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domenica 19 agosto 2012
Taranto una città da deportare per salvarla dall'Ilva, Tamburi di morte
TAMBURI DI MORTE ILVA E LA GENTE DA DEPORTARE Spostare gli abitanti dei quartieri a rischio è l’unica soluzione se la fabbrica resta aperta. Il sindaco Stefàno: “Via subito” 40 MILA QUANTI ABITANO NEI RIONI VICINI 30% L’ECCESSO DI MORTALITÀ 346 I DECESSI IN TREDICI ANNI 1.500 CIRCA I RICOVERI COLPA D E L L’INQUINAMENTO 17 I BAMBINI MALATI DI TUMORE di Marco Palombi L’esecutivo mente: le case erano già lì quando Italsider costruì lo stabilimento Il Fatto quotidiano 19 agosto 2012 Per secoli era lì che l’acque - dotto romano del Triglio ha fatto sgorgare le sue acque. Battevano sulla strada e da lontano sembrava quasi che suonassero decine di tamburi. Un po’ alla volta, nella Taranto nata dalle durezze di Sparta, col nome dello strumento cominciarono a chiamare pure il posto. I Tamburi. Zona di quasi collina e di mare, famosa fino a qualche decennio fa per la salubrità dell’aria tanto che in contrada Rondinella - dove oggi ci sono i depositi costieri dell’Eni - ci avevano costruito un sanatorio, l’Isti - tuto Testa, dove mandavano a curarsi i malati di tubercolosi. Tu t t ’attorno i vigneti e gli ulivi, i campi coltivati e le case dei pescatori. Oggi di quell’imma gine elegiaca resta nulla, affogata dal sogno novecentesco dell’indu - stria pesante: la marina militare un tempo, l’acciaio e il petrolio dell’Eni poi. Ora, per una sorta di equilibrio della storia, l’aff lato parasovietico che ha creato il mostro d’acciaio dentro la città corre verso una fine altrettanto parasovietica: la deportazione delle persone, lo spostamento dei quartieri uccisi da quello che cinquant’anni fa era il progresso. Se ne parla ancora poco, lo propone qualche accademico, la butta lì il sindaco Ippazio Stefàno, ne accenna persino il ministro dell’Ambiente Clini: spostare la gente di Tamburi, del Borgo e di Paolo VI, i quartieri in cui si muore di Ilva (e di Eni e di inceneritori), 30 o 40mila persone. D'ALTRONDE, se si vuole tenere in vita l’acciaieria, quella è l’unica soluzione che garantisca la salute dei cittadini: una ricerca accademica presentata ad un convegno internazionale del 2006, per dire, ha dimostrato che una cokeria con dieci anni di servizio non può, anche adottando le migliori tecnologie, assicurare una concentrazione di benzo(a)pirene inferiore ad 1 nanogrammo al metro cubo in un raggio fra 1,3 e 1,7 km dall'impianto. “C’è la questione delle case vicine alla fabbrica, case in cui non si può più vivere – ha spiegato il sindaco di Taranto –. Le case parcheggio sono troppo vicine alle ciminiere. Bisogna spostare i cittadini, ma non fra cinque anni: subito”. Anche Carlo Mapelli, docente di siderurgia al Politecnico di Milano, ha dichiarato pubblicamente che quella è la vera opzione da considerare: “Si potrebbe valutare, attraverso un piano urbanistico ad hoc, se sia il caso di spostare alcune aree urbane che sono di maggiore sofferenza”. A leggerne le dichiarazioni, si capisce che persino Corrado Clini ci pensa. In un’intervista al Fatto quotidiano, ad esempio, ha spiegato: “Teoricamente la possibilità di minimizzare la polverosità diffusa fino a rendere abitabile Tamburi c’è, ma in pratica non è semplice. Io credo che il quartiere sia la rappresentazione concreta di un modo disordinato e scriteriato di localizzare gli insediamenti abitativi”. Il ministro dell’Ambiente, però, dice una balla: Tamburi è lì da molto prima dell’Italsider. Le prime case le costruirono le Fs vicino alla stazione, poi il grosso arrivò nella prima metà degli anni 50 col l’Ina Casa (appartamenti destinati ai dipendenti della Marina) e con lo Iacp. Le ultime nuove concessioni edilizie risalgono invece agli anni Settanta, proprio mentre Italsider costruiva quartieri per i suoi operai a Paolo VI e nel vicino comune di Statte. Non è l’unica imprecisione, per così dire, del ministro: venerdì, ad esempio, ha sostenuto che Tamburi ha raddoppiato i suoi abitanti da quando c’è Ilva (1995). “Non è vero – ci spiegano Francesco Mastrocinque e Gianfranco Carriglio del comitato di quartiere –. Vent’anni fa qua ci abitavano più di trentamila persone, oggi siamo 17mila”. Chi ha potuto se n’è andato, gli altri restano perché non possono farne a meno: il mercato delle case, nonostante i prezzi da saldo, è completamente fermo. A TAMBURI, oltre a 17mila tarantini in pericolo, abitano la rabbia, la speranza di aver trovato un giudice e le statistiche: “L’impat - to in termini di mortalità dell’in - quinamento da PM10 a Taranto è in realtà sopportato dagli abitanti dei quartieri Tamburi e Borgo”, ha spiegato in Tribunale Annibale Biggeri, uno dei periti. È tanto vero che tutti lì sono un po’ me - dici e governano parole difficili come “mesotelioma pleurico”, una delle prime cause di morte da inquinamento. Il cosiddetto “ec - cesso di mortalità”, nel triangolo della mal’aria, passa dal 20-30% medio al 400% della pneumoconiosi per il quartiere Paolo VI, dove abitano molti ex operai Italsider. I numeri, contenuti nelle perizie epidemiologiche allegate all’ordinanza del gip, parlano da soli: 386 morti in 13 anni (30 ogni dodici mesi), cui vanno aggiunti quasi 1.500 casi di ricoveri (237 per tumore maligno, 247 per eventi coronarici, 937 per malattie respiratorie). Anche i bambini pagano il loro prezzo: 17 casi di tumore maligno con patologie riscontrabili, in genere, in anziani fumatori, la maggior parte delle malattie respiratorie. QUESTO è l’inferno in cifre e le scelte sono solo due: chiudere la fabbrica o spostare i quartieri. La prima non sembra un’opzione per nessuno, politica in testa. Sulla seconda cominciano ad esercitarsi politici e tecnici: “Il sindaco Stefàno – spiega ancora Carriglio – pensa di portarci dentro il vecchio Arsenale della marina militare, ma noi le new town non le vogliamo. Se siamo vittime di Stato ce lo dicano. Io me ne vado da solo, basta che Riva si compra le case di Tamburi: io, la mia, non riesco a venderla
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