IL TEMPO DEI LUPI
Questo fantastico e per molti aspetti misterioso predatore è stato salvato dalla sua estinzione nonostante negli ultimi cinque anni siano stati uccisi quaranta esemplari tra Abruzzo, Toscana, Molise e Lazio. L’incrocio sempre più frequente con i cani sta modificando il suo gene. Tanto da parlare di specie ibrida. La sua sopravvivenza non è solo un imperativo etico ma una necessità legata all’ecosistema: svolge un ruolo decisivo nella biodiversità e ne avremo sempre più bisogno. Siamo andati sulle sue tracce e abbiamo scoperto perché
di SARA FICOCELLI, foto di SIMONA PAMPALLONA, montaggio video di ELENA ROSIELLO, grafica di PAOLA CIPRIANI
Una barbara follia di MARGHERITA D’AMICO
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ROMA – È il predatore per eccellenza dei nostri boschi e da lui dipende tutta la catena alimentare sottostante. Si nutre di grandi prede come di rifiuti urbani e può sopravvivere a ridosso dei crinali come nelle aree periferiche delle città; è capace di coordinare un'azione di caccia assolutamente perfetta in pochi secondi e di percorrere grandi distanze a una velocità di 30 km/h, mimetizzandosi in assoluto silenzio. Plasticità ecologica: a questo dobbiamo pensare, prima ancora che ai denti affilati e agli occhi penetranti, quando parliamo del Lupo (Canis lupus), ovvero a quella ancestrale capacità di adattarsi agli habitat e alle risorse rapidamente, a seconda delle esigenze e delle
http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2014/03/24/news/il_lupo_del_futuro-81753532/?ref=HREC1-38#
disponibilità, in nome della sopravvivenza.
Predatore straordinario
Il lupo non è, insomma, un animale qualsiasi, ma un predatore straordinariamente intelligente, veloce, resistente, adattabile. È normale che, fino a un secolo fa, la gente di lui avesse solo paura e che i “lupari” ne appendessero le carcasse all'ingresso dei villaggi per poi farsi pagare dagli abitanti per il servizio di “vigilanza”. La caccia al protagonista cattivo delle fiabe, in Italia, è stata talmente accurata che negli Anni 70 del secolo scorso sull'intero territorio nazionale ne erano rimasti appena un centinaio: i primi ad essere sterminati, negli Anni 20, furono quelli delle Alpi; poi fu la volta dei branchi della Sicilia e negli Anni 60 l'animale diventò rarissimo in tutto l'Appennino.
Il ritorno
Oggi i lupi in Italia sono circa un migliaio (fonte LCIE 2012, www.lcie.org), con le presenze maggiori sulla dorsale appenninica e sulle Alpi occidentali, isole escluse. Se il pericolo di estinzione è scongiurato lo dobbiamo (anche) all'intervento di due ricercatori, Luigi Boitani dell’università La Sapienza di Roma ed Erick Ziemen del Max Planck Institut di Monaco, che all'inizio degli Anni 70, su commissione del WWF, studiarono la distribuzione della specie e sottolinearono come, senza interventi mirati, di lì a poco si sarebbe estinta. Seguirono il decreto ministeriale Natali, del '71, che eliminò il lupo dalla lista degli animali nocivi e proibì l'uso dei bocconi avvelenati, e il Marcora, del '76, che sancì la protezione integrale e il divieto di caccia totale.
La capacità di recupero senza uguali del predatore, l'abbandono delle montagne da parte dell'uomo e il conseguente ripopolamento delle stesse da parte di cervi, daini e cinghiali, di cui il lupo si nutre, fecero il resto. Negli anni, molte voci si sono susseguite secondo cui l'animale sarebbe stato reintrodotto in Italia grazie all'intervento dell'uomo, ma gli esperti rifiutano compatti questa teoria. “Circolano leggende che vogliono i lupi lanciati dagli elicotteri, trasportati in giro per l’Appennino dentro casse di legno, allevati in gran segreto e 'microchippati', incrociati con lupi americani, artici, francesi, cecoslovacchi, dotati di radiocollari appena nati. Chi vuol credere a tutto ciò, è libero di farlo, le leggende, per l’appunto, non muoiono mai”, spiega Willy Reggioni del Wolf Apennine Center, Parco nazionale dell'Appennino tosco-emiliano (www.parcoappennino.it). “Si parla di 'ritorno naturale della specie' per essere corretti”, spiega Francesca Marucco, coordinatore tecnico scientifico del progetto Life WolfAlps. “Il termine 'ripopolamento' indica un’azione per mano dell'uomo, che nel caso del lupo non c’è stata, dato che il fenomeno di ricolonizzazione di nuove aree è totalmente naturale. Il caso più interessante è quello alpino, dove l'animale era praticamente scomparso all’inizio del 1900 e il processo di ripopolazione, in particolare nella zona sudoccidentale, si è verificato grazie alla naturale dispersione degli abitanti degli Appennini. Oggi si sta inoltre assistendo al primo contatto tra i lupi alpini e quelli dinarici, della Slovenia, dopo due secoli di distacco, nella zona centro-orientale delle Alpi”.
