Il ministro Passera si è dimesso da ad di Intesa, ma ne detiene ancora oltre otto milioni di azioni; ed è socio di un'università privata di Roma legata all'Opus Dei che ha ricevuto una montagna di soldi pubblici e di una clinica privata convenzionata coinvolta in un'inchiesta per peculato. Gran parte dei ministri del governo Monti hanno lavorato per grandi banche, organizzazioni e aziende che hanno a che fare con concessionari pubblici, o ne sono soci. Una rete di affari e interessi che non ha risparmiato le attenzioni delle procure.
Giurava che non si sarebbe mai messo a fare politica, chiamava «spazzatura» le voci che davano per imminente la sua discesa in campo. «Guidando questa banca faccio il lavoro più bello del mondo, e ritengo che facendo così posso influenzare positivamente la società», diceva Corrado Passera, poco più di un anno fa, al Financial Times. Mercoledì pomeriggio, invece, giurava nelle mani di Napolitano come ministro del Governo tecnico di Mario Monti, che lo ha voluto a capo di un super-ministero che, da solo, riunisce le deleghe allo sviluppo economico, alle infrastrutture e ai trasporti. La sua nomina ha sollevato subito polemiche per via della carica di amministratore delegato del gruppo Intesa-Sanpaolo che Passera ha ricoperto fino alla scorsa settimana. Il conflitto d’interessi infatti è plurimo: Intesa-Sanpaolo è azionista di Rcs Mediagroup, l’editore del Corriere della Sera (Passera è stato nel cda di Rcs fino al 2009), e detiene quasi il nove per cento della cordata, messa in piedi dallo stesso Passera, che ha rilevato Alitalia nel 2008, il 12 per cento della holding che controlla Telecom, e, tramite una società del gruppo, il 20 per cento della Ntv, la società ferroviaria di Montezemolo e Della Valle che dovrà competere con Trenitalia e che già oggi è in lotta con l’ad delle Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti, per le tariffe dei pedaggi ferroviari.
Meno recenti gli incarichi del ministro Passera nei Cda di altre grandi aziende italiane, dalle Poste alla Cir, passando per Finmeccanica, la Banca di Trento e Bolzano, Olivetti e diverse società editoriali, tra cui La Repubblica S.p.A. e il Gruppo Editoriale L’Espresso.
«La cosa che mi è pesata di più, lasciare la banca non è facile dopo dieci anni», ha detto mercoledì, dopo essersi dimesso dal Cda di Intesa. Nessuna notizia invece sulla cessione delle sue quote azionarie: oltre otto milioni e mezzo di azioni di Intesa-Sanpaolo per un valore complessivo di 10,5 milioni di euro, e svariate altre partecipazioni in cui si celano altri conflitti d'interessi, finora passati inosservati. Passera, infatti, oltre a essere socio di un albergo e di diverse società immobiliari ed editoriali, possiede anche azioni per oltre 56mila euro di Campus Bio-Medico S.p.A., una società per azioni con sede a Milano che controlla l'omonima università privata di Roma, con annesso policlinico, nata nel 1993 per volontà dell'Opus Dei. Per anni il Campus ha svolto le sue attività in strutture prese in affitto dall'American Hospital di Roma. La sede definitiva, «75 ettari di terreno, immersa nel verde» a Trigoria, appena fuori città, è stata inaugurata il 14 marzo 2008 alla presenza del Segretario di Stato Vaticano, Tarcisio Bertone, dell'allora Presidente della Regione Piero Marrazzo, Gianni Letta, l'ex direttore della sala stampa del Vaticano Navarro-Valls e Javier Echevarría, il vescovo spagnolo a capo dell'Opus Dei. Tre mesi e mezzo dopo, il primo luglio, la Regione Lazio accordava alla struttura finanziamenti pubblici per 71 milioni di euro: 61 per l'attività del policlinico, 10 per la didattica e la ricerca. Anche il ministero dell'Istruzione, nel 2009, ha finanziato il Campus con quasi 470mila euro. E i risultati si vedono: nella relazione che il Policlinico ha presentato agli azionisti di Campus Bio-Medico S.p.A. si legge che nel primo trimestre del 2010 il margine operativo netto del Università Campus Bio-Medico di Roma aveva superato i sette miliardi e mezzo di euro. Il Campus, inoltre, riceve i finanziamenti del 5 per mille dei contribuenti che decidono di destinarglielo perché rimane un istituto di ricerca senza scopo di lucro. Anche se è controllato da una società per azioni che per statuto nomina da quattro a sei consiglieri nel cda dell'Univeristà.
