I 78 container di Iprite e Sarin custoditi sul cargo norvegese Ark Futura arrivati a Gioia Tauro dalla Siria e trasbordati sulla Cape Ray, la nave Usa statunitense dove le sostanze chimiche saranno rese inoffensive. Un'operazione complessa, mai tentata prima. Che ha suscitato proteste per i costi e i rischi di collusione con la criminalità organizzata
Un’enorme gru che cala il suo braccio metallico sul container, lo preleva con delicatezza impensabile per un mostro in grado di sollevare tonnellate, lo appoggia su un mezzo meccanico dotato di ruote – in gergo, la “ralla” - che a sua volta lo porta ad un muletto, necessario per posizionarlo sull’altra nave.Sono operazioni routinarie, lente ma calcolate al millimetro perché tutti i parametri di sicurezza vengano rispettati, quelle con cui i tecnici della missione internazionale che si occupa dello smaltimento degli agenti chimici siriani stanno trasbordando i container che custodiscono l’arsenale di Bashar al- Asad dal cargo norvegese Ark futura, su cui hanno viaggiato dalla Siria a Gioia Tauro, all’imbarcazione statunitense Cape Ray.
Attorno alle due navi, ormeggiate affiancate sul molo di ponente del porto calabrese, si catalizza tutta l’attività dello scalo. Per il resto, l’intero scalo è paralizzato, nessuna attività è consentita.
Porto bunker
Tre cordoni di sicurezza isolano quella sezione del porto mentre i pattugliatori incrociano nello spazio di mare antistante e in cielo i mezzi di polizia e carabinieri vigilano perché venga rispettato il divieto di sorvolo dell’area emesso dall’Enac, su richiesta del Prefetto di Reggio Calabria, Claudio Sammartino. Il porto di Gioia Tauro è un bunker, isolato per cielo e per mare. Ma – comunicano – si tratta di misure rese necessarie dalla delicatezza del carico e delle operazioni per trasbordarlo.
A ritmo di sei, massimo sette container l’ora – a fronte dei sessanta che generalmente vengono spostati nel corso di una normale operazione di trasbordo – da questa mattina alle 8 sulla Cape Ray stanno arrivando 3 container di iprite, meglio noto come gas mostarda, e 75 di precursori del Sarin che dovranno essere resi inerti a bordo della nave statunitense.
Un’operazione complessa, mai tentata in navigazione, ma che si è resa necessaria dopo il secco no opposto dall’Albania alle richieste dell’Opac (Organizzazione per la messa al bando della armi chimiche). “Lì non c’è stata disponibilità – ha fatto sapere ieri il presidente della Commissione Difesa della Camera, Massimo Artini (M5s) - Si è capito però che sarebbe stato inopportuno costruire un impianto di distruzione di agenti chimici ad hoc per lasciarlo inutilizzato. Quindi si è deciso di farlo, per la prima volta, a bordo di una nave”.
Ancora mesi per distruggere gli agenti chimici
Concluse le operazioni in porto, la Cape Ray, scortata da pattugliatori di diversi Paesi, oltrepasserà le acque internazionali per dare il via alle operazioni di smaltimento per idrolisi, che per la prima volta avverranno a bordo di una nave attrezzata allo scopo.
Stando ai piani, l'impianto della Cape Ray – sotto osservazione di 64 esperti chimici dell'Army's Edgewood Chemical Biological Center, scortati da 35 marine statunitensi – dovrebbe riuscire a trattare 25 tonnellate di agenti chimici al giorno, dunque - ha comunicato ieri Artini “in 60- 90 giorni di lavoro, calcolando quelli di inattività per mare mosso dovrebbero essere in grado di concludere le operazioni”.
Tutte attività che anche al centro del Mediterraneo saranno svolte in assoluta sicurezza, perché anche l’acqua utilizzata per scomporre le molecole di Sarin e iprite – assicurano dall’Opac – verrà stoccata per poi essere smaltita in Germania, Gran Bretagna e Norvegia.
Chi paga?
