Lo Stato non paga il conto 50 imprenditori si uccidono Oggi Monti cerca il sostegno del Parlamento con una mozione sulla linea europea. Il Fmi avverte: recessione -2, 2 per cento. E il ministro Fornero precisa: non si tocca la cassa integrazione. Ma pensa di intervenire sugli stipendi. pag. 4 – 5 – 6 – 7
Lo Stato deve 70 miliardi ai creditori, ma nel decreto liberalizzazioni ci sono solo spiccioli Il ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, ammette: "Non possiamo far crescere il debito". Da escludersi, invece, un intervento della Cassa Depositi e Prestiti che per l'ex banchiere "potrebbe non essere una soluzione compatibile con gli obiettivi di pareggio di bilancio"Tra un dietro-front e l’altro, le imprese creditrici (almeno 70 miliardi) nei confronti della pubblica amministrazione avranno almeno una certezza. Qualche briciola, 4,7 miliardi di euro, è in arrivo con il decreto liberalizzazioni che aggira l’ostacolo dei vincoli comunitari attingendo ai fondi speciali per la reiscrizione dei residui passivi perenti. Una formula che non comporta un “peggioramento dell’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni”. In alternativa è stata prevista l’assegnazione di titoli di Stato fino a 2 miliardi con modalità che verranno definite da un decreto del ministero dell’Economia. Decreto che prevederà il mancato conteggio dei titoli stessi nei limiti delle emissioni nette indicate nella Legge di bilancio.
Un’altra fetta del totale, destinata ai creditori dei ministeri, arriverà dall’incremento della capacità dell’apposito fondo, con una somma la cui uscita sarà compensata da un’entrata equivalente nel Bilancio dello Stato sotto forma di rimborsi e compensazioni di crediti d’imposta. Oltre, per il momento, non sembra possibile andare. E proprio per via della tagliola comunitaria pronta a scattare se il debito pubblico italiano tornasse a salire, proprio a causa dei pagamenti alle imprese creditrici. Cosa che oggi non accade: proprio per i trattati Ue, quei 70 miliardi non vengono conteggiati perché “debiti commerciali”. Lo sa bene il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera. Lui stesso che a ridosso del suo insediamento a fine 2011 aveva lanciato la proposta del pagamento dei creditori dello Stato in Btp, sta ora facendo i conti con la realtà. Tanto da dichiarare alla Commissione industria del Senato che “emettere nuovi titoli per pagare i debiti è per definizione un aumento del debito pubblico. Quindi occorre procedere al ripagamento dello scaduto senza mettere in discussione il pareggio nel 2013 e quindi dobbiamo trovare dei modi, per ora abbiamo trovato 5 miliardi per procedere ai debiti contratti nel passato, senza rimettere in discussione gli obiettivi del pareggio”.
Sembra da escludersi, invece, un intervento della Cassa Depositi e Prestiti che, sempre su ammissione dell’ex banchiere, “potrebbe non essere una soluzione compatibile con gli obiettivi di pareggio di bilancio che ci siamo dati in Europa”. Questo per quanto riguarda il pregresso, mentre per il futuro il ministro promette il recepimento anticipato (rispetto alla scadenza del 2013) della direttiva comunitaria che impone al pubblico (sanità esclusa, che però rappresenta oggi circa 40 miliardi dell’impagato, più della metà del totale) i pagamenti entro 30 giorni con interessi salati sui ritardi. La questione, però, con la crisi si è fatta sempre più pressante e ieri è passata anche dalla Camera dove il gruppo del Pd ha presentato un’interrogazione che sarà discussa oggi al question time e nella quale si chiede formalmente al governo quali linee intenda “seguire e in quali tempi al fine di garantire il superamento della situazione dei ritardi nei pagamenti da parte della Pubblica amministrazione”. Gli interpellanti ricordano che “la questione ha assunto da tempo dimensioni preoccupanti”.
