domenica 3 novembre 2013

«Don Cesare Boschin temeva di morire»

Ma a quasi 15 anni da quella tragica mattina del 30 marzo 1995 nessuno vuole dimenticare e sono in tanti a voler far luce su quella morte. A modo loro, in punta di piedi, i borghigiani, i parrocchiani e soprattutto gli allora membri del comitato che si batteva contro le illegalità nella gestione della discarica di rifiuti di Borgo Montello, non hanno smesso di cercare la verità. «Perchè ci è rimasta dentro una grande amarezza anche per le tante cose brutte e non vere che sono state dette nei confronti di don Cesare, una persona perbene», dice Benito Angotti, ex ufficiale di polizia che abita a due passi dalla canonica dove fu trovato il corpo del parroco e tra i primi ad intervenire sul luogo del delitto. I ricordi sono ancora nitidi, scolpiti nella mente: «Da una settimana don Cesare era strano e la sera mi salutava dicendo "speriamo di vederci domani", come se qualcuno volesse fargli del male. E anche io non mi sentivo più a mio agio», racconta Franca Rosato, 65 anni, che da dieci anni era la perpetua di don Cesare e la mattina del 30 marzo scoprì il cadavere. «Trovai il portone semiaperto, poi i cassetti per aria nella stanza e infine quei pantaloni a terra. Ho chiamato don Cesare ma lui era sul letto, morto. No, non può essere stata una rapina, il portafogli con settecentomila lire era ancora lì e fu io stessa, quattro mesi dopo, quando la stanza fu dissequestrata dai carabinieri, a trovare in un cassetto una busta con sette milioni di lire». Don Cesare Boschin, 81 anni, veneto, da 45 anni parroco della chiesa di S. Annunziata a Borgo Montello, fu trovato cadavere con mani e bocca legati da nastro adesivo. La morte avvenne per soffocamento, il pugno sferrato dall'assassino al prete gli aveva fatto ingoiare la dentiera. In casa non mancavano soldi ma le due agende incui il parroco annotava tutto. Le indagini partirono subito male, con tanta gente, oltre agli inquirenti, sul luogo del delitto ed eventuali tracce involontariamente cancellate. Don Cesare era più di un prete, per il borgo, era quello che procuarava posti di lavoro ai giovani, pronto a dare aiuto economico a chi ne avesse bisogno, ma anche colui a cui era sufficiente alzare il telefono per palrare con ministri e notabili della politica romana. Ma su una cosa più di tutte quel prete era inflessibilie: non voleva che attorno alla discarica ci fossero traffici loschi. L'ipotesi che allora molti borghigiani avevano avanzato e da sempre rilanciata dal comitato per la tutela ambientale del borgo, è che la criminalità organizzata abbia voluto far tacere quel prete scomodo, mandando un segnale al borgo. L'intreccio tra la morte di don Cesare e il traffico di rifiuti è stata avanzata anche da Legambiente, in un dossier del 2005 inviato alla Procura, e nei giorni scorsi da don Ctotti, dell'associazione «Libera». Il tutto ruoterebbe intorno ai fusti tossici interrati a Montello sul cui esatto contenuto si sta cercando di far luce proprio in questi mesi. Quei fusti sarebbero stati solo parte di un carico di sostanze tossiche della «Zenobia», la nave dei veleni che nei mesi precedenti l'assassinio di don Cesare aveva occupato le cronache nazionali. Secondo una ricostruzione effettuata dalla questura di Latina, che sul caso aveva inutilmente indagato dopo le rivelazioni fatte da un operaio della discarica che era stato licenziato, parte di quel carico era stato smaltito dalla criminalità nella discarica di Borgo Montello. Per trasportare e scaricare i fusti sarebbero stati impiegati disoccupati della zona, le cui tasche si erano improvvisamente riempite. Don Cesare sarebbe venuto a conoscenza della vicenda e avrebbe fatto alcune telefonate a Roma per cercare di mettere fine a quel traffico. Un intromissione non gradita che il prete avrebbe pagato con la vita. Forse più di una ipotesi.

1 commento: