Il
problema di Brescia sono il cromo e i solventi organoalogenati,
sostanze
altamente tossiche che risultano presenti nell’acqua potabile.
Che ci
fa quella roba nel rubinetto? La falda che serve Brescia
ha
subìto per decenni l’inquinamento dell’area industriale Caffaro,
a
pochi passi dalla città. Le analisi dell’Asl, nel tempo, hanno
dato
risultati
più o meno allarmanti. Lo scorso gennaio due cittadini
hanno
deciso di far analizzare a proprie spese alcuni campioni: il
primo
prelievo, fatto in periferia, ha riscontrato una concentrazione
di
26,6 microgrammi di cromo per litro d’acqua, dato più di
due
volte superiore rispetto a quello rilevato dalle analisi
Asl
tre mesi prima. Il secondo test, in pieno centro,
ha
scovato tracce di cromo esavalente per valori poco
più
bassi ma comunque seri (circa 11,6 microgrammi
ogni
litro). L’Asl, solo venti giorni prima, non aveva
riscontrato
tracce della sostanza e l’acqua delle fontane
pubbliche
risultava incontaminata. Da notare che la
California
nel 2013 ha adottato un limite di 10 microgrammi
al
litro, mentre quello in vigore in Europa
(50
microgrammi per il cromo totale) risale al 1958. Il
gestore
dell’acquedotto, A2a, garantisce che tutto è
sotto
controllo: nel miscelare l’acqua potabile è stata
aumentata
la dose proveniente dalla fonte (pulita) di
Mompiano,
e si sta tentando l’abbattimento del cromo versando
solfato
ferroso nei pozzi sperimentali. Le dosi entrate nel circolo
vitale
però stanno dove stanno: per esempio nel latte materno, o
nelle
percentuali anomale di tumori al seno e al fegato. L’area inquinata
è di
due milioni di metri quadri, secondo le stime.
il fatto quotidiano 27 marzo 2014 di Chiara Paolin
Nessun commento:
Posta un commento