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martedì 22 ottobre 2013
Trieste così alla ferriera gettano catrame nei terreni, prassi quotidiana nell'impianto siderurgico
TRIESTE, “COSÌ ALLA FERRIERA
GETTANO CATRAME NEI TERRENI”
LA DENUNCIA DEGLI OPERAI: “PRASSI QUOTIDIANA NELL’IMPIANTO SIDERURGICO”
SUL SITO DEL FATTO
Un video esclusivo
riprende
lo sversamento di
materiale inquinante nei
depositi a cielo aperto
dello stabilimento
e Stefano Tieri
Una sostanza densa
e di colore scuro,
versata a terra da
un addetto dell’impianto
siderurgico di Trieste,
la Ferriera. A parlare è un
video che ilfatto quotidiano. it
pubblica in esclusiva, e sul quale
gli operai non hanno dubbi:
“Quello è il catrame che esce
dagli impianti. Sanno che non
andrebbe fatto e fanno anche
di peggio, da anni”. Immagini
che mettono in allarme l’Agenzia
regionale per la protezione
dell’ambiente, che decide di informare
la Procura di Trieste.
Procedure delle quali la stessa
proprietà si dichiara all’oscuro.
Il sospetto di sversamenti illeciti
di materiale inquinante
ricade su una fabbrica sotto accusa
da anni, per l’impatto ambientale
e i livelli delle sue
emissioni.
CHI ABITA a Servola, il rione
popolare che ospita lo stabilimento,
non sente più ragioni:
“Chiudetelo”. Si tratta di immagini
realizzate con un telefonino,
girate da un addetto
della Ferriera di Trieste nel pieno
delle mansioni assegnategli.
L’ordine è quello di trasportare
con il carrello elevatore una
grande vasca rettangolare e di
rovesciarla nel deposito di carbon
fossile dell’impianto. La
sostanza che fuoriesce è viscosa,
scura, a tratti fangosa. I video
consegnati a noi del Fatto
sono stati girati a maggio di
quest’anno, ma secondo alcuni
dipendenti si tratterebbe di
“operazioni quotidiane”. Non
c'è infatti alcuno stupore nei
commenti dei lavoratori che
hanno accettato di visionare i
filmati: “Quella che si vede è la
baia del catrame”, spiega riferendosi
all’enorme vasca un
operaio con oltre vent’anni di
servizio. “Poi arriva una pala
meccanica che butta il catrame
direttamente sui cumuli di carbon
fossile. Non andrebbe mai
fatto, lo sanno”. Accuse pesanti,
confermate a più voci. “Lo
smaltimento a cielo aperto nel
parco fossile non è la sola cosa
che fanno”, racconta un altro
dipendente, che rilancia: “Me -
talli pesanti, fanghi, oli vengono
bruciati, buttati in terra o in
mare”. Secondo le testimonianze
raccolte ne sarebbero
consapevoli gli stessi addetti.
“Ma si eseguono ordini per non
rischiare il posto di lavoro”, aggiunge
chi, come i suoi colleghi,
ha preteso la garanzia dell’anonimato.
“Perché qui si rischia
la vita”, conclude, “den -
tro ma anche fuori dalla fabbrica.
Se parli è così”. L’impianto
che attraverso la distillazione
del carbon fossile produce il coke,
il combustibile utilizzato
nella fabbricazione della ghisa,
si chiama cokeria. A sentire gli
operai, è da quei forni che verrebbe
il residuo oleoso che appare
nei video. Con il rischio di
farvi ritorno una volta buttato
sui cumuli del fossile. Un circolo
vizioso che non risulta
nemmeno tra i documenti dell’azienda.
L’Aia, l'autorizzazione
ambientale concessa dalla
Regione, prevede relazioni trimestrali
sui sottoprodotti della
cokeria: gas e catrame. In quella
del giungo 2013, così come nelle
precedenti, la Lucchini S.p.a.
dichiara che il catrame può essere
venduto a terzi o “essere
diretto a un serbatoio in zona
altoforno per la produzione
della ghisa”. É l’azienda stessa a
escludere il versamento di materiale
liquido nei depositi del
carbone. “Il fossile è polvere”,
dichiara un portavoce della
Lucchini, “se lei ci va a mettere
roba bagnata danneggia una
cosa pagata perché sia asciutta”.
Chiarissimo. Ma allora cos’è
la sostanza che vediamo nelle
immagini? Non lo sanno
nemmeno all’Arpa, l'agenzia
regionale per la protezione dell'ambiente
che in base ai parametri
dell’Aia verifica procedure
e condizioni degli impianti.
Si tratti o meno di catrame,
simili procedure a loro non risultano.
E di fronte ad alcune
immagini, il direttore del dipartimento
Arpa di Trieste,
Italo Pellegrini, non ha esitazioni:
“Devo informare la Procura,
sono sversamenti che potrebbero
dar luogo alla contaminazione
del terreno”. I sospetti
del funzionario pesano
su uno stabilimento che anche
quest’anno ha sforato i limiti
imposti dalla legge sulla concentrazione
nell'aria di benzo(
a)pirene, un idrocarburo
aromatico policiclico altamente
cancerogeno per l’uomo. Le
rilevazioni sono quelle dalla
centralina che l’Arpa ha posto
in via San Lorenzo in Selva a
Servola, il quartiere che si affaccia
sulla Ferriera.
VALORI ALLARMANTI, che
reggono il confronto con quelli
riportati dalle centraline nei
pressi dell’Ilva di Taranto. Anzi,
negli ultimi anni la triste sfida
con il quartiere Tamburi l’ha
sempre vinta Servola. Dati coerenti
con la condizione degli
impianti riscontrata dai consulenti
tecnici della Procura di
Trieste. Nella relazione seguita
ai recenti sopralluoghi, il professor
Marco Boscolo, nominato
d’ufficio dal sostituto procuratore
Federico Frezza, parla di
situazione degli impianti “ab -
bastanza compromessa”, e di
“indubbie ripercussioni negative
sotto il profilo emissivo”.A
mancare, lo confermano alcuni
operai, sarebbe la manutenzione.
Il rapporto di Boscolo tratta
anche della cokeria, principale
indiziata nelle emissioni di
benzo(a)pirene, benzene e naftalene,
descrivendo sistemi di
tenuta danneggiati e dispositivi
per la pulizia fuori servizio.
“Del resto, già nel 2009”, raccontano
quelli dell'associazione
NoSmog a Servola, “in un
processo dove la stessa Lucchini
era imputata a causa delle
emissioni, il pubblico ministero
spiegò che “tutto il possibile
e tutto l’esigibile” era stato fatto
per recuperare gli impianti”.
Ettore Bellanti, uno dei promotori
dell’associazione, commenta
amaro: “Se questi sono i
risultati, qualunque promessa
facciano oggi Regione e Comune
sarà vana. Ci sono case a meno
di duecento metri dalla cokeria,
la gente si ammala. Devono
chiudere.” Il fatto quotidiano 21 ottobre 2013
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