Allevatori esasperati
Ma quando di mezzo ci sono questi animali, sembra una maledizione, non c'è favola che abbia lieto fine. Per quanto il lupo, come spiega il professor Mauro Delogu, docente di Malattie dalla fauna selvatica dell'Università di Bologna, sia un animale estremamente utile, perché capace di attuare un vero e proprio controllo selettivo della popolazione di caprioli, daini, cervi e cinghiali, sia uccidendo gli animali con patologie, sia rimuovendo le loro carcasse, la proliferazione dei branchi (circa 30 sulle Alpi occidentali, 1 in quelle orientali, circa 70 nella sola Toscana, 8-9 nel Parco nazionale d'Abruzzo, 4 nel Parco Nazionale dell'Aspromonte, ciascuno composto da 4 a 6 elementi) ha portato, negli anni, a crescenti conflitti con la zootecnia, esasperando gli allevatori che sempre più frequentemente vedono le proprie pecore, capre, o cavalli attaccati dall'animale, “con danni economici che mettono a dura prova non solo la singola azienda ma tutto il settore produttivo”, spiega Duccio Berzi, tecnico faunistico che da anni lavora in questo campo occupandosi di progetti di prevenzione.
“Con l'aumentare dei lupi sul territorio”, spiega Giacomo Gervasio della Società Cooperativa Greenwood (www.scgreenwood.it) in Calabria, “è cresciuto anche il numero degli attacchi al bestiame domestico, che in alcuni casi possono coinvolgere un elevato numero di capi. Questo conflitto è particolarmente vivo in territori nei quali l'assenza del carnivoro da quasi un secolo ha fatto sì che si perdesse la memoria della convivenza col predatore”. Secondo Simone Angelucci, medico veterinario dell'Ente Parco Nazionale della Majella, il lupo predilige comunque l'approvvigionamento presso gli allevamenti “solo in particolari situazioni che favoriscono questo tipo di attacchi, ovvero in condizioni ambientali o di gestione non appropriate. Ma è chiaro che custodire bene un gregge comporta dei costi aggiuntivi per le aziende agrozootecniche, già in forte crisi, e questo determina un conflitto rispetto alle esigenze di tutela del mammifero”.
Da qui il ritorno sulla scena dei bracconieri, che negli ultimi anni, tra cacciate, bocconi avvelenati e lacci di ferro, hanno ricominciato a dare la caccia al lupo, proprio come accadeva un secolo fa. Il predatore è infatti una specie protetta dalla Direttiva Habitat in quasi tutta Europa e integralmente tutelata dalla legislazione italiana. La modalità di gestione adottata dal nostro Paese è, come la definiscono gli esperti, del tipo “benign neglect” (protezione sulla carta ma nessun intervento attivo), fatta eccezione per le leggi di indennizzo dei danni causati alle greggi che vigono in 14 Regioni (Legge 11 febbraio 1992, n.157 e D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, modificato e integrato dal D.P.R. 120/2003).
Identità genetica
Ma applicare le leggi di indennizzo non è così semplice, anche a causa di un problema relativamente recente, dato dalla progressiva ibridazione con il cane (il termine non è corretto, trattandosi di un incrocio tra specie naturale e il suo derivato artificiale, ma non esiste per ora definizione tecnicamente più appropriata) e dalla conseguente perdita di identità genetica della specie protetta. “Gli ibridi tra cane e lupo”, spiega Valeria Salvatori del progetto Ibriwolf (www.ibriwolf.it), “non sono infatti riconosciuti in alcuna normativa nazionale né comunitaria, non esistono per la legge e la loro gestione cade in un pericolosissimo vuoto legislativo. Tecnicamente non sono fauna selvatica e non dovrebbero essere sottoposti alla legge 157/92, e i loro danni al bestiame non dovrebbero rientrare nelle leggi regionali di indennizzo. D’altra parte non sono nemmeno cani e non dovrebbero quindi nemmeno rientrare nella legge 281/91 che prevede la tutela del cane randagio e impone norme precise per il trattamento dei cani vaganti, con rimozione in recinti appositi a seconda della disponibilità”.