Anche perché il 49 per cento delle imprese che in Italia attendono i pagamenti pubblici in media per 180 giorni, sono piccole e medie aziende. Le stesse, cioè, che stanno incontrando grossissime difficoltà nell’accesso al credito da parte del sistema bancario. Il credito alle imprese, difatti, è ostacolato da una serie di “vincoli, difficoltà e rigidità” che impediscono di reperire le risorse necessarie per “recuperare adeguati livelli di margini operativi”, ha detto ieri il presidente di Rete imprese Italia, Marco Venturi, nel corso di un’audizione in commissione Finanze alla Camera. E le difficoltà più grandi le incontrano le imprese con meno di 20 addetti, alle quali viene erogato solo il 19 per cento dei prestiti. Secondo Venturi, infatti, la restrizione creditizia in atto, certificata dal bollettino della Banca d’Italia di gennaio, incide maggiormente sulle imprese minori, “nonostante il loro contributo al valore aggiunto nazionale sia più che doppio e quello all’occupazione ben al di sopra del 50 per cento”. L’associazione, poi, registra “un forte incremento dei tassi praticati dalle banche, i quali aggravano ulteriormente la situazione debitoria delle imprese finanziate” e un aumento dei costi accessori che “per alcune voci sono raddoppiati in un anno”. Lo stesso in cui secondo la Cgia di Mestre, su 11.615 imprenditori che hanno portato i libri in Tribunale, circa 3.600 lo hanno fatto per i ritardi nei pagamenti.
da Il Fatto Quotidiano del 25 gennaio 2012
MORIRE DI CREDITI VENETO: I NECROLOGI DELL’IMPRESA Sono almeno 50 i “caduti” sul lavoro in Veneto dal 2009 a oggi. Una cinquantina di suicidi avvenuti nelle terre produttive del Nord-Est, da quando la crisi ha cominciato a mangiarsi le aziende. Cinquanta casi accertati di persone che si sono tolte la vita per non affrontare la perdita del lavoro, la necessità di licenziare, il disonore di non poter più pagare gli stipendi ai dipendenti. Suicidi strazianti. Tantissimi sono piccoli artigiani e imprenditori, l’anello che è saltato prima nella catena produttiva di un’economia basata sulla piccola impresa, sugli ordinativi affidati all’azienda vicina, ai pagamenti sulla fiducia. Tre anni di difficoltà sfociate nella scelta estrema di togliersi la vita. Negli ultimi casi però, come quello di Gianluca Perin e di Giovanni Schiavon, i suicidi sono titolari di aziende floride fino a poco tempo fa, sane e strutturate. Aziende medie, dove i suicidi sono avvenuti per crediti non riscossi non per debiti, come ha sottolineato Giuseppe Bortolussi della Cgia di Mestre: “Ormai si muore di crediti, non di debiti”. Vediamo chi sono. Franco Nardi: 47 anni, proprietario di un distributore di benzina si suicida il 13 gennaio 2012 impiccandosi nello sgabuzzino del suo impianto che si trova lungo la statale Feltrina a Montebelluna (Treviso). Sommerso dai debiti, da tempo tentava senza riuscirci di vendere la struttura. In questi giorni il fratello ha scritto una lettera aperta al Gazzettino in cui chiede alle associazioni imprenditoriali di occuparsi dei soci in difficoltà. Un piccolo imprenditore nel settore delle pitture edili, 54 anni, si impicca il 28 dicembre 2011 alla grondaia di casa a Campodarsego. Schiacciato dai problemi finanziari della propria ditta individuale, ha lasciato un biglietto dove spiegava le ragioni del gesto: “Situazione insostenibile”. La sua azienda era oberata di debiti, ma vantava anche crediti per migliaia di euro. Nel-l’ultimo periodo aveva tentato di riscuotere 200 mila euro per lavori già eseguiti, allora si è visto costretto a mettere in cassa integrazione sette dipendenti. Poi l’epilogo. Giovanni Schiavinato: 71 anni, imprenditore di Montebelluna (Treviso) si è allontanato da casa il 27 dicembre 2011, è stato trovato morto il 30 dicembre a Longarone (Belluno). Proprietario di una ditta di stampi a iniezione per scarponi e suole (a Montebelluna c’è il distretto della calzatura sportiva più importante d’Italia) aveva tentato di sbarcare in Cina, ma la ditta era fallita lo stesso. Si è gettato in un fiume di montagna il giorno