Pontinia (LT) dall'ambiente, alla difesa dei diritti civili e sociali, dalla politica alla tecnica. Si riportano stralciriportandone autori. Nota: qualora si ritenga la pubblicazione (o i commenti) siano lesivi o notizie superate si prega di comunicarlo con mail giorgio.libralato@gmail.com e saranno rimossi. Oppure allo stesso modo si può esercitare il diritto di replica. Qualora si ritenga che una pubblicazione o parte di essa ledano i diritti di copyright o di autore saranno rimossi
martedì 2 luglio 2013
Olga la nave dei veleni affondata al largo di Calabria
Bacci Pagano indaga
Sono Ivan e porto veleni
Ma è meglio non saperlo
Dopo l’ultimo carico
la Olga prenderà il
largo, una lancia raccoglierà
l’equipaggio e la nave sarà
minata e affondata al largo
di Calabria”. Portò le mani
al viso che si andava
bagnando di lacrime.
“La mia Olga, capisci?”
di Bruno Morchio Il fatto quotidiano 1 luglio 2013
Conobbi Ivan Gavrilovic in via San Donato,
mentre usciva da un locale dove
servivano specialità dell’Europa
Orientale. Era pieno di vodka da non
reggersi in piedi. Piangeva come un bambino e
con i pugni chiusi si batteva le tempie bestemmiando
in russo. Lo guardavano tutti, anche
perché indossava un’austera uniforme di comandante
di vascello. Aveva dimenticato il berretto
nel locale e in un italiano piuttosto corretto
mi pregò di recuperarlo, cosa che feci salendo di
corsa la rampa di scale. Quando glielo porsi mi
ringraziò e mi afferrò per le braccia supplicando:
«Amico, portami alla polizia!»
«Alla polizia?» domandai. «L’hanno derubata?»
«Sì!» rispose in tono melodrammatico. «Della
mia Olga!»
Provai a calmarlo e a capire chi fosse questa donna.
Strofinandosi i piccoli occhi gonfi, cominciò
a sciorinarmi la sua storia. Compresi subito che
le sue non erano pene d’amore.
Esisteva ancora l’Unione Sovietica quando assunse
il comando di un cargo di Rostov sul Don,
la Olga, che trasportava container dal Mar Nero
ai maggiori porti del Mediterraneo e viceversa.
Dopo la caduta dell’impero la nave era stata acquistata
da un milionario che Ivan continuava a
chiamare “Diavol” e aveva cominciato a trasferire
da Nord a Sud grandi fusti sigillati sui quali
era stampato il disegno di un teschio. Rifiuti tossici
altamente pericolosi e scorie radioattive. Venivano
prelevate nei porti europei e sbarcati negli
scali africani di Tangeri, Orano, Alessandria.
«Io preferivo container di merce pulita», disse
riattaccando a piangere. «Ma quella spazzatura
faceva guadagnare bene e non ho potuto dire di
no».
Pensai a Diavol come a un oligarca diventato
straricco con il traffico dei rifiuti pericolosi
e mi chiesi perché volesse privare
il povero Ivan della sua nave. Lo domandai
a lui e la risposta fu agghiacciante: «Nei
porti di Trieste e Genova ho caricato materiale
da smaltire per conto di industrie
francesi, tedesche e olandesi. Mi aspettano
a Gioia Tauro per un grande carico di rifiuti
raccolti in Italia che riempirà le stive.
Ho chiesto quale sarà nostra destinazione
e nessuno sapeva. Ma a Genova si è imbarcato
il braccio destro di Diavol e mi ha
detto che non c’è nessuna destinazione».
«Che significa?»
«Che dopo l’ultimo carico la Olga prenderà il
largo, una lancia raccoglierà l’equipaggio e la nave
sarà minata e affondata al largo di Calabria».
Portò le mani al viso che si andava bagnando di
lacrime. «La mia Olga, capisci?»
Qualcosa mi di disse che non mentiva, che Ivan e
il suo equipaggio erano condannati a colare a
picco con la Olga e che, anche se sono solo uno
scalcinato investigatore privato, dovevo fare subito
qualcosa.
«Ti prego tovariš», supplicò. «Portami a polizia!
»
«D’accordo», acconsentii. «Ma in un caso come
questo prima che alla polizia bisogna andare da
un’altra parte.»
«Dove?»
«A un giornale.»
Chiamai un amico cronista che lavorava alla redazione
genovese di un grande quotidiano nazionale
e gli raccontai tutto. Mi disse di raggiungerlo
al giornale con il russo, mentre lui avrebbe
informato la direzione di Roma.
