sobria e responsabile rimodulazione dei nostri stili di vita si sarebbero potuti ripristinare gli equilibri ambientali ed umani che il boom economico del Dopoguerra aveva così repentinamente stravolto nelle cosiddette “economie sviluppate”. Da oltre un anno mi occupo attivamente della divulgazione della Bioeconomia, che – è bene ricordarlo fin da subito – non è la “economia del settore bio” (come sta cominciando a farci credere un certo pressapochismo mainstream), bensì una disciplina socioeconomica che postula, ai fini della salvaguardia del nostro habitat, uno sviluppo dell’attività umana neghentropico, cioè attento ad evitare l’irreversibile degradazione di materia ed energia intrinseca ai processi produttivi. Uno dei riferimenti concettuali oggi giorno più osteggiati – con un tasso di ostracismo che sconfina nell’eresia – è quello di “decrescita”, che nei suoi presupposti fondamentali si ispira proprio all’approccio bioeconomico introdotto mezzo secolo fa da un geniale economista rumeno a cui fu negato il Premio Nobel soltanto per la scomodità delle sue tesi (naturalmente contrarie alla deriva ultracapitalistica di allora). Una delle quali, certamente la più “blasfema”, era che un sano e duraturo equilibrio ecosistemico avrebbe dovuto basarsi non tanto sulle leggi che governano l’offerta aggregata (più produttività, più efficienza e più stress sui fattori produttivi), quanto sulle dinamiche della domanda: soltanto da una sobria e responsabile rimodulazione dei nostri stili di vita si sarebbero potuti ripristinare gli equilibri ambientali ed umani che il boom economico del Dopoguerra aveva così repentinamente stravolto nelle cosiddette “economie sviluppate”. http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/28/bioeconomia-parola-chiave-sobrieta/1374141/
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