in cui la sua casa andava all’asta. Giusy Samogin: 43 anni, giovane e attraente ristoratrice, si suicida il 15 dicembre 2011 a Spresiano (Treviso) gettandosi sotto un treno dopo aver portato a scuola i suoi tre figli. La sua attività era strozzata dai debiti. Lascia una lettera dove scrive: “Dimenticatemi, dite che sono andata via”. Giovanni Schiavon: 59 anni, si suicida il 14 dicembre 2011 sparandosi in testa. Era titolare della Eurostrade 90 snc di Vigonza (Padova). All’origine del gesto la pesante situazione debitoria della sua azienda, gli enti locali gli dovevano 200 mila euro da tempo. Lascia un biglietto ai familiari: “Scusate, non ce la faccio più”. La moglie e la figlia Flavia hanno firmato una petizione, inviata dagli imprenditori veneti al premier Monti, in cui si chiede di recepire al più presto la direttiva europea che prevede tempi certi e rapidi per i pagamenti alle imprese. Da Palazzo Chigi nessuna risposta. Flavia, che ora gestisce l’azienda paterna, dice: “Lo Stato e le istituzioni se ne fregano, come se la cosa non li riguardasse e la colpa sia di chi si uccide. Io sono stanca di andare a piangere in tv”. Gianluca Perin: 52 anni, imprenditore di una nota azienda edile che ha all’attivo una lunga serie di restauri di edifici storici di pregio e manutenzioni in tutto il Nord-Est, si suicida il 18 novembre 2011 impiccandosi alla benna di una macchina per la movimentazione terra a Borgo-ricco (Padova). La sua ossessione – raccontano familiari e amici – erano le decine di dipendenti che non era più sicuro di poter pagare. Paolo Trivellin: 45 anni, piccolo imprenditore, si è impiccato il 23 febbraio 2010 nel suo mini appartamento a Vo ’ (Padova) perché non riusciva più a pagare i suoi 20 dipendenti, da sei mesi senza stipendio. Per far andare avanti la Tri-Intonaci di Noventa Vicentina, di cui era contitolare assieme al cugino, aveva contratto molti debiti. Giuseppe Nicoletto: 40 anni, fornaio, si è ucciso il 23 gennaio 2010 a Cadoneghe (Padova) impiccandosi nel laboratorio di panetteria dove lavorava. Le difficoltà economiche lo avevano costretto a vendere la sua attività a un altro fornaio. Pietro Tonin: 39 anni, imprenditore edile si è gettato nelle acque del fiume Piovego a Noventa Padovana probabilmente il 28 dicembre 2009, ma il suo corpo è stato ritrovato il 3 gennaio 2010. Aveva le mani legate dietro la schiena con un laccio del suo giubbotto come se volesse impedirsi di ripensarci. Pietro aveva contratto molti debiti per avviare l’attività nata tre anni prima. Oriano Vidos: 50 anni, ex piccolo imprenditore edile croato nato a Umago da genitori italiani si è impiccato l’ 1 marzo 2009 a Camposampiero (Padova). Arrivato nel Padovano era riuscito a mettere in piedi una piccola azienda, a far crescere e studiare due figli. Poi il fallimento Danilo Gasparini: imprenditore 61 enne di Istrana, il 7 dicembre 2009 si suicida con i gas di scarico della sua auto. Lascia una lettera dove racconta del proprio fallimento economico. Un anno prima aveva diviso l’azienda di marmitte e articoli meccanici che gestiva col fratello. Valter Ongaro: 58 anni, artigiano, si è ucciso il 18 maggio 2009 impiccandosi all’interno del suo laboratorio di falegnameria a Lutrano di Fontanelle (Treviso). L’azienda faceva verniciature per mobili e aveva otto dipendenti, alcuni erano in cassa integrazione o in ferie forzate. “Per me sono come fioi” diceva. Stefano Grollo: 43 anni, responsabile del personale della Simec, si uccide il 21 maggio 2009 gettandosi sotto un treno a Castello di Godego (Treviso). Nell’azienda si parlava di mettere in cassintegrazione a rotazione i 124 operai e quel giorno avrebbe dovuto comunicarlo ai dipendenti. Un’angoscia che Stefano non ha retto. Lorenzo Guglielmi: 55 anni, assessore al bilancio del comune di Rosà (Vicenza) eletto nella lista di centrodestra si è impiccato il 3 settembre 2009. Era un noto promotore finanziario della Suisse Credit di Bassano del Grappa. Non ha retto alla vergogna di avere perso il lavoro.
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