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martedì 5 marzo 2013
Ad Arcore “sistema prostitutivo collaudato e con minorenni”
di Gianni Barbacetto
L’ultimo testimone del processo
Ruby, il magistrato dei minori
Anna Maria Fiorillo, assesta un colpo
da ko alla difesa di Silvio Berlusconi,
accusato di concussione: “Non ho mai
cambiato le mie disposizioni, la ragazza
non doveva essere rilasciata dalla
questura”. Fu invece liberata e affidata
a Nicole Minetti, dopo le pressioni dell’allora
presidente del Consiglio, le sue
ripetute telefonate nella notte. Appena
uscita dall’aula la teste Fiorillo, il pm
Antonio Sangermano inizia la
requisitoria dell’accusa, dipingendo
con toni crudi e parole
esplicite (quelle delle dirette
protagoniste intercettate) “il
collaudato sistema prostitutivo
organizzato per il soddisfacimento
del piacere sessuale di
Berlusconi”: accusato anche di
prostituzione minorile, perché
di quel “sistema prostitutivo”
faceva parte anche la minorenne
Karima El Mahroug
detta Ruby Rubacuori. Così,
l’udienza di ieri ha dato l’accelerazione
finale al processo,
che arriverà a sentenza probabilmente
il 18 marzo.
LE CENE DI ARCORE? Altro
che innocenti siparietti di burlesque.
Erano la prima fase, già
ambigua, di serate a scopo sessuale
che proseguivano con il
bunga-bunga, balletti, spoglia-
relli e toccamenti esplicitamente erotici,
che servivano a selezionare (non
senza dura competizione tra le ragazze)
quelle ammesse alla terza fase: la
notte ad Arcore, nelle stanze del presidente.
La meglio pagata dal generoso
padrone di casa. Sesso in cambio di soldi
e di inserimento nel mondo dello
spettacolo (o, per qualcuna, della politica).
Un sistema che, secondo l’ac -
cusa, aveva i suoi intermediari: Nicole
Minetti, Lele Mora ed Emilio Fede,
sempre a caccia di nuove ragazze per
alimentare e rinnovare il gioco. Ma
qualcuna delle new entry non ci sta e,
scoppiato lo scandalo, racconta la sua
verità sulle feste del bunga-bunga. Melania
Tumini (“testimonianza insuperabile”,
dice il pm), Natasha Teatino,
Maria Makdoum, Chiara Danese, Ambra
Battilana, Imane Fadil rivelano il
sistema dall’interno. Contraddette dalle
altre, le quali sostengono di aver partecipato
invece a “cene eleganti”, al
massimo qualche “trenino” o scenetta
da burlesque. Ma non può sfuggire,
scandisce Sangermano, “la macroscopica
anomalia” di tanti testimoni tutti
pagati dall’imputato, 2.500
euro al mese più gli extra. Se
non bastassero le testimonianze,
ci sono le intercettazioni,
esplicite, impietose:
“Più troie siamo, più bene ci
vorrà”, si dicono Nicole Minetti
e Barbara Faggioli.
Vita privata di un uomo
pubblico? Ma pagare una
minorenne è un reato. E lo è
anche far pressioni su pubblici
ufficiali affinché rilascino
una ragazza fermata per
furto. Pericoloso dunque
che tutto ciò esca dal segreto
custodito dai fedelissimi. Le
preoccupazioni del circo del
bunga-bunga traspaiono
dalle intercettazioni: ma come
faceva Nicole Minetti –
s’interroga il pm – a mostrarsi
in ansia (e dunque a
sapere delle indagini in corso)
già il 17 ottobre 2010 (Il
Fatto quotidiano rivelerà il caso Ruby solo
il 26 ottobre)? E che strano “inter -
rogatorio” è mai quello a cui Karima
viene sottoposta la notte del 6 ottobre?
“C’è Lele, l’avv., Ruby, un emissario di
Lui, una che verbalizza... Si son fermati
un attimino perché siamo alle scene
hard con il Pr... con con una... con la
persona”.
LA TESTIMONE FIORILLO è netta, non
lascia scampo. Racconta le telefonate
ricevute nella notte del 27 maggio 2010
dal funzionario della questura di Milano
Giorgia Iafrate: “Era un fiume di
parole, facevo fatica a inserirmi. Diceva
che la ragazza fermata andava affidata a
una ‘consigliera ministeriale’ (?) perché
era nipote di Mubarak. Ma se era
marocchina? Al massimo poteva essere
nipote del re del Marocco. Per me era
una ragazza in difficoltà, scappata da
una comunità e sospetta di prostituzione:
andava rimandata in comunità o
trattenuta in questura. Nessun magistrato
degno di questo nome avrebbe
fatto una scelta diversa”. E alla fine:
“Senta Iafrate, io quello che avevo da
dirle gliel’ho detto. Non cambio disposizioni.
Ero infastidita”.
Iafrate in aula ha detto di non aver mai
creduto alla storia di Mubarak. Ma allora
perché ha usato l’argomento messo
in campo da Berlusconi per tentare
di convincere la pm dei minori? Su
questo tornerà nella prossima udienza
Ilda Boccassini. Poi la parola alla difesa.
E infine la sentenza, in nome del popolo
italiano.
Il fatto quotidiano 5 marzo 2013
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