A Borgo Montello per anni hanno visto interrare fusti di notte
03/11/2013 06:04
Stefania Belmonte Nelle stesse ore in cui il segreto sulle dichiarazioni del pentito Carmine Schiavone è stato sciolto, a Latina ancora si raccolgono testimonianze. È la polizia, che chiede di... Nelle stesse ore in cui il segreto sulle dichiarazioni del pentito Carmine Schiavone è stato sciolto, a Latina ancora si raccolgono testimonianze. È la polizia, che chiede di parlare ai cittadini dei borghi Montello e Bainsizza, quegli stessi che tra il 1992 ed il 1995 - costituiti in comitato - protestavano contro gli interramenti di rifiuti d'ogni genere nel sito di Borgo Montello, da sempre sotto accusa per l'inquinamento prodotto in tutta la zona. Nella settimana appena passata diversi membri del «Comitato di tutela ambientale dei borghi» - così si chiama il gruppo di cittadini - sarebbero stati convocati. Si scaverebbe ancora, quindi, sulle centinaia di presunti fusti tossici, non trovati finora neanche durante gli scavi che, pagati dalla Regione Lazio con 850mila euro, nell'estate del 2012 sono stati terminati nella discarica di Borgo Montello. I lavori avrebbero dovuto chiarire cosa fossero quelle «masse metalliche» evidenziate in uno studio dell'Enea del 1996 sotterrate proprio in discarica. Per la prima volta, Schiavone ha parlato anche di Borgo San Michele. Anche lì ci sarebbero dei rifiuti tossici? Di certo, a sentire la gente, c'è solo lo sgomento, nonostante il fatto che anche lì qualcuno avrebbe visto scaricare camion di notte, in cantieri aperti e in campi recintati. A Borgo Montello invece da sempre sanno che in discarica c'era «movimento». È del 1993 un esposto congiunto delle due circoscrizioni Montello-Bainsizza rivolto alle istituzioni per chiedere chiarezza sulle inquietanti notizie di stampa dell'epoca sulla presunta presenza di rifiuti tossici in discarica. Già da anni chi abita davanti alla discarica, nota il via vai notturno di camion con targhe toscane e campane che si dirigono all'ingresso per andare a scaricare. «Avevo i figli piccoli, spesso ero sveglia di notte» - racconta Carla Piovesan, 54 anni, che da quando è nata abita in via Monfalcone, dove c'è la sua casa, un ex podere Onc di coloni veneti. «Era il 1988. Vedevo quei camion, alle due-tre di notte, così come me tutti i miei vicini di casa. Non ne possiamo più di piangere i nostri morti di tumore, degli odori nauseabondi: solo 150 metri ci separano dagli invasi. Le nostre case, le nostre terre e i loro prodotti valgono zero». Il caso approderà a Bruxelles: lunedì, con di altre aree vicine alle discariche del Lazio, la signora Piovesan parlerà della questione ad un tavolo di confronto. Paolo Bortoletto, il portavoce del Comitato dei borghi, invece, attacca: "Sono anni che lottiamo contro la discarica, contro chi sfrutta il nostro territorio a discapito della salute e dell'ambiente per i propri affari. Abbiamo portato avanti ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato. Ci siamo fermati solo quando hanno ammazzato don Cesare Boschin. La gente ha avuto paura". Don Boschin era il parroco di Borgo Montello. Quando è stato ucciso - il 30 marzo del 1995 - era a casa sua, era malato ed appena riusciva a muoversi, tanto che negli ultimi tempi gli era stato affiancato un altro sacerdote, visto che non riusciva più celebrare. Fu trovato dalla perpetua, Franca Rosato, con la bocca tappata da nastro adesivo, mani e piedi legati. Si disse di tutto sull'omicidio. Secondo la gente del posto però don Cesare è morto per la causa che sosteneva insieme alla sua comunità: lottava contro la discarica e gli sversamenti illeciti. Lo faceva incoraggiando la protesta, che tra il '92 ed il '95 era al suo culmine, concedendo puntualmente gli spazi della parrocchia alle riunioni del comitato. Sembra poi che, in quei giorni, avrebbe dovuto incontrare un influente politico.
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