a settembre si potrebbero liberare risorse per una serie di infrastrutture “In mille giorni l’export ci farà recuperare un punto di Pil”. Ma intanto Confindustria prevede crescita zero nel 2014
ROBERTO PETRINI
ROMA .
Matteo Renzi spinge il pedale dell’acceleratore delle opere pubbliche. «Lavoreremo tutto agosto per sbloccare i vincoli e partire, al 1° di settembre, con 43 miliardi, per le infrastrutture, non solo quelle viarie ma, anche, i termovalorizzatori. «Una sorta di angioplastica all’economia italiana», ha assicurato ieri il presidente del Consiglio in occasione dell’inaugurazione dell’autostrada Brebemi, che collega i 62 chilometri tra Milano e Brescia. Un piano, sostanzialmente centrato su fondi nazionali per lo sviluppo e la coesione e parte su fondi europei che, una volta arrivato al traguardo, potrebbe dare una boccata d’ossigeno alla nostra economia che quest’anno rischia la crescita «piatta», come ha certificato ieri la Confindustria. Stime magre alle quali il premier ha replicato con ottimismo dicendosi certo che in mille giorni, grazie all’export, il paese sarà in grado di recuperare un punto di Pil.
L’annuncio sui cantieri arriva nell’imminenza del varo del decreto- sblocca Italia, atteso per fine mese, probabilmente il 31 luglio, che dovrebbe sburocratizzare le procedure e disincagliare fondi già in bilancio destinati agli interventi in infrastrutture. Il pacchetto dovrebbe essere in grado di scovare le risorse rimaste sepolte e inutilizzate dal sistema di finanziamento di grandi e piccoli lavori utili alla comunità che ieri Renzi ha definito «farraginoso». L’intervento utilizzerà probabilmente una trentina di miliardi già finanziati del fondo nazionale sviluppo e coesione da rendere spendibili e una decina da reindirizzare verso le opere pubbliche, più un miliardo e mezzo di fondi europei da cofinanziare.
L’altro versante dell’intervento riguarda i meccanismi burocratici. Ieri Renzi ha osservato che «spendiamo troppo in infrastrutture » proprio a causa delle lunghezze burocratiche e ha esortato a cambiare impostazione. I tempi, ha detto Renzi riferendosi proprio alla realizzazione della Brebemi, che ha richiesto 18 anni, sono troppo lunghi: «Cinque di lavori, tredici di burocrazia », ha condensato in una battuta aggiungendo che questa è un’opera «tangent free» e che non è la prima. Di conseguenza è possibile che alcuni interventi saranno compiuti per accelerare le procedure sulla valutazione dell’impatto ambientale e sugli innumerevoli ricorsi al Tar che pendono sui cantieri in costruzione.
L’altro percorso parallelo è stato tracciato dallo stesso Renzi, ai primi di giugno, con la lettera inviata ai sindaci con la quale si chiedeva ai primi cittadini di individuare nel proprio ambito territoriale i cantieri fermi. Le risposte non hanno tardato ad arrivare e hanno formato a Palazzo Chigi un lungo elenco dell’Italia che attende di fare manutenzione, riaprire i cantieri e di riavviare i lavori. Tra le richieste dei Municipi c’è di tutto: dalla metro C a Roma, al passante ferroviario a Torino, dalle periferie a Napoli al teatro Margherita a Bari.
La partita più grossa si gioca tuttavia sulle grandi opere strategiche nazionali. Sul tavolo, secondo quanto ha fatto sapere qualche tempo fa il ministro per le Infrastrutture Maurizio Lupi, ci sono la Ferrovia ad alta capacità Napoli-Bari, l’alta velocità fra Brescia e Padova, l’autostrada tirrenica, il Quadrilatero Umbria- Marche, la terza corsia della A4, la messa in sicurezza dell’Adriatica e il completamento della Cuneo-Ventimiglia.
Un capitolo a parte è quello dei termovalorizzatori, cui Renzi ieri ha fatto esplicito riferimento: un terreno minato per la feroce opposizione grillina e per i vari movimenti «anti» presenti sul territorio: il Forum Nimby ha calcolato nei giorni scorsi che ben 22 di queste opere sono soggette all’azione di contestazione di comitati civici di varia natura.
Infine le opere di interesse europeo: tra queste c’è, ad esempio il nuovo traforo ferroviario del Brennero, che l’Unione chiede con insistenza, e per il quale, dentro il governo, sta maturando la convinzione che si possa tentare di chiedere a Bruxelles una flessibilità del rapporto deficit- Pil scomputando della spesa per investimenti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
ROBERTO PETRINI
ROMA .