Nel sito dell'Opus Dei si legge che il Campus è una «opera apostolica della Prelatura dell’Opus Dei» che «ha l’ambizione di finalizzare il sapere scientifico alla promozione della dignità della persona in un ambiente in cui i rapporti interpersonali sono ispirati dal criterio della carità e del servizio». Per compiere la sua opera apostolica, il Campus ha partecipato a un bando della Regione Lazio per finanziare «l'innovazione e il trasferimento tecnologico alle PMI laziali». La Regione ha ritenuto ammissibile la domanda, e ha finanziato il Campus con altri 610mila euro, di cui 95.185 euro per «organizzazione di eventi promozionali», 47mila euro per «missioni e viaggi», 91.906 euro per «effettuare analisi di mercato». Affinché la Regione potesse emanare il bando che ha permesso al Campus di ottenere questi finanziamenti è stata indispensabile la determina del ministero dello Sviluppo Economico, lo stesso che ora dirige Corrado Passera e che è responsabile di tutti gli adempimenti per la gestione del "Fondo per lo sviluppo economico, la ricerca e l'innovazione" finalizzato a erogare quegli stanziamenti.
Tra i possedimenti finanziari di Passera c'è anche una quota di oltre il dieci per cento della Day Hospital International S.p.A., una società che controlla l'omonima clinica privata di Aosta: una struttura sanitaria privata convenzionata con la sanità regionale che ha beneficiato di rimborsi pubblici per 700mila euro l'anno. L'anno scorso la clinica è stata oggetto di un'indagine della Digos di Aosta, la cosiddetta inchiesta Bisturi, per truffa, evasione fiscale, smaltimento illecito di rifiuti speciali (sangue, ernie e appendici), assenteismo e peculato: secondo l'accusa la clinica avrebbe utilizzato, per gli interventi privatistici, strumenti, protesi, camici e medicinali di proprietà pubblica, pagati dal sistema sanitario e utilizzati a fini privati. Il 28 settembre scorso Alberto Morelli, ex amministratore della clinica (il suo mandato è scaduto a giugno del 2010), ha scelto di patteggiare la pena per lo smaltimento illecito di rifiuti, mentre per l'accusa di peculato è andato a processo con rito abbreviato. La Usl si è costituita parte civile, ma la Digos ha mosso accuse anche all'azienda sanitaria, contestandole di non aver vigilato abbastanza. Secondo il consulente inviato dal ministero della Salute, la convenzione con la clinica di cui Passera è socio avrebbe dovuto seguire a una gara di appalto europea, che però non c'è stata.
La storia del neo-ministro dello Sviluppo Economico, che è anche responsabile dell'amministrazione del settore delle telecomunicazioni, si è incrociata più volte con quella di Silvio Berlusconi. I due sono "nemici" di vecchia data. Passera fu uno dei manager di De Benedetti che sostituì in Mondadori quelli di Berlusconi quando, nel 1990, il Cavaliere perse il lodo arbitrale con la Cir per l'acquisto della casa editrice. Due anni dopo, nell'occasione di un convegno, Passera denunciò con durezza «l’esistenza di una concorrenzialità gravemente minacciata dalla posizione dominante della Fininvest» che «controlla quasi il 40 per cento del fatturato pubblicitario complessivo nazionale». Risposta di Berlusconi: «Passera legge troppi fumetti». Negli ultimi anni, però, a parte qualche sfogo polemico contro Tremonti per via dell'aumento del carico fiscale sulle banche, ha avuto occasione di farsi perdonare: Intesa-Sanpaolo ha concesso a beneficio di Fininvest un plafond di credito che negli anni è arrivato a due miliardi e trecento milioni di euro, allargato di altri 400 milioni dopo la condanna di Fininvest a risarcire 564 milioni di euro a De Benedetti per il danno conseguente alla corruzione giudiziaria che riportò Mondadori nelle mani di Berlusconi.
Tra i pochi nemici che sembra essersi fatto Corrado Passera c'è Giovanni Consorte, al quale si mise di traverso nella scalata alla Bnl. «Il dottor Passera me l'ha cacciato nel culo», ricorda Consorte al telefono con toni poco teneri al senatore del Pd Nicola Latorre.
