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giovedì 16 agosto 2012
Vendola e l'Ilva di Taranto occasione mancata per salvare delle vite umane e la faccia
Ora basta !!! Vendola continua ad attaccarci, oggi su repubblica, definendo gli ecologisti fondamentalisti e reazionari. Vendola si assuma le sue responsabilità . Lui che da quando e' presidente della regione. ( 2005 ) non ha fatto il registro tumori a Taranto. Lui che non ha fatto l'indagine epidemiologica nonostante
gli fosse stata richiesta tante volte. Lui che non ha fatto fare il monitoraggio del sangue e delle urine ai tarantini che vivono nella citta' più inquinata d'Italia. Lui che a dicembre diceva che a Taranto l'inquinamento era ridotto ma era lo stesso Vendola che ad agosto del 2011 firmava l'autorizzazione per raddoppiare la produzione di acciaio ... Mi fermo qua ... Angelo Bonelli
Vendola e l'Ilva di Taranto, parole, opere e omissioni
Detti e contraffatti del governatore pugliese Nichi e la fabbrica: parole, opere e omissioni di Marco Palombi Dicembre 2011 “Sulla diossina dati s t r a o rd i n a r i , la miglior buona pratica d’E u ro p a Il fatto quotidiano 15 agosto 2012 Io penso che abbandonare l’acciaio sarebbe una sconfitta, bisogna mettere in equilibrio il lavoro e la salute. Nelle carte dei magistrati c’è il percorso. L’ambientalizzazione della fabbrica può essere fatta solo a impianti accesi”. Peraltro, “L’Ilva rispettava i limiti e si è adeguata alla legge regionale sulla diossina, ma l’Ilva è anche una metropoli che per 60 anni è stata un propagatore di veleni”. LA POSIZIONE di Nichi Vendola sull'acciaieria di Taranto, com’è naturale per un uomo che rifiuta le facili semplificazioni, è un po’ complessa: hanno ragione i giudici che chiedono all’Ilva di non inquinare e prescrivono la chiusura della fabbrica, però hanno pure torto perché l’Ilva adesso rispetta i limiti e quindi la fabbrica deve rimanere aperta. Il governatore è confuso? No, più che altro si muove sul doppio binario su cui ha sempre viaggiato in questi anni: ufficialmente lui ha risolto la situazione, in pratica non può far finta che non esistano le perizie ordinate dalla magistratura che dimostrano che non è vero. Basti vedere quanto lo stesso Vendola diceva in uno dei suoi videomessaggi nel dicembre del 2011, otto mesi fa: “Ho i dati degli ultimi rilevamenti dell’Arpa sulle emissioni di diossina e furani a Taranto: siamo a quota 0,2 nanogrammi per metro quadrato. Vorrei ricordare a tutti che nel 2005 l’I l va sputava in atmosfera fino a 10 nanogrammi di veleni. Questo dato è straordinario, è una delle migliori buone pratiche che ci siano state a livello europeo”. Non che fosse la prima volta che il nostro parlava degli straordinari progressi di Taranto. Basta rileggere un paio di numeri della rivista della stessa Ilva, Il Ponte. Ecco cosa diceva Vendola in un’intervista del novembre 2010: “Gli investimenti dal punto di vista ambientale sono stati notevoli, sebbene rimanga ancora molto da fare. In moltissimi settori sono state applicate le migliori tecnologie disponibili, come previsto dalla legislazione europea, e a breve il cronoprogramma per l’ambientalizzazione completa dell’Ilva sarà attuato al 100%”. A maggio 