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giovedì 2 gennaio 2014
L’ultimo Capodanno di Stefano “malato di Ilva”, morto per cancro alla gola
OPERAIO DELL’ACCIAIERIA, DELLI PONTI, 39 ANNI, È MORTO PER UN CANCRO ALLA GOLA, LA MOGLIE DISOCCUPATA NON SA COME MANTENERE I FIGLI
SOLIDARIETÀ
I colleghi hanno dovuto
lottare con
l’amministrazione della
fabbrica per devolvere
ore lavorative alloscopo di pagargli le cure
di Sandra Amurri il fatto quotidiano 2 gennaio 2014
Ha chiuso gli occhi, per
sempre, Stefano Delli
Ponti, 39 anni, 11 trascorsi nel
reparto manutenzione refrattaria
in Acciaieria 2, Ilva, Taranto,
mentre l’anno stava finendo.
“Se accadesse che chiuderò
gli occhi” ripeteva ai compagni
di lavoro, agli amici, senzamai pronunciare quella parola
“morte” che non lo spaventava,
di fronte al dilaniante
pensiero che senza di lui i suoi
figli, Simone di 8 anni e Giulia
di 3 sarebbero rimasti orfani
anche di pane e la moglie Doriana
costretta a convivere con
la disperazione di un lavoro
che non c’è. “Come vivranno
senza di me?”, la domanda che
lo torturava più di quel tumore
alla gola che lo aveva aggredito
nel 2011.
PER PERMETTERGLI cure costosissime
a Milano i compagni
dell’Unione sindacale di base
hanno dovuto lottare fino a occupare
la sala d’attesa della direzione
per farsi ricevere e autorizzare
quella forma di solidarietà
che consisteva nella detrazione
dalla busta paga di un totale
di 9 mila ore lavorative,
straordinari, ferie. In 7 mesi
hanno donato a Stefano 60 mila
euro. Stefano conosceva bene il
valore di quei soldi tolti a una
magra busta paga e non voleva
accettarli. Lo ha fatto solo dopo
che uno suoi più cari amici gli ha
detto: “Chiedimi cosa farei io se
fossi malato e non potessi curarmi”.
Stefano gliel’ha chiesto, e
lui: “Vorrei essere aiutato da chi
condivide con me stenti e diritti
negati”. Stefano aveva la forza di
un leone, racconta Marco Zanframundo:
“Lui stava morendo
e chiedeva a noi come stavamo.
Quando lo accompagnammo in
direzione per far cambiare quelle
3000 ore donate, in euro, abbiamo
atteso 7 ore, perché trasformare
ore in soldi per farlo
curare non era lecito. Hanno accettato
a patto che non creasse
un precedente”.
BLOCC ARE l’epidemia della solidarietà
per aiutare a combattere
un tumore, figlio naturale
dell’inquinamento, figlio degenere
dell’indifferenza e della
connivenza della politica con il
potere economico. Bisogna restare
in silenzio perché, parola
del consulente economico di
Matteo Renzi, Yoran Gutgeld a
Omnibus: “Taranto è la città dell’acciaio,
ci sono centinaia di siti
dove si possa sviluppare il turismo
che non abbiano l’acciaie -
ria... I problemi della salute sono
dovuti al fatto che sono state costruite
case attaccate all’acciaie -
ria”. È accaduto l’esatto contrario.
Dunque, tarantini, morite,
ma senza alzare troppa polvere
parolaia, quella di puro ferro ve
la garantisce l’Ilva fin dentro le
vostre case, i vostri polmoni.
A salutare Stefano in Chiesa, il
primo gennaio, c’erano 400 persone
tra le quali il coordinatore
dell’Usb Francesco Rizzo, neppure
l’ombra di un rappresentante
dell’Ilva, men che meno
delle istituzioni. E mentre chiudeva
gli occhi per sempre, a Bari
il Governatore Nichi Vendola
alla conferenza di fine anno invitava
la “Puglia e i pugliesi ad
adottare Taranto, una delle città
più belle del Mediterraneo”. E a
Roma il Presidente della Repubblica
rivolgendosi ai cittadini
esprimeva solidarietà ai due
Marò accusati di omicidio.
La morte di Stefano, come quella
di altri operai e famigliari,
compresi i bambini, pesa troppo
sulle coscienze sopite e ammorbidite
dal potere per potere
essere ricordata. A chi conosce il
dolore dell’abbandono eterno e
la durezza del vivere senza lavoro
bastano le parole di Tiziano,
fratello di Stefano: “Non ti
preoccupare stai bene lì, ora ci
sono io a prendere un piccolo
posto vicino a Dory, non ti deluderò
perché mi darai tu la forza
che avevi in tutto. Ciao Leone
con quell’ultimo bacio che mi
hai dato in fronte ora posso affrontare
tutti e tutto”. A tutti noi
il dovere di non dimenticare
perché Stefano è morto e la forza
per lottare affinché Taranto diventi
città della vita.
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