“Sul fronte degli indennizzi”, precisa Berzi, “ogni regione è autonoma e dunque si assiste a una proliferazione di leggi una diversa dall'altra”. La Toscana, nel 2005, ha fatto una legge diversa da tutte le altre, che concede contributi per fare delle polizze di assicurazione: gli allevatori che fanno queste polizze hanno il diritto di avere il rimborso, gli altri sono esclusi da qualunque indennizzo. “La cosa”, spiega ancora Berzi, “ha fatto scalpore perché a livello regionale solo il 3,5 delle aziende hanno fatto questa polizza, ed è scoppiata la guerra perché di fatto, in caso di aggressione, nessuno riceve l'indennizzo. La legge è specifica sul lupo ma contiene una piccola integrazione anche per i danni da cane”. In generale, continua l'esperto, gli indennizzi non fanno distinzione tra ibridi e lupi. L'assurdo, però, è che non c'è alcuna forma di comunicazione tra Regioni su questo argomento e pertanto due allevatori che vivono sui lati diversi del crinale montuoso possono ricevere trattamenti completamente diversi in base alla Regione di appartenenza. “Alcune hanno una normativa avanzata, come il Piemonte, altre non hanno addirittura nessuna normativa”, conclude Berzi.
“Sicuramente”, aggiunge Boitani, “c'è qualcuno che sulla questione degli indennizzi ci marcia, così come è vero che qualche Regione paga con grande ritardo, e come è vero che molti pastori non denunciano i danni per paura di controlli al loro gregge spesso fuorilegge. Non è vero però che i danni da ibridi non sono pagati: sono sempre pagati, anche perché nessuno sarebbe mai in grado di distinguere i danni degli ibridi da quelli dei lupi”. Poiché non è possibile distinguere tra danni da lupo e danni prodotti da ibridi, accade, ad esempio, che parchi come quello nazionale dell'Appennino tosco-emiliano indennizzino i danni alle greggi in ogni caso. Negli ultimi venti anni le segnalazioni di lupi con caratteristiche piuttosto diverse da quelle standard del predatore italiano sono molto aumentate e sono stati avvistati più volte lupi neri o di colore pezzato, o con lo “sperone” nelle zampe posteriori, o con unghie bianche o con varie anomalie della dentizione. Esemplari ibridi sono stati confermati nel Mugello, nel Senese, nell’Amiata grossetano e nel Parco della Maremma, dove è stato avvistato un nucleo di 5-6 esemplari.
Questa situazione crea seri problemi sia sotto il profilo della conservazione (recentemente la Commissione Europea - Ufficio Biodiversità, Natura 2000 - ha confermato che gli ibridi non sono protetti dalla legge e dovrebbero essere rimossi per garantire la conservazione del lupo), sia sotto il profilo della salvaguardia del patrimonio genetico dell'animale, sia sotto il profilo del rapporto con pastori e cacciatori: gli ibridi, spesso molto più simili a cani che a lupi, godono infatti di un naturale vantaggio quando si avvicinano all'uomo e non vengono percepiti come potenziali cause di danno al bestiame.
Avvolto dal mistero
Minacciato nella sua biodiversità, perseguitato dai bracconieri, temuto dai pastori, tutelato da una legge che non sa proteggerlo davvero, amato, odiato, studiato, eppure ancora avvolto dal mistero. Quale sarà, dunque, il futuro del lupo? Oltre 40 ne sono stati uccisi, negli ultimi 5 anni, tra Abruzzo, Toscana, Molise e Lazio, e, come spiega Boitani, senza un'azione coordinata di tutela che coinvolga tutte le istituzioni e le parti interessate, l'animale è destinato a soccombere, per l'ennesima volta, a causa dell'incapacità dell'uomo di gestire esso e il suo habitat.
“Per ritrovare il necessario equilibrio di convivenza tra lupo e attività zootecniche”, precisa Gervasio, “si dovrebbero adottare misure gestionali indicate già da tempo, come la promozione e l’adozione da parte degli allevamenti di strumenti anti predazione efficienti e sperimentati; la promozione di una nuova e più efficace politica degli indennizzi e, infine, la piena applicazione delle norme sul randagismo”.
Se non la Storia, comunque la scienza è certamente dalla parte del lupo. Le conoscenze ecologiche attuali rivelano infatti che i grandi carnivori sono necessari per il mantenimento della biodiversità e della funzione degli ecosistemi e un recentissimo articolo su “Science” ha confermato questa teoria. “Le azioni umane”, conclude Marucco, “non possono sostituire completamente il ruolo dei grandi carnivori. In futuro, la crescente domanda di risorse e il cambiamento del clima influenzerà la biodiversità. Tutto ciò, combinato con l'importanza degli ecosistemi naturali, deve farci capire che i grandi carnivori e i loro habitat vanno mantenuti e conservati, ove possibile”.