Il nuovo ministro dello Sviluppo Economico non è immune neanche alle indagini giudiziarie: è stato indagato per due crack finanziari, Fiornini e Cirio, e per false comunicazioni sociali nell’indagine su Olivetti della Procura di Ivrea, e ne è sempre uscito indenne.
Ma non è l’unico ministro del Governo Monti ad avere avuto problemi con la Giustizia. A fargli compagnia c’è Corrado Clini, ministro dell’Ambiente. Basta sfogliare a ritroso il suo lungo curriculum istituzionale per vedere che di ambiente e rifiuti si è sempre occupato, sin dagli anni '80. Nel 1996 diede il via libera all'inceneritore di Verbania, che riteneva un impianto «pilota», escludendo la necessità di un'autorizzazione preventiva dello Stato. L'azienda che lo aveva realizzato si chiama Thermoselect, che è anche il nome dell'avveniristica tecnologia di gassificazione che l'impianto avrebbe dovuto usare. Ma per quell'impianto i vertici della Thermoselect finirono sotto processo per lo sversamento di cianuro nei torrenti vicini alla struttura, e vennero condannati dalla Cassazione per difformità autorizzative dell'impianto. Che oltre a inquinare, scoppiava. Era talmente insicuro che esplose persino durante un'ispezione dei vigili del fuoco e della Usl. Corrado Clini, già allora direttore generale del ministero dell'Ambiente, venne indagato per quell'autorizzazione "facile" e poi archiviato dopo che il suo avvocato, Carlo Taormina, futuro deputato forzista, riuscì a ottenere il trasferimento del procedimento a Roma. Oggi Clini, autore di articoli per diverse testate contro il cosiddetto "ecocatastrofismo", è uno dei più convinti oppositori del protocollo di Kyoto. E viene segnalato, come hanno riportato Vittorio Malagutti e Giorgio Meletti sul Fatto Quotidiano, come "senior fellow" sul sito dell'Istituto Bruno Leoni, un centro di ricerca di ispirazione «liberista, individualista, libertaria» che si propone di contrastare l'«estremismo verde» degli ambientalisti.
Il nuovo ministro degli Interni, Anna Maria Cancellieri, un curriculum di commissario prefettizio di tutto rispetto (ha cominciato a 19 anni alla Presidenza del Consiglio, ora ne ha 67), è passata alla storia per avere negato la presenza di infiltrazioni mafiosa a Genova, due anni fa, quando ne era prefetto. Lo stesso anno il presidente della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo, l'ha nominata Commissario al Teatro Bellini di Catania, e in quella funzione è stata indagata, a seguito di un esposto dell'ex sovrintendente del teatro, per via di una serie di consulenze da migliaia di euro ritenute eccessive dal pm Alessandro La Rosa, che sospetta possano essere state finalizzate ad arrecare un'indebito vantaggio patrimoniale ai consulenti, tra cui figurava il soprintendente del Comune di Bologna («lo scelsi perché conoscevo la sua professionalità», si difende lei). Il ministro Cancellieri risulta essere tutt'ora indagata per abuso d'ufficio.
A Bologna, dov'era commissario prefettizio, la Cancellieri si era distinta per avere prorogato i finanziamenti alle scuole private (più di un milione di euro) nonostante l'esiguo bilancio del comune. Un conflitto di interessi, quello con gli istituti privati di istruzione e ricerca, che riguarda buona parte del nuovo esecutivo: su otto professori al Governo, sei vengono da istituti privati. Tra gli altri due c'è il ministro dell'Istruzione, Francesco Profumo, rettore del Politecnico di Torino e presidente del Cnr su nomina dell'ex ministro Gelmini. Nel 2005, appena insediatosi come rettore del Politecnico, siglò un accordo con General Motors per lo sviluppo di un centro di ricerca della società americana nell'Università di Torino, un'iniziativa che non trovò il favore degli studenti, che la contestarono con forza. «La ricerca al Politecnico di Torino è occupata per un terzo dalla General Motors», ha denunciato un loro portavoce. Da segnalare che tra i maggiori investitori della General Motors Company c'è Goldman Sachs Group Inc., la banca d'affari internazionale di cui il premier Mario Monti è stato consulente dal 2005, che ne possiede azioni per oltre 360mila euro. Ma non è l'unico conflitto di interessi di Francesco Profumo.
