“DUE
MILIARDI”
Questo
è l’intervento
pubblico
a Taranto
secondo
Renzi:
solo
la bonifica
degli
impianti, però,
ne
costa poco meno
di
Marco
Palombi
L’ennesimo
decreto “Salva Ilva” è arrivato nel
Consiglio
dei ministri del 24 dicembre, esattamente
due
anni dopo il primo, firmato da Mario
Monti.
Allora si sancì che la fabbrica rimaneva
aperta
contro la decisione della magistratura di
Taranto
di chiuderla. Letta, poi, estromise i Riva
dalla
gestione dell’acciaieria con la nomina di un
commissario.
Oggi Renzi li fa fuori definitivamente
e
si appresta a mettere in campo, da gennaio,
una
nuova operazione Alitalia (“speriamo
che
i risultati siano diversi”) ribadendo che bisogna
rispettare
le disposizioni dell’Autorizza -
zione
integrata ambientale - cioè fare in modo che
Ilva
smetta di uccidere i tarantini - che comunque
sono
in larga parte inattuate nonostante
il
tempo passi.
LA
VIA SCELTA dal
governo
dunque
- anche se il testo del decreto
non
è ancora definitivo - è
quella
dell’amministrazione
straordinaria
grazie a quella particolare
forma
di procedura della
“legge
Marzano” inaugurata
nel
2008 con la ex compagnia di
bandiera.
Chi parla di “naziona -
lizzazione”,
insomma, rischia di
non
aver capito qual è il meccanismo
messo
in campo. La procedura, attualmente,
prevede
che gli azionisti chiedano questa forma
di
intervento in stato di quasi-insolvenza. Stavolta
probabilmente
toccherà all’attuale commissario
Piero
Gnudi: a quel punto il governo può nominare
un
amministratore straordinario (si fa il nome
di
Andrea Guerra, ex Luxottica oggi consigliere
dell’inquilino
di palazzo Chigi) che gestisca un
la
“good company” (la parte sana di Ilva), mentre i
debiti
pregressi e i rami d’azienda destinati alla
morte
verranno lasciati nell’impresa originaria
(bad
company) con la garanzia dello Stato.
Questa
struttura societaria dovrebbe durare - secondo
le
intenzioni del premier - tra i 18 e i 36 mesi
al
termine dei quali la good company verrà venduta.
Se
il gioco funziona - e gli 1,2 miliardi sequestrati
ai
Riva resteranno a disposizione
per
le bonifiche -
l’operazione
sarà stata più o meno
in
pareggio, altrimenti per
l’ennesima
volta si saranno privatizzati
i
guadagni e socializzate
le
perdite. Il probabile acquirente
finale,
peraltro, è la cordata
tra
la multinazione Arcelor Mittal
e
il gruppo Marcegaglia (probabilmente
con
l’aiuto di Cdp),
che
non se la passa benissimo ed
è
pure in conflitto di interessi visto
che
è uno dei principali clienti
di
Ilva. Anche i soldi sono
uno
di quei temi in cui circolano
alcune
imprecisioni.
Pure
Renzi ha parlato di un
intervento
pubblico da 2 miliardi
facendo
confusione.
GLI
800 MILIONI “già
disponibili”
-
destinati alla bonifica
di
Taranto città e altre cosette
-
citati dal premier lo
sono
davvero, nel senso che li
hanno
già messi sul piatto i
governi
precedenti e non sono stati spesi nemmeno
nei
dieci mesi del suo. Ora sicuramente partiranno
i
cantieri. L’altro “miliardo e qualche centinaio
di
milioni” di cui ha parlato Renzi sono i
soldi
destinati alla bonifica degli impianti: non è
chiaro
se ci si riferisca agli 1,8 miliardi che dovrebbe
costare
la messa in sicurezza o degli 1,2 sequestrati
ai
Riva a Milano e destinati proprio a
questo
fine. Per capirlo bisognerà aspettare il testo
finale
del decreto (ancora in via di scrittura), come
pure
per conoscere il meccanismo di cessione di
Ilva:
Mittal ha chiesto di fissare un prezzo subito e
poi
salire con calma - con tanto di diritto di recesso
-
vedendo come vanno le cose con bonifiche e cause
civili
per i morti, cioè se l’azienda è ancora viva.
Se
questa fosse la formula è probabile che la decisione
sul
compratore sia già stata presa.
SABATO
27 DICEMBRE 2014
il
E
C ONO M I A Fatto
Quotidiano
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