Una barbara follia di MARGHERITA D’AMICO
Decapitati, evirati, appesi ai ponti: da mesi ormai i lupi sono oggetto di feroci rivendicazioni fra la bassa Toscana e il confine laziale. L'ultima testa mozzata, rinvenuta alla metà di febbraio a Scansano, appesa a un palo, era accompagnata da un cartello firmato Cappuccetto Rosso, in cui si indicavano i destinatari dell'intimidazione nelle associazioni protezionistiche Lav, WWF e Enpa. Si ipotizza che i truci gesti, accompagnati da manifesti che invitano la cittadinanza a considerare i lupi responsabili di assalti a persone e armenti, siano opera di pastori e allevatori abituati a voler disporre del territorio illimitatamente, senza scrupoli di convivenza con la fauna selvatica, né cautele o recinzioni. "Questa contrapposizione con gli animalisti è strumentale e serve a mantenere un dannoso clima di tensione", spiegano dall'Enpa-Ente nazionale protezione animali. "Noi comprendiamo infatti le ragioni dell'allevatore che si ritrova la pecora uccisa e per giunta la spesa dello smaltimento della carcassa, cui senz'altro spetta un risarcimento. Solo quando, però, abbia messo in atto comportamenti virtuosi, vale a dire un controllo dei ricoveri notturni e delle zone di pascolo, nonché sterilizzazione e microchippatura dei propri cani". Sui lupi infatti, in buona parte ibridati con cani vaganti, ancorché con quelli degli stessi pastori, gravano le colpe dell'inapplicazione della 281/91, la legge nazionale sul randagismo, che qualcuno oggi, strizzando l'occhio ai cacciatori, vorrebbe modificare suggerendo di eradicare il problema a suon di fucilate. Una barbara follia di cui non sentiremmo nemmeno parlare, se solo la nostra normativa, che proibisce di sopprimere cani e gatti senza padrone, fosse rispettata anche nei termini di prevenzione, vale a dire sterilizzando. Un compito niente affatto assolto da amministrazioni e Asl, che pure hanno ricevuto e continuano a gestire importanti fondi pubblici destinati a tale scopo. In tal senso, tutelare sia i lupi che la pastorizie avveduta significherebbe attribuire pesanti responsabilità sul territorio quanto ad assenza di controlli e degenerazione del randagismo. Mentre la compromissione fra cani vaganti e lupi e le sue drammatiche conseguenze sono ben descritte nel progetto Ibriwolf. La stessa, continua, concessione di deroghe di caccia non è un toccasana, poiché i lupi, soprattutto durante i mesi invernali, si vedono sottrarre dall'hobby venatorio le già scarse risorse naturali. Esistono infine allevatori di cani senza scrupoli che approfittano del clima di generale confusione per creare pericolosi incroci. Recenti indagini condotte dal Corpo Forestale dello Stato hanno condotto alla denuncia di otto allevatori attivi in differenti province italiane, e al sequestro di 37 esemplari di cane lupo cecoslovacco (molto di moda, che sul mercato può valere fino a cinquemila euro a soggetto) ibridi di prima generazione. L'investigazione ha infatti rivelato che gli allevatori avrebbero fatto accoppiare illegalmente lupi cecoslovacchi con lupe selvatiche (il Canis lupus è una specie strettamente protetta dalla convenzione di Berna del 1979, ratificata con legge italiana 503 del 1981 ) provenienti dai Carpazi (Lupo europeo), dal Nord America (Lupo del Mackenzie) e in alcuni casi con lupi appenninici.
24 marzo 2014
© Riproduzione riservata
Questo fantastico e per molti aspetti misterioso predatore è stato salvato dalla sua estinzione nonostante negli ultimi cinque anni siano stati uccisi quaranta esemplari tra Abruzzo, Toscana, Molise e Lazio. L’incrocio sempre più frequente con i cani sta modificando il suo gene. Tanto da parlare di specie ibrida. La sua sopravvivenza non è solo un imperativo etico ma una necessità legata all’ecosistema: svolge un ruolo decisivo nella biodiversità e ne avremo sempre più bisogno. Siamo andati sulle sue tracce e abbiamo scoperto perché
di SARA FICOCELLI, foto di SIMONA PAMPALLONA, montaggio video di ELENA ROSIELLO, grafica di PAOLA CIPRIANI
Una barbara follia di MARGHERITA D’AMICO
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ROMA – È il predatore per eccellenza dei nostri boschi e da lui dipende tutta la catena alimentare sottostante. Si nutre di grandi prede come di rifiuti urbani e può sopravvivere a ridosso dei crinali come nelle aree periferiche delle città; è capace di coordinare un'azione di caccia assolutamente perfetta in pochi secondi e di percorrere grandi distanze a una velocità di 30 km/h, mimetizzandosi in assoluto silenzio. Plasticità ecologica: a questo dobbiamo pensare, prima ancora che ai denti affilati e agli occhi penetranti, quando parliamo del Lupo (Canis lupus), ovvero a quella ancestrale capacità di adattarsi agli habitat e alle risorse rapidamente, a seconda delle esigenze e delle
disponibilità, in nome della sopravvivenza.