Matteo Renzi spinge il pedale dell’acceleratore delle opere pubbliche. «Lavoreremo tutto agosto per sbloccare i vincoli e partire, al 1° di settembre, con 43 miliardi, per le infrastrutture, non solo quelle viarie ma, anche, i termovalorizzatori. «Una sorta di angioplastica all’economia italiana», ha assicurato ieri il presidente del Consiglio in occasione dell’inaugurazione dell’autostrada Brebemi, che collega i 62 chilometri tra Milano e Brescia. Un piano, sostanzialmente centrato su fondi nazionali per lo sviluppo e la coesione e parte su fondi europei che, una volta arrivato al traguardo, potrebbe dare una boccata d’ossigeno alla nostra economia che quest’anno rischia la crescita «piatta», come ha certificato ieri la Confindustria. Stime magre alle quali il premier ha replicato con ottimismo dicendosi certo che in mille giorni, grazie all’export, il paese sarà in grado di recuperare un punto di Pil.
L’annuncio sui cantieri arriva nell’imminenza del varo del decreto- sblocca Italia, atteso per fine mese, probabilmente il 31 luglio, che dovrebbe sburocratizzare le procedure e disincagliare fondi già in bilancio destinati agli interventi in infrastrutture. Il pacchetto dovrebbe essere in grado di scovare le risorse rimaste sepolte e inutilizzate dal sistema di finanziamento di grandi e piccoli lavori utili alla comunità che ieri Renzi ha definito «farraginoso». L’intervento utilizzerà probabilmente una trentina di miliardi già finanziati del fondo nazionale sviluppo e coesione da rendere spendibili e una decina da reindirizzare verso le opere pubbliche, più un miliardo e mezzo di fondi europei da cofinanziare.
L’altro versante dell’intervento riguarda i meccanismi burocratici. Ieri Renzi ha osservato che «spendiamo troppo in infrastrutture » proprio a causa delle lunghezze burocratiche e ha esortato a cambiare impostazione. I tempi, ha detto Renzi riferendosi proprio alla realizzazione della Brebemi, che ha richiesto 18 anni, sono troppo lunghi: «Cinque di lavori, tredici di burocrazia », ha condensato in una battuta aggiungendo che questa è un’opera «tangent free» e che non è la prima. Di conseguenza è possibile che alcuni interventi saranno compiuti per accelerare le procedure sulla valutazione dell’impatto ambientale e sugli innumerevoli ricorsi al Tar che pendono sui cantieri in costruzione.
L’altro percorso parallelo è stato tracciato dallo stesso Renzi, ai primi di giugno, con la lettera inviata ai sindaci con la quale si chiedeva ai primi cittadini di individuare nel proprio ambito territoriale i cantieri fermi. Le risposte non hanno tardato ad arrivare e hanno formato a Palazzo Chigi un lungo elenco dell’Italia che attende di fare manutenzione, riaprire i cantieri e di riavviare i lavori. Tra le richieste dei Municipi c’è di tutto: dalla metro C a Roma, al passante ferroviario a Torino, dalle periferie a Napoli al teatro Margherita a Bari.
La partita più grossa si gioca tuttavia sulle grandi opere strategiche nazionali. Sul tavolo, secondo quanto ha fatto sapere qualche tempo fa il ministro per le Infrastrutture Maurizio Lupi, ci sono la Ferrovia ad alta capacità Napoli-Bari, l’alta velocità fra Brescia e Padova, l’autostrada tirrenica, il Quadrilatero Umbria- Marche, la terza corsia della A4, la messa in sicurezza dell’Adriatica e il completamento della Cuneo-Ventimiglia.
Un capitolo a parte è quello dei termovalorizzatori, cui Renzi ieri ha fatto esplicito riferimento: un terreno minato per la feroce opposizione grillina e per i vari movimenti «anti» presenti sul territorio: il Forum Nimby ha calcolato nei giorni scorsi che ben 22 di queste opere sono soggette all’azione di contestazione di comitati civici di varia natura.
Infine le opere di interesse europeo: tra queste c’è, ad esempio il nuovo traforo ferroviario del Brennero, che l’Unione chiede con insistenza, e per il quale, dentro il governo, sta maturando la convinzione che si possa tentare di chiedere a Bruxelles una flessibilità del rapporto deficit- Pil scomputando della spesa per investimenti.
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