2011, invece, fornì al periodico pagato dai Riva una dichiarazione contro la consultazione popolare promossa dai movimenti tarantini per la chiusura dello stabilimento: “Chiesi ad Emilio Riva, nel mio primo incontro con lui, se fosse credente, perché al centro della nostra conversazione ci sarebbe stato il diritto alla vita. Credo che dalla durezza di quei primi incontri sia nata la stima reciproca che c’è oggi. La stessa che mi ha fatto scendere in campo contro il referendum per la chiusura del ‘polmone produttivo’ della Puglia”. Sul polmone produttivo della Puglia poi sono arrivate le analisi della Procura, compresa quella che rileva livelli di diossina intollerabili, e i toni sono un po’ cambiati. SOLO CHE NON solo di parole ha peccato Vendola, ma pure in opere e omissioni. La famosa legge sulla diossina del 2008 che ha risolto tutto secondo lui, per dire, prevede non controlli in continuo (“assolutamente indispensa bili”, scrive Todisco nella sua ordinanza) ma sulla media aritmetica di rilevazioni discontinue e casuale. Per di più i numeri trionfali forniti dal governatore – ed è sempre il gip che lo sancisce – av ve n i - vano andando a fare gli esami nel camino sbagliato. ANCHE L’AIA (Autor izzazione integrata ambientale) firmata da Vendola nell’agosto di un anno fa, all’ingrosso, consentiva il raddoppio della produzione, non prevedeva controlli in continuo, né la copertura del parco minerale da cui si alzano molte delle polveri che infestano Taranto. Festeggiò allora l’assessore all’Ambiente Nicastro: “Siamo riusciti a tenere insieme le ragioni dell’ecologia con quelle dell’economia e del diritto alla salute con il diritto al lavoro. Un passaggio stor ico”. Poi a marzo la giunta Vendola cambiò idea e chiese al ministro Clini di procedere al riesame dell'Aia. Se si volesse risalire al 2005, si potrebbe ricordare anche che, Provincia e Comune ritirarono la loro costituzione di parte civile nel processo che portò alla prima condanna dei Riva. Contestualmente firmarono un protocollo in cui la Regione si impegnava a stanziare 50 milioni per il risanamento del quartiere Tamburi e altri 25 milioni per il Mar Piccolo. Che ne è stato di quei soldi? C’è una certezza: a Taranto non li hanno visti. Ci sono, infine, le omissioni, il cui peso si può apprezzare solo adesso che tutti parlano della mancanza di dati certi su cui basare un’analisi credibile. I dati non ci sono anche perché Vendola, pur avendone la competenza istituzionale, s’è sempre rifiutato di disporre un’inda gine epidemiologica e pure di avviare il monitoraggio di sangue e urine nonostante gli sia stato chiesto più volte dai movimenti tarantini e da forze politiche dello stesso centrosinistra (i Verdi). Finito? Quasi: il “Registro tumor i” a Taranto è fermo al 2005, quindi sarà difficile stabilire il numero esatto dei morti per inquinamento. Fortuna che ci pensa Nichi via Facebook a spiegarci tutto: “Lo sguardo di chi governa deve pesare ciascuno dei beni da tutelare, deve custodire tutte le promesse di futuro, ma soprattutto deve sentire la responsabilità di evitare che vinca il caos, e che l’ardire utopico dei pensieri lunghi si pieghi alla disperazione di un presente immobile, quasi divorato dal suo passato”.