Predatore straordinario
Il lupo non è, insomma, un animale qualsiasi, ma un predatore straordinariamente intelligente, veloce, resistente, adattabile. È normale che, fino a un secolo fa, la gente di lui avesse solo paura e che i “lupari” ne appendessero le carcasse all'ingresso dei villaggi per poi farsi pagare dagli abitanti per il servizio di “vigilanza”. La caccia al protagonista cattivo delle fiabe, in Italia, è stata talmente accurata che negli Anni 70 del secolo scorso sull'intero territorio nazionale ne erano rimasti appena un centinaio: i primi ad essere sterminati, negli Anni 20, furono quelli delle Alpi; poi fu la volta dei branchi della Sicilia e negli Anni 60 l'animale diventò rarissimo in tutto l'Appennino.
Il ritorno
Oggi i lupi in Italia sono circa un migliaio (fonte LCIE 2012, www.lcie.org), con le presenze maggiori sulla dorsale appenninica e sulle Alpi occidentali, isole escluse. Se il pericolo di estinzione è scongiurato lo dobbiamo (anche) all'intervento di due ricercatori, Luigi Boitani dell’università La Sapienza di Roma ed Erick Ziemen del Max Planck Institut di Monaco, che all'inizio degli Anni 70, su commissione del WWF, studiarono la distribuzione della specie e sottolinearono come, senza interventi mirati, di lì a poco si sarebbe estinta. Seguirono il decreto ministeriale Natali, del '71, che eliminò il lupo dalla lista degli animali nocivi e proibì l'uso dei bocconi avvelenati, e il Marcora, del '76, che sancì la protezione integrale e il divieto di caccia totale.
La capacità di recupero senza uguali del predatore, l'abbandono delle montagne da parte dell'uomo e il conseguente ripopolamento delle stesse da parte di cervi, daini e cinghiali, di cui il lupo si nutre, fecero il resto. Negli anni, molte voci si sono susseguite secondo cui l'animale sarebbe stato reintrodotto in Italia grazie all'intervento dell'uomo, ma gli esperti rifiutano compatti questa teoria. “Circolano leggende che vogliono i lupi lanciati dagli elicotteri, trasportati in giro per l’Appennino dentro casse di legno, allevati in gran segreto e 'microchippati', incrociati con lupi americani, artici, francesi, cecoslovacchi, dotati di radiocollari appena nati. Chi vuol credere a tutto ciò, è libero di farlo, le leggende, per l’appunto, non muoiono mai”, spiega Willy Reggioni del Wolf Apennine Center, Parco nazionale dell'Appennino tosco-emiliano (www.parcoappennino.it). “Si parla di 'ritorno naturale della specie' per essere corretti”, spiega Francesca Marucco, coordinatore tecnico scientifico del progetto Life WolfAlps. “Il termine 'ripopolamento' indica un’azione per mano dell'uomo, che nel caso del lupo non c’è stata, dato che il fenomeno di ricolonizzazione di nuove aree è totalmente naturale. Il caso più interessante è quello alpino, dove l'animale era praticamente scomparso all’inizio del 1900 e il processo di ripopolazione, in particolare nella zona sudoccidentale, si è verificato grazie alla naturale dispersione degli abitanti degli Appennini. Oggi si sta inoltre assistendo al primo contatto tra i lupi alpini e quelli dinarici, della Slovenia, dopo due secoli di distacco, nella zona centro-orientale delle Alpi”.
Allevatori esasperati
Ma quando di mezzo ci sono questi animali, sembra una maledizione, non c'è favola che abbia lieto fine. Per quanto il lupo, come spiega il professor Mauro Delogu, docente di Malattie dalla fauna selvatica dell'Università di Bologna, sia un animale estremamente utile, perché capace di attuare un vero e proprio controllo selettivo della popolazione di caprioli, daini, cervi e cinghiali, sia uccidendo gli animali con patologie, sia rimuovendo le loro carcasse, la proliferazione dei branchi (circa 30 sulle Alpi occidentali, 1 in quelle orientali, circa 70 nella sola Toscana, 8-9 nel Parco nazionale d'Abruzzo, 4 nel Parco Nazionale dell'Aspromonte, ciascuno composto da 4 a 6 elementi) ha portato, negli anni, a crescenti conflitti con la zootecnia, esasperando gli allevatori che sempre più frequentemente vedono le proprie pecore, capre, o cavalli attaccati dall'animale, “con danni economici che mettono a dura prova non solo la singola azienda ma tutto il settore produttivo”, spiega Duccio Berzi, tecnico faunistico che da anni lavora in questo campo occupandosi di progetti di prevenzione.