L’intervista durò un paio d’ore e il mio amico
domandò una decina di volte dove finissero i fusti
depositati nei porti africani, ma il povero Ivan
Gavrilovic non aveva elementi per rispondere a
questa imbarazzante domanda, tanto che lui ironizzò:
«Insomma, lei ha fatto lo struzzo».
Ivan si offese e replicò risentito: «Ognuno ha suo
mestiere: tu giornalista, io capitano. Tu cosa facevi
al mio posto?»
Terminata l’intervista raggiungemmo a piedi la
questura, dove mi aspettava il vicequestore Salvatore
Pertusiello, commissario capo della sezione
omicidi. Un idealista di centotrentacinque
chili che ha a cuore la Giustizia tanto quanto i
piaceri della buona tavola.
Sentita la storia, il commissario si rivolse al russo
e domandò: «Ora dove sta questa nave?»
«In porto, a Ponte Somalia».
«Non è competenza mia, guaglio’», concluse.
«Ma a te ti blindo e farò il possibile per far sequestrare
la tua Olga.»
Informò il Questore e inviò via fax alla Procura
della Repubblica la deposizione rilasciata dal comandante,
quindi telefonò alla dottoressa Crovetto,
il magistrato che ci aveva aiutato in una
recente indagine dove c’era di mezzo un’altra
nave, carica di armi. La dottoressa gli assicurò
che avrebbe parlato con il Procuratore capo per
verificare la concreta possibilità di bloccare la
Olga nel porto di Genova.
Ivan appariva più sereno. Il suo aspetto rubicondo
si era colorito di un sorriso pieno di gratitudine.
Si era fatta sera e decidemmo di andare a
mangiare in una trattoria della città vecchia, dietro
il mercato del Carmine.
Stavamo per attaccare uno squisito brandacujun,
baccalà lesso e sminuzzato servito su un letto
di patate con olio, sapori e olive taggiasche,
quando il telefono di Pertusiello cominciò a trillare.
Era il Questore che lo informava che era
atteso d’urgenza dall’avvocato Alfredi.
«Mo comincia la sfilata delle sette bellezze»,
commentò lapidario il commissario.
Alfredi era un azzimato e accreditato principe
del foro di Genova, celebre per la sua folta chioma
canuta e per le dimensioni del suo naso. Pertusiello
ci lasciò a malincuore e si avviò. Quando
lo raggiungemmo in questura ci disse di sistemarci
in un ufficio defilato, in modo che nessuno
ci vedesse.
«Chi è che non deve vederci?» domandai.
«Quelli della sfilata», rispose.
«Che voleva l’avvocato
Alfredi?»
«Ha ricevuto la procura
dell’armatore, un tal Aleksej
Lubonov…»
«È lui, Diavol!» lo interruppe
Ivan Gavrilovic.
«Dice che se domattina la
nave non salperà l’arma -
tore si riserva di licenziare
il comandante e di nominare
il secondo.»
Il faccione di Ivan, che
aveva appena scolato un
litro e mezzo di bianchetta
della casa e un bicchierino
di vodka, da rubizzo si fece
terreo e gli occhi diventarono
ancora più piccoli.
«Il mio secondo non accetterà
mai! Lui è legato a
suo comandante!»
Pertusiello inforcò gli occhialini
e lesse un bigliettino
che stringeva nelle
mani: «Si chiama…»
«…Iliuscin, si chiama. Petr
Iliuscin!»
«Qui sta scritto un altro
nome: Michail Ko…Kod -
zinskij», farfugliò il commissario.
«No!» replicò Ivan indignato. «Quello è il braccio
destro di Diavol! Lui non è uomo di mare!»
«C’era da aspettarselo», commentò Pertusiello.
«Dimmi una cosa, Totò», domandai. «Come faceva
Alfredi a sapere che Ivan era qui in questura?
»
«La Crovetto si è mossa come un fulmine di
guerra e ha mandato due carabinieri sulla Olga
con l’ingiunzione di non salpare fino all’auto -
rizzazione della magistratura.» Quindi aggiunse:
«Ora fatemi andare, fuori ci sono altri due che
aspettano» e uscì richiudendo la porta. Tornò
dopo circa un’ora con la faccia scura.
«Uno era un funzionario dell’ambasciata russa.
Voleva parlare con il Questore, ma era già uscito
e si è dovuto accontentare. Dice che è tutto in
regola e che la nave deve partire.»
«E l’altro?» domandai.
«Prova a indovinare.»
«Il segretario di Putin?»