Stando a quanto emerso ieri al termine della missione di una delegazione e di parlamentari delle Commissioni Difesa della Camera e del Senato a Gioia Tauro, a finanziare invece – quanto meno in larga parte - le complesse operazioni di trasbordo, inclusa l’indennizzo per i giorni di stop alle attività versato alla società che oggi gestisce il porto di Gioia Tauro- sarà l’Italia.
A confermarlo è il direttore generale e ministro plenipotenziario Giovanni Brauzzi che ha affermato “abbiamo ottenuto che i costi venissero scontati dal contributo di due milioni di euro che l’Italia aveva già deciso di destinare al fondo internazionale per le missioni di pace. Era il minimo per non essere da meno di quello che hanno fatto gli altri Paesi”.
Galletti: “Pagina buona per l’Italia”
Un punto che il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti non tocca, preferendo sottolineare che “oggi si è scritta una buona pagina per il Paese”. Dopo il tweet mattiniero con cui aveva annunciato il proprio arrivo a Gioia Tauro – “A #GioiaTauro per trasbordo armi chimiche. Orgogliosi contributo Italia a sicurezza internazionale, operazione trasparente e sicura x ambiente” - il ministro, dopo un sopralluogo in porto per monitorare le operazioni di trasbordo, ha voluto sottolineare “l’Italia oggi è protagonista di un’operazione che si concluderà con la distruzione di armi chimiche, contribuendo ad affermare la pace e la sicurezza nel mondo. Lo fa mostrando a tutti gli altri paesi una professionalità molto forte, in una zona del Paese che è il Sud Italia e che oggi conquista una vetrina importante, dimostrando che in Italia non esistono zone di serie A o di serie B. Se c’è professionalità tutte le zone d’Italia sono pronte a rappresentare la Nazione con orgoglio e mostrano la buona parte del Paese".
Incognite
Al Sud, o meglio in Calabria, restano tuttavia i dubbi che fin dall’annuncio hanno accompagnato l’operazione, decisa proprio negli stessi mesi in cui dalla Direzione Nazionale Antimafia, riguardo la Calabria si tuonava che “il contesto criminale descritto, i continui episodi di collusione e penetrazione della ‘ndrangheta nelle strutture amministrative ed istituzionali non solo locali, il numero di consigli comunali sciolti per tali ragioni, la presenza asfissiante della ‘ndrine in tutte le realtà economiche e produttive, a partire da quella che doveva essere (e potrebbe essere) il punto di partenza di un grande rilancio economico, il porto di Gioia Tauro, danno l’idea di un assedio”.
Un concetto tornato nelle parole del procuratore della Cassazione, Gianfranco Ciani, che nel dar conto delle attività di contrasto al narcotraffico – gestito in larga parte dalla ndrangheta calabrese – ha parlato di “controllo quasi totalizzante del porto di Gioia Tauro” da parte delle ndrine, e che secondo alcuni potrebbe rendere molto, forse troppo inquietante lo scenario in cui le delicatissime operazioni di trasbordo stanno andando avanti, senza che alcuna contestazione si registri sul territorio.
Proteste contenute e servizi profetici
Nonostante nei mesi scorsi si siano registrate le reazioni indignate dei sindaci del comprensorio, come le proteste di alcuni gruppi e comitati di attivisti, oggi l’onere della mobilitazione è ricaduto solo sulle spalle di una cinquantina di persone del Comitato quartiere Fiume e della Pro Loco di Gioia Tauro, che si sono presentati all’esterno del porto «per denunciare - hanno spiegato - lo scempio ambientale che si sta verificando nella Piana da alcuni anni a questa parte» e che sarebbe responsabile del picco di neoplasie registrato in zona.
Una protesta contenuta, che non ha impensierito le forze dell’ordine, ma rende profetica quella nota dei servizi segreti, che nell’indicare Gioia Tauro come plausibile approdo per le armi chimiche segnalava “non c’è, come a Brindisi ed Augusta, una base militare nei pressi, ma la localizzazione tutto sommato isolata della “città della Piana” garantirebbe discrezione e poche tensioni e proteste».
Nessun commento:
Posta un commento