Ilva Taranto, Riva: "ho visto Vendola vendiamo fumo"
RIVA AL TELEFONO “HO VISTO VENDOLA VENDIAMO FUMO” Nelle intercettazioni i dirigenti Ilva si sentono intoccabili La rete di contatti per “tenere tutto sotto coperta” e “d i s t r u g g e re ” il dirigente dell’Arpa di Francesco Casula Tara nto Il fatto quotidiano 15 agosto 2012 Siamo stati da Vendola… e con Vendola avevamo conc o rd a t o … però non sapevamo di quest’azione… avevamo concordato un certo discorso, in pratica che dovevamo fare con questo tavolo tecnico… ehm… che aveva più obiettivi. Uno di quelli in ordine di tempo, uno di quelli, il primo, sconfessare i lavori di ehm dell’Arpa Puglia”. È il 16 luglio 2010, Girolamo Archinà, ex dirigente dell’Ilva, silurato dopo il deposito delle intercettazioni della Procura nell’udienza di riesame per il sequestro dell’area a caldo dello stabilimento tarantino, manifesta al telefono il suo disappunto per la nuova iniziativa della magistratura. La Procura ha infatti aperto un nuovo fascicolo dopo i dati sul monitoraggio del benzo(a)pirene realizzato da Arpa Puglia. I livelli di emissione nel periodo gennaio-maggio sono triplicati. Archinà lo sapeva: “in via confi d e n z i a l e ” è stato il capo di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, a inviargli con una mail con i dati ancora ufficiosi. Forse l’ex collaboratore della siderurgia ionica sperava che rimanessero tali. La notizia, però, trapela: il sindaco Ippazio Stefàno ema - na un’ordinanza, l’onda ambientalista cresce, l’opinione pubblica chiede misure. L’ex capo delle relazioni istituzionali dell’Ilva attiva il “sistema Arch i n à ”: il giorno seguente, con Fabio Riva, vice presidente del gruppo dell’acciaio, è già in riunione con Vendola. All’uscita Riva chiama il figlio Emilio e gli comunica che il nuovo piano d’azione è basato sul “ve n d e re fumo”: l’azienda comunicherà di essere disposta a collaborare con la Regione e questa spiegherà che il rapporto instaurato con l’Ilva è l’esempio da seguire anche con le altre grandi realtà industriali del territorio. Intanto Archinà ha raggiunto anche un obiettivo esemplare: “…convocato Assennato… As - sennato è stato fatto venire al terzo piano però è stato fatto aspettare fuori…”. Quell’atte - sa, secondo lui, è “come un se- gnale forte” che poi si manifesta chiaramente nelle parole che, secondo il racconto di Archinà, Vendola avrebbe rivolto al dirigente Antonicelli: “Esci fuori vai a dire ad Assennato… vai a dire ad Assennato che lui i dati non li deve utilizzare come bombe di carta che poi si trasformano in bombe a mano!”. Il sistema Archinà non conosce sfumature: i nemici vanno distrutti. È lui stesso a dirlo senza timore di chi lo ascolta. Anzi è una dimostrazione di forza. Come quando nello studio del consigliere regionale del Pd Donato Pentassuglia, appena nominato presidente della commissione ambiente, risponde alla chiamata di Alber - to Cattaneo, responsabile della comunicazione dell’Ilva, e detta legge: “…non ho timore di dirti, che mi trovo in ferie, ma mi trovo nell’Ufficio del presidente della commissione Ambiente della Regione, il Dott. Pentassuglia, per cui mi sta sentendo in diretta che dobbiamo distruggere Assennato”. Così tesseva la rete di protezione della fabbrica. Con rapporti non proprio istituzionali che permettevano, come lui stesso spiega, di “tenere tutto sotto coper ta”. Trema oggi la politica tarantina e pugliese. Trema anche la stampa: nell’infor mativa completa che appartiene all’in - dagine denominata “ambiente ve n d u t o ” la rete di contatti dell’ex braccio destro di Emilio Riva potrebbe trasformarsi in un vero e proprio terremoto. INTANTO a Taranto la tensione non si allenta. L’Ilva ha depositato il ricorso per annullare i due ultimi provvedimenti del gip Patrizia Todisco che «nega la realtà» dato che il Riesame ha convertito “la cautela reale in un sequestro con facoltà d’uso”. L’azienda attacca a testa bassa il gip Todisco che sarebbe intervenuto “sua sponte” perchè non avrebbe “digerita la profondissima riforma del Riesame” ch e avrebbe ribaltato il suo provvedimento di sequestro “incontro - vertibilmente concepito per c o n s e g u i re ” in fretta “la chiusura definitiva dello stabilimento”. Ma proprio in quel provvedimento lo stesso gip Todisco scrive che “solo la compiuta realizzazione di tutte le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo individuate dai periti chimici e l'attuazione di un sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni” potrebbe permettere all’azien - da di produrre ancora. Un passaggio che sembra essere sfuggito a tutti: azienda e sindacati, avvocati e politici. Forse il sistema Archinà l’avrebbe sfruttato meglio.
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