Oltre a essere membro del comitato di selezione del premio organizzato dall'Eni, il neo-ministro dell'Istruzione sedeva anche, fino al giorno della nomina, nei cda di Pirelli, Telecom Italia, dell'università telematica Uninettuno, e nell'Advisory Board di Reply S.p.A., una società che annovera tra i suoi clienti concessionari pubblici come Sky e Seat Pagine Gialle. In passato è stato nei cda di Unicredit Private Banking e del Sole 24 Ore.
Nel caso di Giampaolo Di Paola, invece, il conflitto d'interessi è congenito: mettere un ammiraglio a capo del ministero della Difesa vuol dire, di fatto, affidare la politica militare italiana all'esercito, indebolendone il controllo politico dell'esecutivo. È la seconda volta che succede nella storia della Repubblica. La prima fu quella del generale Domenico Corcione, ministro della Difesa nel Governo Dini, ma in quel caso Corcione aveva formalmente dismesso i panni di militare da tre anni, quando per ragioni anagrafiche venne collocato in ausiliaria. Di Paola, poi, non è un ufficiale militare qualunque, ma uno degli uomini più potenti della Nato, di cui presiede il comitato militare. Fu lui a firmare l'intesa che impegna l'Italia all'acquisto di 131 cacciabombardieri statunitensi che ci costeranno 16 miliardi di euro. Ed era con lui, come si legge in un cablogramma segreto pubblicato da Claudio Gatti sul Sole 24 Ore del 15 ottobre scorso, che gli Usa trattavano per il trasferimento del comando europeo delle Forze speciali Usa da Stoccarda a Sigonella. Di Paola consigliava loro di non seguire «la strada che passa per un coinvolgimento del Parlamento italiano» ma di «legare eventuali attività militari alla lotta al terrorismo, cosa che potrebbe fornire una copertura politicamente accettabile a un'ampia gamma di operazioni».
Il ministro della Difesa, quindi, forniva agli Stati Uniti la scusa che avrebbero dovuto utilizzare per coprire le attività militari che gli italiani non avrebbero altrimenti permesso loro di svolgere, dissuadendoli dal passare per il Parlamento. Di Paola, del resto, all'accordo di Sigonella ci teneva, anzi, lo considerava una «priorità assoluta». Tanto che, nel 2005, consigliava agli statunitensi di impegnarsi a incassare la firma prima delle elezioni del 2006, perché «se arrivasse un cambio di Governo in Italia» prima della firma dell'accordo «sarebbe politicamente impossibile per gli Usa continuare a operare con la relativa libertà d'azione che hanno adesso con le base italiane». Ora gli Usa possono esultare.
Altro manager chiamato da Monti nel suo esecutivo è Piero Gnudi, delegato a Sport e Turismo, membro del direttivo di Confindustria, del cda di Unicredito Italiano, della giunta direttiva di Assonime (l'associazione tra le spa italiane) e, fino allo scorso aprile, del cda dell'Enel. Dal 1994 ha fatto parte del consiglio di amministrazione dell'Iri, in cui ebbe l'incarico di sovrintendere alle privatizzazioni volute dal centrosinistra nel '97.
Tra gli incarichi del Ministro Gnudi c'è anche quello di presidente della Sesto Immobiliare S.p.A., la cordata che riacquistò l'ex area Falck di Sesto San Giovanni, oggi sotto la lente di ingrandimento della Procura di Monza che ha avviato un'indagine, in cui è coinvolto l'ex sindaco del Pd Filippo Penati, per finanziamento illecito, corruzione e concussione.
I magistrati di Monza, grazie alle indagini sulle presunte tangenti per la riqualificazione dell'area Falck, hanno trovato collegamenti con altre tangenti per la privatizzazione degli scali aeroportuali della Capitale. Anche all'epoca ricorrevano gli stessi nomi, compreso quello di Gnudi (che non è mai stato indagato). Diego Cotti, imprenditore ed ex politico di Sesto, ha dichiarato ai pm che Giordano Vimercati, braccio destro di Penati, in merito alla trattativa per l’acquisto dell’area delle ex acciaierie Falck gli avrebbe detto: «Falck stabilisce il prezzo ma vende a chi diciamo noi. Perché Falck vuole entrare in Aeroporti di Roma e ha bisogno di un placet nazionale». Falck negli Aeroporti di Roma ci entrò, nel 2000, grazie al consorzio Leonardo - di cui era proprietaria al 31 per cento - a cui l'Iri, all'epoca presieduta da Piero Gnudi, vendette AdR per 2.570 miliardi di lire.