“Con l'aumentare dei lupi sul territorio”, spiega Giacomo Gervasio della Società Cooperativa Greenwood (www.scgreenwood.it) in Calabria, “è cresciuto anche il numero degli attacchi al bestiame domestico, che in alcuni casi possono coinvolgere un elevato numero di capi. Questo conflitto è particolarmente vivo in territori nei quali l'assenza del carnivoro da quasi un secolo ha fatto sì che si perdesse la memoria della convivenza col predatore”. Secondo Simone Angelucci, medico veterinario dell'Ente Parco Nazionale della Majella, il lupo predilige comunque l'approvvigionamento presso gli allevamenti “solo in particolari situazioni che favoriscono questo tipo di attacchi, ovvero in condizioni ambientali o di gestione non appropriate. Ma è chiaro che custodire bene un gregge comporta dei costi aggiuntivi per le aziende agrozootecniche, già in forte crisi, e questo determina un conflitto rispetto alle esigenze di tutela del mammifero”.
Da qui il ritorno sulla scena dei bracconieri, che negli ultimi anni, tra cacciate, bocconi avvelenati e lacci di ferro, hanno ricominciato a dare la caccia al lupo, proprio come accadeva un secolo fa. Il predatore è infatti una specie protetta dalla Direttiva Habitat in quasi tutta Europa e integralmente tutelata dalla legislazione italiana. La modalità di gestione adottata dal nostro Paese è, come la definiscono gli esperti, del tipo “benign neglect” (protezione sulla carta ma nessun intervento attivo), fatta eccezione per le leggi di indennizzo dei danni causati alle greggi che vigono in 14 Regioni (Legge 11 febbraio 1992, n.157 e D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, modificato e integrato dal D.P.R. 120/2003).
Identità genetica
Ma applicare le leggi di indennizzo non è così semplice, anche a causa di un problema relativamente recente, dato dalla progressiva ibridazione con il cane (il termine non è corretto, trattandosi di un incrocio tra specie naturale e il suo derivato artificiale, ma non esiste per ora definizione tecnicamente più appropriata) e dalla conseguente perdita di identità genetica della specie protetta. “Gli ibridi tra cane e lupo”, spiega Valeria Salvatori del progetto Ibriwolf (www.ibriwolf.it), “non sono infatti riconosciuti in alcuna normativa nazionale né comunitaria, non esistono per la legge e la loro gestione cade in un pericolosissimo vuoto legislativo. Tecnicamente non sono fauna selvatica e non dovrebbero essere sottoposti alla legge 157/92, e i loro danni al bestiame non dovrebbero rientrare nelle leggi regionali di indennizzo. D’altra parte non sono nemmeno cani e non dovrebbero quindi nemmeno rientrare nella legge 281/91 che prevede la tutela del cane randagio e impone norme precise per il trattamento dei cani vaganti, con rimozione in recinti appositi a seconda della disponibilità”.
“Sul fronte degli indennizzi”, precisa Berzi, “ogni regione è autonoma e dunque si assiste a una proliferazione di leggi una diversa dall'altra”. La Toscana, nel 2005, ha fatto una legge diversa da tutte le altre, che concede contributi per fare delle polizze di assicurazione: gli allevatori che fanno queste polizze hanno il diritto di avere il rimborso, gli altri sono esclusi da qualunque indennizzo. “La cosa”, spiega ancora Berzi, “ha fatto scalpore perché a livello regionale solo il 3,5 delle aziende hanno fatto questa polizza, ed è scoppiata la guerra perché di fatto, in caso di aggressione, nessuno riceve l'indennizzo. La legge è specifica sul lupo ma contiene una piccola integrazione anche per i danni da cane”. In generale, continua l'esperto, gli indennizzi non fanno distinzione tra ibridi e lupi. L'assurdo, però, è che non c'è alcuna forma di comunicazione tra Regioni su questo argomento e pertanto due allevatori che vivono sui lati diversi del crinale montuoso possono ricevere trattamenti completamente diversi in base alla Regione di appartenenza. “Alcune hanno una normativa avanzata, come il Piemonte, altre non hanno addirittura nessuna normativa”, conclude Berzi.
