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sabato 30 novembre 2013
Dal circolo dei sindacati agli sms su Alitalia: ecco la rete dei Riva INTORNO all'Ilva
Dai sindacati che gestiscono
500 mila euro l’anno per il
dopolavoro alle conversazioni
su Alitalia, passando per la Fininvest
di Berlusconi all’Arpa
della Regione Puglia, tutto, in
questi 30 faldoni d’indagine sull’Ilva
sembra mostrare un solo scenario: la famiglia
Riva si muove ovunque come se fosse la padrona
di casa. Dagli atti si scopre che intende occuparsi
anche dell’Expo di Milano 2015. Ma soprattutto
ciascuno “fa la sua parte” in questa rappresentazione
del potere. Anche Nichi Vendola –
indagato per concussione – che secondo l’accusa
mette nel mirino il responsabile dell’Arpa Giorgio
Assennato .
Assennato – scrivono gli inquirenti – è vittima di
“costanti pressioni psicologiche” a opera dei vertici
politici regionali e, secondo l’accusa, finisce
per trovarsi “prostrato”. Ma non deve risultare
“vittima”, dicono i dirigenti Ilva al telefono, perché
è lo stesso Vendola a richiederlo: “Non dobbiamo
renderlo vittima – dice Girolamo Archinà
all’avvocato (…) Perli – perché mi spiegava Vendola…
che guai a noi se gli diamo l’occasione di
diventare vittima, nel senso che poi è costretto a
difenderlo… Io andai da Vendola … facemmo
una riunione improvvisa nell’ufficio di Manna…
lì si decise il da farsi nei confronti di Assennato”.
“Bisogna dargli una mano a Vendola perché se no
ti saluto eh!!!”. Fabio Riva non ha dubbi. All’av -
vocato Franco Perli ribadisce la necessità di aiutare
il Governatore. La strategia: intervenire su
Luigi Pelaggi, segretario della commissione Aia e
uomo forte dell’allora ministro Stefania Prestigiacomo
, per discutere del campionamento in
continuo della diossina. Per i finanzieri è la prova
della “perfetta unità d’intenti esistente sull’asse
Vendola-Ilva, che portava i vertici della grande
industria a spendersi anche in sede ministeriale,
affinché non venissero intrapresi percorsi che potessero
nuocere al Presidente Vendola”.
Vendola, secondo quanto scrive Archinà in una
mail inviata a Riva, “ha anche pubblicamente dichiarato
che il ‘modello Ilva’ deve essere esportato
in tutta la Regione”. Per gli inquirenti il riferimento
è alla “legge sulla diossina” approvata
dalla giunta Vendola nel 2008 e che per l’accusa è
il “frutto della concertazione tra la Regione e l’Ilva
che ha sempre osteggiato il cosiddetto ‘campio -
namento in continuo’” riuscendo ad escluderlo
dalla norma regionale.
Per contrastare un servizio de Le Iene, secondo
l’Ilva le strade sono due: “l'utilizzo di una serie di
relazione ad altissimo livello con il Gruppo Fininvest”
oppure “mandare la diffida dell'avvocato”.
“Saluta tutti silvio e forza alitalia” si legge in un
sms ricevuto da Fabio Riva nel 2010: sono passati
due anni dall’acquisto nel 2008 di Alitalia, con il
quale gli industriali lombardi partecipano al “sal -
vataggio” lanciato da Berlusconi, mettendo sul
piatto 120 milioni. Due anni dopo, Fabio Riva ne
parla al telefono con il cugino, di ritorno da una
riunione in cui dice di aver incontrato uno dei
vertici di Alitalia, proprio nell’ufficio “del Colaninno”.
Angelo spiega che l’incontro è andato
“bene” e quando Fabio ribatte che sul giornale c’è
scritto che “l’Alitalia è un disastro”, il cugino dice
la sua: ”No, ma quello lì è un figlio di puttana
quello lì… è rimasto a tre mesi fa…lui ha detto
che se deve chiedere l’aumento di capitale ai soci
si dimette prima… perché vuol dire che ha fallito…”.
“Ma adesso sta guadagnando?” chiede
Fabio Riva. “Secondo trimestre … ce l’abbiamo
nel culo… ma a giugno stiam facendo faville….”.
E ancora: “Lui – il riferimento sembra a Colaninno,
ndr) dice “tra quello che devo mettere come
garanzia per la manutenzione degli aerei che
prendo in leasing al “toto” e il canone che li pago…
con quel gruzzoletto lì di soldi vado da
una…. Da uno che mi finanzia e gli dico guarda io
metto il 25 tu mi finanzi il 75 dell’aereo e pago le
rate tipo leasing e a fine rate io son proprietario
dell’aereo… Allo stesso costo lui dice no? Così
c’ho un patrimonio. Comunque c’abbiamo 90 aerei
di proprietà… “.
“Senti, io stamattina ho visto
per altri motivi il nostro amico
Corrado”. È il 9 giugno 2010
quando Ivo Allegrini del Cnr
spiega ad Archinà di aver avuto
un colloquio – secondo i finanzieri
- con Corrado Clini, poi divenuto il ministro
dell’ambiente che ha concesso l’Aia riesaminata
confluita nel primo decreto salva Ilva.
Milioni di euro destinati al dopolavoro Ilva di Taranto,
finiti in alcuni casi nelle tasche di un boss
della mala. L’affare “Vaccarella” - masseria dove
ha sede il dopolavoro - per Fim, Fiom e Uilm vale
oltre 8 milioni di euro, sborsati dai Riva per acquistare
la struttura e gestire, per il tramite dei
sindacati, le borse di studio, le colonie a favore dei
figli degli operai e tutte le attività previste dalle
cosiddette “provvidenze”. “Elargizioni” che, come
spiega il segretario della Fiom Rosario Rappa
ai finanzieri, vengono gestite con la massima “di -
screzionalità” dai sindacati. Nel 2007 l’Agenzia
delle entrate apre un contenzioso di 139 mila euro:
la fondazione nei fatti è un ente economico
commerciale. Nel 2009 vengono sospese le retribuzioni
che alcuni sindacalisti percepivano dalla
fondazione e chiude il circolo nautico trasformato
in rimessaggio barche “degli amici”. Dalle carte
emergono 131 mila che la fondazione versa a Peppe
Florio, mafioso tarantino, per annullare il contratto
con il quale Florio gestisce, per soli 500 mila
lire al mese, un ristorante e una foresteria all’in -
terno della masseria.
a. mass. il fatto quotidiano 30 novembre 2013
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