Il neoministro è anche membro esecutivo della fondazione Aspen, finanziata da buona parte dell'imprenditoria italiana e internazionale tra cui decine di banche e assicurazioni (anche Intesa-Sanpaolo), Anas, Italcementi, Lottomatica, Mediaset, Confartigianato e Confindustria, Edipower, Edison, Enel, Eni, Erg, Shell, Farmindustria, Fastweb, Fincantieri, Finmeccanica, la Rai, Seat Pagine Gialle, Sky Italia, Telecom e decine di altre grandissime aziende (Microsoft e Google incluse). Con lui, nel comitato esecutivo, c'è tutta l'Italia che conta. Tra gli altri: Giuliano Amato, Confalonieri, Emma Marcegaglia, Frattini, Prodi, Tremonti, Caltagirone, persino Paolo Mieli. Anche il presidente del consiglio Mario Monti e un altro ministro del Governo, Lorenzo Ornaghi, ai Beni Culturali, già rettore dell'Università Cattolica e consigliere dell'editore di Avvenire, nonché uomo vicinissimo a Ruini e Bagnasco, ne fanno parte.
Paola Severino, invece, nuovo ministro della Giustizia, non ha bisogno di entrare nel giro della grande finanza italiana, perché è la grande finanza ad andare da lei, nel suo studio legale. Avvocato dal 1977, nella sua carriera ha rappresentato nelle aule di giustizia gli interessi di Rai, Telecom, Enel, Eni, Sparkle, Caltagirone e Geronzi. Senza contare i politici: da Prodi a Formigoni, da Cesa a Rutelli, e persino Giovanni Acampora, l'avvocato Fininvest condannato per corruzione in favore di Berlusconi nel processo per il Lodo Mondadori. Ora dovrà occuparsi di amministrare la macchina della giustizia e di depurarla dai privilegi processuali riservati ai colletti bianchi. Tra i nomi apprezzati dall'ex-premier c'è anche quello del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà, già presidente dell'Autorità antitrust dal 2005, dopo essere stato segretario generale di Palazzo Chigi sotto il secondo governo Berlusconi (non sorprende che nella sua funzione di presidente dell'Antitrust non abbia mai affrontato il problema della concorrenza nel mercato televisivo italiano).
Il nuovo ministro del Lavoro con delega anche alle Pari Opportunità, Elsa Maria Olga Fornero, di conflitti d'interessi ne ha più d'uno. Fino al giorno della nomina è stata consigliere di sorveglianza e vicepresidente di Intesa-Sanpaolo, oltre che membro del cda di Buzzi Unicem S.p.A., società di trasporto e merci su strada «focalizzata su cemento, calcestruzzo e aggregati naturali» che ha bruciato rifiuti pericolosi nel cementificio di Cadola fino a diversi anni fa (anche se il 19 aprile scorso furono segnalate emissioni di polvere di cemento dall'impianto che ridussero addirittura la visibilità stradale) e che partecipa ad appalti pubblici. In passato la Fornero è stata nei cda di diverse finanziarie e assicurazioni, mentre suo marito, Mario Deaglio, ex direttore del Sole 24 Ore e oggi editorialista de La Stampa, è consigliere del Gruppo Banca Sella e della società finanziaria di Torino Consel.
Un curriculum nelle banche ce l'ha anche Piero Giarda, ministro per i Rapporti con il Parlamento, ex collaboratore di Padoa-Schioppa nel governo Prodi, già segnalatosi per avere usato l'aereo dei vigili del fuoco per partecipare al giuramento. È membro del consiglio di sorveglianza del Banco Popolare e presidente del cda della Cassa del Trentino, controllata dalla Provincia Autonoma di Trento per finanziare i progetti d'investimento degli enti pubblici provinciali. In passato è stato anche nei cda di di Bipielle Investimenti S.p.A. (presidente e amministratore), Banca Federale Europea S.p.A. (presidente), Banca Popolare di Lodi, Banca Popolare di Milano, Acea e Pirellli & C.
http://www.agoravox.it/Monti-il-governo-dei-conflitti-d.html
Ha collaborato Antonio Mazzeo
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