“Sicuramente”, aggiunge Boitani, “c'è qualcuno che sulla questione degli indennizzi ci marcia, così come è vero che qualche Regione paga con grande ritardo, e come è vero che molti pastori non denunciano i danni per paura di controlli al loro gregge spesso fuorilegge. Non è vero però che i danni da ibridi non sono pagati: sono sempre pagati, anche perché nessuno sarebbe mai in grado di distinguere i danni degli ibridi da quelli dei lupi”. Poiché non è possibile distinguere tra danni da lupo e danni prodotti da ibridi, accade, ad esempio, che parchi come quello nazionale dell'Appennino tosco-emiliano indennizzino i danni alle greggi in ogni caso. Negli ultimi venti anni le segnalazioni di lupi con caratteristiche piuttosto diverse da quelle standard del predatore italiano sono molto aumentate e sono stati avvistati più volte lupi neri o di colore pezzato, o con lo “sperone” nelle zampe posteriori, o con unghie bianche o con varie anomalie della dentizione. Esemplari ibridi sono stati confermati nel Mugello, nel Senese, nell’Amiata grossetano e nel Parco della Maremma, dove è stato avvistato un nucleo di 5-6 esemplari.
Questa situazione crea seri problemi sia sotto il profilo della conservazione (recentemente la Commissione Europea - Ufficio Biodiversità, Natura 2000 - ha confermato che gli ibridi non sono protetti dalla legge e dovrebbero essere rimossi per garantire la conservazione del lupo), sia sotto il profilo della salvaguardia del patrimonio genetico dell'animale, sia sotto il profilo del rapporto con pastori e cacciatori: gli ibridi, spesso molto più simili a cani che a lupi, godono infatti di un naturale vantaggio quando si avvicinano all'uomo e non vengono percepiti come potenziali cause di danno al bestiame.
“Sicuramente”, aggiunge Boitani, “c'è qualcuno che sulla questione degli indennizzi ci marcia, così come è vero che qualche Regione paga con grande ritardo, e come è vero che molti pastori non denunciano i danni per paura di controlli al loro gregge spesso fuorilegge. Non è vero però che i danni da ibridi non sono pagati: sono sempre pagati, anche perché nessuno sarebbe mai in grado di distinguere i danni degli ibridi da quelli dei lupi”. Poiché non è possibile distinguere tra danni da lupo e danni prodotti da ibridi, accade, ad esempio, che parchi come quello nazionale dell'Appennino tosco-emiliano indennizzino i danni alle greggi in ogni caso. Negli ultimi venti anni le segnalazioni di lupi con caratteristiche piuttosto diverse da quelle standard del predatore italiano sono molto aumentate e sono stati avvistati più volte lupi neri o di colore pezzato, o con lo “sperone” nelle zampe posteriori, o con unghie bianche o con varie anomalie della dentizione. Esemplari ibridi sono stati confermati nel Mugello, nel Senese, nell’Amiata grossetano e nel Parco della Maremma, dove è stato avvistato un nucleo di 5-6 esemplari.
Questa situazione crea seri problemi sia sotto il profilo della conservazione (recentemente la Commissione Europea - Ufficio Biodiversità, Natura 2000 - ha confermato che gli ibridi non sono protetti dalla legge e dovrebbero essere rimossi per garantire la conservazione del lupo), sia sotto il profilo della salvaguardia del patrimonio genetico dell'animale, sia sotto il profilo del rapporto con pastori e cacciatori: gli ibridi, spesso molto più simili a cani che a lupi, godono infatti di un naturale vantaggio quando si avvicinano all'uomo e non vengono percepiti come potenziali cause di danno al bestiame.
Avvolto dal mistero
Minacciato nella sua biodiversità, perseguitato dai bracconieri, temuto dai pastori, tutelato da una legge che non sa proteggerlo davvero, amato, odiato, studiato, eppure ancora avvolto dal mistero. Quale sarà, dunque, il futuro del lupo? Oltre 40 ne sono stati uccisi, negli ultimi 5 anni, tra Abruzzo, Toscana, Molise e Lazio, e, come spiega Boitani, senza un'azione coordinata di tutela che coinvolga tutte le istituzioni e le parti interessate, l'animale è destinato a soccombere, per l'ennesima volta, a causa dell'incapacità dell'uomo di gestire esso e il suo habitat.
“Per ritrovare il necessario equilibrio di convivenza tra lupo e attività zootecniche”, precisa Gervasio, “si dovrebbero adottare misure gestionali indicate già da tempo, come la promozione e l’adozione da parte degli allevamenti di strumenti anti predazione efficienti e sperimentati; la promozione di una nuova e più efficace politica degli indennizzi e, infine, la piena applicazione delle norme sul randagismo”.