Scosse il suo testone e scoppiò in una risata tanto
fragorosa quanto amara. «Un dirigente delle
pubbliche relazioni di un’industria tedesca. La
sua merda sta sulla Olga e sembra molto preoccupato
che gliela rispediamo indietro.»
«Oppure che andiamo a controllare di che merda
si tratti», aggiunsi.
Annuì e si accese una sigaretta. «È pure arrivata
una simpatica telefonata di un sottosegretario
del Ministero degli Esteri. “A titolo informativo”
ha detto…»
«Cercava Ivan Gavrilovic?»
«E chi se no?» replicò lui.
«Magari la nipote di Mubarak…»
Scoppiò in una seconda risata, ancora più rutilante
della prima, mentre il povero comandante
ci osservava senza capire e il suo volto oscillava
tra la speranza e la disperazione.
«Mo vado che c’è uno di là», disse schiacciando la
sigaretta nel posacenere. «E, mannaggia a voi
due, altri due devono arrivare.»
Ritorno dopo un quarto d’ora, sempre più incazzato.
«Chi era?» domandò Ivan con l’aria intimidita.
«Un emissario della ‘ndrangheta, quelli che chiamano
stakeholder.»
«E che voleva?»
Impennò il dito indice facendolo ruotare nell’aria
e alzò la voce. «Lui rappresenta gli interessi
degli imprenditori italiani che “legittimamente”
aspettano la nave a Gioia Tauro. Fottuti criminali
in doppiopetto!»
«Aspetta, Totò. Magari loro non immaginano…
»
«Cooosa? Sai come si chiama la ditta che raccoglie
questi veleni? Porta il nome della più nota
cosca calabrese. E vuoi sapere il prezzo che fanno
rispetto a quelli della concorrenza pulita? Un
terzo. Secondo te questi imprenditori del cazzo
non si sono fatti qualche domanda su dove va a
finire la loro merda?»
Uscì sbattendo la porta, per incontrare gli ultimi
due scocciatori della serata. Tornò quasi rinfrancato.
«Occhiali scuriti e facce da culo», commentò.
«Sarebbe a dire?»
«Agenti dei servizi.»
«Che volevano?»
«Che possono volere? Informazioni.»
Squillò il telefono. Era la dottoressa Crovetto.
Parlarono a lungo, mentre sul volto del povero
Ivan Gavrilovic continuavano ad alternarsi
preoccupazione e fiducia.
Parlarono per un quarto d’ora e alla fine
Pertusiello spiegò che c’era stato un intervento
del Ministero degli Esteri, d’intesa
con quello della Difesa. Avrebbero fatto
scortare la nave dal porto di Gioia Tauro
fino a un porto di destinazione, quale che
fosse, per controllare che non venissero
compiuti reati contro l’ambiente e la salute
pubblica. L’armatore aveva acconsentito.
Il Ministero aveva fatto pressione sul
giornale perché l’intervista non venisse
pubblicata, per non diffondere inutili allarmi
nell’opinione pubblica. Anche il direttore
del giornale aveva acconsentito.
Ivan esultò e ci abbracciò. Pertusiello sembrava
meno entusiasta di lui e anch’io, nel lasciarlo al
taxi che lo avrebbe riportato alla sua Olga, fui
preso da un desolante sconforto.
La Olga non arrivò mai a Gioia Tauro. Di lei e
dell’equipaggio si sono perse le tracce. L’ipotesi
ufficiale è che sia stata dirottata dall’armatore in
un porto africano, ma le autorità russe non hanno
rilasciato dichiarazioni. La sorella del comandante,
Irina Gavrilova, abitante a Rostov sul
Don, rintracciata da un funzionario della omicidi
ha affermato di non avere più avuto notizie
del fratello. Dal mio incontro con Ivan Gavrilovic
in via San Donato sono ormai trascorsi due
anni.
IL RACCONTO
SCRITTORE E PSICOLOGO
Nato a Genova nel 1954, è scrittore e psicologo.
Nel 1999 esce il suo primo libro,
“M a cc a i a ”. Nel 2000 nasce la Fratelli
Frilli Editori, piccola casa editrice genovese
interessata a pubblicare romanzi gialli
e noir ambientati in Liguria; Morchio presenta
la stesura dei primi tre capitoli di “Bacci Pagano”. Il successo ottenuto
permette finalmente la pubblicazione, da
parte della Fratelli Frilli, dei romanzi scritti
precedentemente e, negli anni successivi,
di altri due volumi “Con la morte non
si tratta”e“Le cose che non ti ho detto”
questa volta con Garzanti. Il suo ultimo
lavoro è “Il profumo delle bugie”.
Nessun commento:
Posta un commento