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domenica 29 dicembre 2013
anche Paolo Berlusconi nel giro dei rifiuti nucleari, lo accusa Carmine Schiavone tra carte e segreti
“ANCHE PAOLO BERLUSCONI
NEL GIRO DEI RIFIUTI NUCLEARI”
CARMINE SCHIAVONE, IL BOSS PENTITO CHE DENUNCIÒ LO SMALTIMENTO
DI MATERIALE TOSSICO IN CAMPANIA GIÀ NEL 1993, ACCUSA IL COSTRUTTORE
CARTE E SEGRETI
L’agente Mancini
della Criminalpol:
“Il processo subì
pressioni enormi,
la massoneria
si mise di mezzo”
STASERA SU LA7
Le mamme piangono
i bimbi morti di tumore
e i contadini continuano
a vendere i prodotti
della terra: lo speciale
di Sandro Ruotolo Il fatto quotidiano 29 dicembre 2013
di Chiara Paolin
Lo dice senza problemi
che in vita sua ha
ammazzato almeno
cinquanta cristiani,
e per altri quattrocento ha dato
l’ordine di farli fuori. Lo giura
con un sorriso che è scampato
alla morte tante volte, per miracolo:
“Pure con la stricnina in
carcere ci hanno provato, e
un’altra volta con un lanciamissili”.
Carmine Schiavone ha
retto a tutto dopo l’affiliazione
alla mafia, con pungitura a Milano
nel 1974 per mano di Luciano
Liggio. Non un camorrista,
dunque, ma un mafioso che
gestiva il comparto costruzioni
e opere pubbliche a Caserta e
dintorni: dieci miliardi di lire al
mese da spartire e investire.
Nei primi anni 90 il guaio. Gli
propongono di mettere monnezza
sotto una strada, e lui ci
sta. Ma quando s’accorge che
tra i sacchi di spazzatura ci sono
fusti tossici, rompe l’accor -
do. Il clan tenta di convincerlo.
Sandokan, suo cugino, lo minaccia.
Lui insiste, gli fanno
una soffiata e arriva l’arresto, il
carcere, le rivelazioni sulla
montagna di schifezze sotterrate
nelle campagne. Indagini e
processi che mandano in galera
1500 affiliati.
Questa è la storia di Carmine
Schiavone per come la racconta
lui in prima persona a Servizio
Più Pubblico, lo speciale in onda
stasera su La7 (ore 20:35) per
raccontare cos’è l’“Inferno atomico”,
un territorio devastato
da 10 mila tonnellate di rifiuti
tra cui, dice Schiavone, ci stanno
pure materiali radioattivi.
“QUA SOTTO CI SONO le scorie
nucleari, arrivate qua dalla
Germania in cassettine grandi
così – dice Schiavone calpestando
un campo vicino a Casal
di Principe –. Le portava una
società di Milano collegata all’ex
P2, a Licio Gelli: era di uno
che faceva il costruttore, e che
s’è dimesso appena io ho verbalizzato
il suo nome”. Cioè
quando, a partire dal 1993,
Schiavone spiega ai magistrati
l’affare della monnezza e spara
un nome grosso, già all’epoca:
“Dove sono finiti i verbali dove
parlo di Paolo Berlusconi?”,
chiede Schiavone quando alcune
mamme della zona, persi i
loro bimbi per tumori legati all’inquinamento,
pretendono
dal boss un’assunzione di responsabilità.
Nessuna prova contro Paolo
Berlusconi è mai stata esibita, e
molte dichiarazioni di Carmine
Schiavone restano coperte dal
segreto di Stato. Quanto emerso
nelle ultime settimane sul lavoro
svolto dalla Commissione
parlamentare nel 1997, il famoso
“qua moriranno tutti tra
vent’anni”, è solo un frammento
della verità più profonda e
inesplorata. Un mistero che ha
rovinato la vita a Roberto Man-
cini, l’agente della Criminalpol
che per quelle indagini del 1993
sorvolò in elicottero le terre del
veleno. Al suo fianco Schiavone,
che gli indicava i campi dove
il suo clan aveva sotterrato i rifiuti
pericolosi. L’agente Mancini
ha passato giorni interi
camminando su quella terra, a
prendere misure e segnare punti
di scavo, a seguire i carotaggi e
prendere appunti. L’agente
Mancini non è più in servizio:
da dieci anni combatte un linfoma,
un cancro tipico nella
Terra dei fuochi, una malattia
che è una beffa per chi credeva
nella legalità e ha visto sprecare
un lavoro rischioso, durissimo.
“Non sono stato tutelato dallo
Stato – dice Mancini nello studio
di Servizio Pubblico a Sandro
Ruotolo –. Finora ho combattuto
il tumore, d’ora in poi mi
dedicherò alle istituzioni.
Quando consegnai il mio rapporto
sulle ispezioni giù in
Campania, i giudici Narducci e
Policastro erano entusiasti. Pochi
giorni dopo cambiarono
idea, e dell’inchiesta non rimase
nulla: troppo difficile da gestire,
troppe pressioni. C’è stato anche
l’intervento della massoneria,
è provato”.
In Campania tutti aspettano
una risposta. I malati, i parenti
dei morti, quelli che pretendono
dal presidente della Repubblica
il riconoscimento ufficiale
dello status di vittime dello Stato:
“Gli abbiamo spedito 150
mila cartoline, non ha dato cenno
– spiegano dal comitato –.
Del resto, all’epoca dei fatti, era
lui il ministro degli Interni.
Quindi ora speriamo che ci dia
ascolto Papa Francesco”.
NELLE CAMPAGNE, i contadini
raccolgono peperoni e friarielli
a pochi metri dalle aree sospette:
“Dobbiamo svendere, nessuno
compra più”. Ma perché
non avete denunciato negli anni
chi veniva a sversare? “Con la
canna di fucile in bocca dovevamo
parlare, certo. Qua non ci
ha difesi mai nessuno, la politica
sapeva, ha mangiato e noi
siamo rovinati”.
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