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giovedì 28 novembre 2013
dopo la giusta cacciata di Berlusconi dal parlamento avanti i prossimi
di Marco Travaglio il fatto quotidiano 28 novembre 2013
Diciamo la verità fino in fondo. Se ieri, per la
prima volta nella sua storia, il Parlamento
italiano ha espulso un pregiudicato solo ed
esclusivamente perché è pregiudicato (e non per
effetto dell’interdizione dai pubblici uffici), il
merito non è del Parlamento italiano. Ma di una
serie di soggetti che stanno fuori. Anzitutto un
pugno di giornalisti, alcuni dei quali scrivono su
questo giornale, che denunciano da anni sullo
scandalo degli onorevoli condannati. E poi di
Beppe Grillo, che raccolse quella battaglia sul
suo blog con la campagna “Parlamento Pulito”,
arrivando nel 2005 ad acquistare una pagina dell’Herald
Tribune (la stampa italiana naturalmente
si tirò indietro) per pubblicare la lista delle “quote
marron”, e a raccogliere al V-Day del 2007
centinaia di migliaia di firme per una legge di
iniziativa popolare che naturalmente fu insabbiata
in Parlamento. Senza quel martellamento,
che impose il tema nell’opinione pubblica, e senza
la paura del trionfo dei 5 Stelle, la legge Severino
non sarebbe stata approvata, né presentata,
né forse pensata. Poi naturalmente il merito
è di alcuni magistrati di Milano: il tanto bistrattato
(non a caso) pm Fabio De Pasquale e dei
collegi di tribunale e d’appello presieduti da
Edoardo d’Avossa e Alessandra Galli, che hanno
condotto le indagini e i dibattimenti sul caso
Mediaset con fermezza e correttezza, senza raccogliere
le infinite provocazioni fabbricate a getto
continuo dall’imputato e dai suoi onorevoli
avvocati. Sostenuti da sparuti settori della società
civile, hanno ignorato gli alti moniti che li
invitavano a non disturbare la pacificazione e le
larghe intese, insomma a prendersela comoda e
a lasciar prescrivere anche quel processo, come
altri sette a carico del Caimano: l’ultimo, il processo
Mills, cadde scandalosamente in prescrizione
10 giorni prima della sentenza di primo
grado, e forse un giorno le stranezze che ne hanno
costellato l’ultima fase troveranno una spiegazione
e una sanzione per i responsabili.
Ma il merito più grande l’ha Antonio Esposito,
fortunatamente capitato per normale turnazione
a presiedere la sezione feriale della Cassazione
nel luglio di quest’anno. Avrebbe potuto
fingere di non vedere che, nel riquadro in alto a
destra del fascicolo Mediaset, la Procura generale
della Corte d’appello aveva segnato le date di
prescrizione delle due frodi fiscali scampate alla
falcidie del fattore tempo e alle leggi vergogna: 1°
agosto 2013 per quelle del 2002, 1° agosto 2014
per quelle del 2003. Se si fosse voltato dall’altra
parte, il processo avrebbe seguito i tempi normali:
sarebbe stato assegnato alla III sezione della
Cassazione, che aveva già confermato i proscioglimenti
di Berlusconi nei processi milanese
e romano per il caso gemello di Mediatrade
(stessa prassi di gonfiare i costi dei film acquistati
negli Usa, ma in anni successivi e con altre
società-schermo rispetto al caso Mediaset). Oppure,
come si vociferava nei palazzi, alle Sezioni
Unite, con tempi più lunghi rispetto a quelli normali.
Col risultato che il reato del 2002 si sarebbe
nel frattempo prescritto e la Suprema Corte
avrebbe dovuto annullare la sentenza e disporre
un nuovo passaggio in appello per rideterminare
la pena: facendo perdere altro tempo, prescrivere
anche l’ultima frode del 2003 e riposare
in pace il processo. Invece Esposito trattò quel
processo e quell’imputato come un processo e
un imputato normali: e assegnò il caso Mediaset
alla sezione feriale per scongiurare, com’era suo
dovere, la mezza prescrizione. Fu così che, ben
prima del dibattito grazia sì-grazia no, il salvacondotto
atteso dal Caimano sfumò
Per questo (e non certo per l’intervista manipolata)
Esposito è così detestato da quella proiezione ortogonale
di tutti i poteri, politici e togati, che è diventato il Csm:
perché, obbedendo soltanto alla legge senza guardare in faccia
nessuno, ha fatto saltare il patto non scritto su cui si
reggevano le larghe intese. Che infatti, da ieri, sono naufragate,
anche se i loro artefici, da Napolitano a Letta jr., dal
Pd agli alfanidi, fanno finta di nulla. Berlusconi non finisce
certo con la sua cacciata dal Senato, e nemmeno con la sua
penosa decadenza anche psicofisica esibita ieri in piazza,
travestito da Juliette Gréco. Finirà soltanto quando i milioni
di italiani che continuano a credere e a sperare in lui capiranno
che non conviene. E quando tutti i berluscloni di
destra, di centro, e di sinistra che infestano le istituzioni
avranno seguito le sue orme. Possibilmente a un ritmo un
po’ più celere di uno ogni vent’anni. Anzi, se il Cavaliere
vuotasse finalmente il sacco su chi l’ha tenuto artificialmente
in vita (politica) per vent’anni, si renderebbe persino utile.
Ormai ha un senso solo come collaboratore di giustizia.
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