Se non la Storia, comunque la scienza è certamente dalla parte del lupo. Le conoscenze ecologiche attuali rivelano infatti che i grandi carnivori sono necessari per il mantenimento della biodiversità e della funzione degli ecosistemi e un recentissimo articolo su “Science” ha confermato questa teoria. “Le azioni umane”, conclude Marucco, “non possono sostituire completamente il ruolo dei grandi carnivori. In futuro, la crescente domanda di risorse e il cambiamento del clima influenzerà la biodiversità. Tutto ciò, combinato con l'importanza degli ecosistemi naturali, deve farci capire che i grandi carnivori e i loro habitat vanno mantenuti e conservati, ove possibile”.
Se non la Storia, comunque la scienza è certamente dalla parte del lupo. Le conoscenze ecologiche attuali rivelano infatti che i grandi carnivori sono necessari per il mantenimento della biodiversità e della funzione degli ecosistemi e un recentissimo articolo su “Science” ha confermato questa teoria. “Le azioni umane”, conclude Marucco, “non possono sostituire completamente il ruolo dei grandi carnivori. In futuro, la crescente domanda di risorse e il cambiamento del clima influenzerà la biodiversità. Tutto ciò, combinato con l'importanza degli ecosistemi naturali, deve farci capire che i grandi carnivori e i loro habitat vanno mantenuti e conservati, ove possibile”.
Una barbara follia di MARGHERITA D’AMICO
Decapitati, evirati, appesi ai ponti: da mesi ormai i lupi sono oggetto di feroci rivendicazioni fra la bassa Toscana e il confine laziale. L'ultima testa mozzata, rinvenuta alla metà di febbraio a Scansano, appesa a un palo, era accompagnata da un cartello firmato Cappuccetto Rosso, in cui si indicavano i destinatari dell'intimidazione nelle associazioni protezionistiche Lav, WWF e Enpa. Si ipotizza che i truci gesti, accompagnati da manifesti che invitano la cittadinanza a considerare i lupi responsabili di assalti a persone e armenti, siano opera di pastori e allevatori abituati a voler disporre del territorio illimitatamente, senza scrupoli di convivenza con la fauna selvatica, né cautele o recinzioni. "Questa contrapposizione con gli animalisti è strumentale e serve a mantenere un dannoso clima di tensione", spiegano dall'Enpa-Ente nazionale protezione animali. "Noi comprendiamo infatti le ragioni dell'allevatore che si ritrova la pecora uccisa e per giunta la spesa dello smaltimento della carcassa, cui senz'altro spetta un risarcimento. Solo quando, però, abbia messo in atto comportamenti virtuosi, vale a dire un controllo dei ricoveri notturni e delle zone di pascolo, nonché sterilizzazione e microchippatura dei propri cani". Sui lupi infatti, in buona parte ibridati con cani vaganti, ancorché con quelli degli stessi pastori, gravano le colpe dell'inapplicazione della 281/91, la legge nazionale sul randagismo, che qualcuno oggi, strizzando l'occhio ai cacciatori, vorrebbe modificare suggerendo di eradicare il problema a suon di fucilate. Una barbara follia di cui non sentiremmo nemmeno parlare, se solo la nostra normativa, che proibisce di sopprimere cani e gatti senza padrone, fosse rispettata anche nei termini di prevenzione, vale a dire sterilizzando. Un compito niente affatto assolto da amministrazioni e Asl, che pure hanno ricevuto e continuano a gestire importanti fondi pubblici destinati a tale scopo. In tal senso, tutelare sia i lupi che la pastorizie avveduta significherebbe attribuire pesanti responsabilità sul territorio quanto ad assenza di controlli e degenerazione del randagismo. Mentre la compromissione fra cani vaganti e lupi e le sue drammatiche conseguenze sono ben descritte nel progetto Ibriwolf. La stessa, continua, concessione di deroghe di caccia non è un toccasana, poiché i lupi, soprattutto durante i mesi invernali, si vedono sottrarre dall'hobby venatorio le già scarse risorse naturali. Esistono infine allevatori di cani senza scrupoli che approfittano del clima di generale confusione per creare pericolosi incroci. Recenti indagini condotte dal Corpo Forestale dello Stato hanno condotto alla denuncia di otto allevatori attivi in differenti province italiane, e al sequestro di 37 esemplari di cane lupo cecoslovacco (molto di moda, che sul mercato può valere fino a cinquemila euro a soggetto) ibridi di prima generazione. L'investigazione ha infatti rivelato che gli allevatori avrebbero fatto accoppiare illegalmente lupi cecoslovacchi con lupe selvatiche (il Canis lupus è una specie strettamente protetta dalla convenzione di Berna del 1979, ratificata con legge italiana 503 del 1981 ) provenienti dai Carpazi (Lupo europeo), dal Nord America (Lupo del Mackenzie) e in alcuni casi con lupi appenninici.
24 marzo 2014
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