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martedì 26 novembre 2013
Le 500 professioni “verdi” che nessuno prepara 3,3 MILIONI DI POSTI “GREEN” L’AMBIENTE È UNA RISORSA PER L’OCCUPA ZIONE.
MA LO SAREBBE
DI PIÙ SE SCUOLE
E UNIVERSITÀ
FORNISSERO
LE COMPETENZE
NECESSARIE
di Thomas Mackinson il fatto quotidiano 25 novembre 2013
Si fa presto a dire green ,
ma l’Italia che ha toccato
il record della disoccupazione
giovanile
siede su 500 profili professionali
che il mercato del lavoro cerca
e il sistema scolastico non forma,
fino al paradosso di dieci
nuovi mestieri addirittura “ir -
reperibili”. Mobilità sostenibile,
rinnovabili, bioedilizia, economia
del riciclo, ecotessile:
molte sono le declinazioni dell’economia
verde su cui il nostro
Paese sembra poter marciare
come un treno. E' un verde-
prezzemolo: non c’è telegiornale
o magazine senza una
storiella edificante sulle magnifiche
sorti della green economy,
mentre i siti abbondano di
start-up di successo e di giovani
che - grazie ai nuovi “mestieri
verdi” - si avviano a un futuro
radioso di occupazione e benessere.
Il tutto sullo sfondo di un
ritrovato equilibrio, finalmente,
nel rapporto uomo-ambiente.
Una favola che ci raccontiamo
o un'opportunità reale?
L’occasione irripetibile di salvare
il Belpaese o l’ennesima speranza
tradita? A leggere certi
numeri l’entusiasmo che ha
contagiato tutti è giustificato. A
leggerli tutti, però, si scopre anche
che l’Italia fa l’Italia: siede su
una miniera d’oro e non l’affer -
ra proprio come accade con
agricoltura, arte e turismo.
CHI VUOL CAPIREdavvero cosa
siano i cosiddetti green jobs può
leggersi le 287 pagine del nuovo
rapporto annuale di Union Camere
e Fondazione Symbola
“Green Italy 2013”. Tutte le pagine.
Quando è stato presentato,
ai primi di novembre, i dati della
sintesi - nel grigiore della crisi -
hanno fatto notizia: in Italia sono
3 milioni i lavoratori "verdi",
328mila le aziende (il 22%) dell'industria
e dei servizi con almeno
un dipendente che dal
2008 hanno investito, o lo faranno
quest'anno, in tecnologie
green per ridurre l'impatto ambientale
e risparmiare energia.
Da queste aziende arriverà nel
2013 il 38% di tutte le assunzioni
programmate nell'industria e
nei servizi.
Questa è la green economy italiana,
cui si devono 100,8 miliardi
di valore aggiunto prodotto,
in termini nominali, nel 2012
pari al10,6% del totale dell'economia
nazionale. Di più, quella
verde, secondo il rapporto, ne è
addirittura la parte propulsiva: il
42% delle imprese manifatturiere
che fanno eco-investimenti
esporta i propri prodotti, contro
il 25,4% di quelle che non lo fanno.
Evviva l’onda verde, dunque.
Ma si farebbe un torto alla
ricerca se non si buttasse l’oc -
chio alle pagine che raccontano
l’altra parte della verità: senza
una politica specifica e coerente,
l’Italia che ha infierito sul suo
suolo e sull'ambiente rischia di
farsi sfuggire di mano un paradigma
produttivo e professionale
da cui ripartire, su cui fondare
un nuovo made in Italy. Ma
come è fatto?
INTANTO va chiarito che i 3,3
milioni di green jobs non sono
agronomi, forestali e giardinieri.
Sono figure appartenenti a
una griglia definita da una specifica
classificazione Istat che
comprende ormai 90 profili
professionali specifici e altri 406
“attivabili”, cioè non strettamente
green ma suscettibili di
una qualche evoluzione di competenza
e lavoro nell’ambito
dello sviluppo sostenibile: si va
dai classici come l’ingegnere
energetico o il bioarchitetto fino
ai più curiosi come il carpentiere
sostenibile , che nell’industria
del legno seleziona e lavora materiali
naturali o eco-compatibili,
all’eco- carrozziere che tra i lastroferratori
riusa le lamiere per
scopi diversi.
Classificazione alla mano, si
possono estrapolare i dati sull’occupazione
Excelsior e scoprire
le 20 figure green più ricercate
e quelle addirittura “in -
trovabili” (nel grafico). E qui
torna in campo l’Italia che fa l’Italia.
Le figure non si trovano
perché nessuno le cerca o nessuno
le forma. Se si guarda alle
mappe delle assunzioni con criterio
geografico si scopre che lo
stock occupazionale “green”
abita in gran parte al Nord,
mentre il centro-sud è quasi un
non pervenuto nella grande rivoluzione
verde: la sola Lombardia,
prima in classifica con
11mila assunzioni, vale quanto
Emilia, Lazio e Piemonte o come
tutte le regioni del centro-
sud. Un’Italia a due velocità
che riflette il diverso tasso di radicamento
delle imprese verdi.
Per contro esistono anche le 10
figure “i ntrova bili” e sono il
frutto dell’incapacità del sistema
scolastico di orientare istruzione
e formazione verso le professionalità
che il mercato cerca.
Nel caso dei green jobs il
mis-matching tra professionalità
immesse sul mercato e competenze
richieste è fortissimo.
Del resto la scelta green, dice il
rapporto 2013, andrebbe fatta
prima. Ma noi abbiamo smantellato
gli istituti tecnici superiori
(Its), i soli che possono immettere
prima i giovani su un
percorso “green”. Erano nati
dalla compartecipazione dei diversi
attori istituzionali, imprenditoriali
e della formazione
proprio per misurare i fabbisogni
lavorativi e formativi del territorio
ed erogare i necessari
percorsi di studio. Di queste
scuole oggi se ne contano appena
65 in tutta Italia, nonostante
il 60% dei primi 825 diplomati
2013 abbia già trovato occupazione.
Ma solo 25 istituti fanno
riferimento a percorsi in qualche
modo collegati al mestiere
del futuro.
PEGGIO all’università. Proprio
in questi giorni negli atenei sono
attivi i corner di orientamento
di Italia Lavoro. Sono lì per spiegare
a chi si iscrive dove tira il
vento del lavoro in un Paese che
in un anno laurea 21.677 avvocati,
43.170 dottori in economia,
33.125 in medicina e soltanto
119 chimici industriali, 11 dottori
in scienze del farmaco per
l’ambiente e la salute e 49 in
scienze ambientali. E poco importa
se per queste categorie il
tasso di occupazione a un anno
dal titolo oscilla tra il 57 e l’80%.
Qualcuno al green preferisce
ancora il rischio di restare al verde.
E magari neppure lo sa.
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