Certo chi ha dimostrato l'attuale governo nazionale, e non si è pentito, non si può certo definire di classe. Il degrado dimostrato da tanti, troppi esponenti, la volgarità, l'ignoranza consiglierebbe le tante persone degne, che l'hanno votato probabilmente senza conoscere le persone che avrebbero consumato l'Italia, di prendere le distanze, se non di pentirsi. Quindi, penso, sia abituate comunque anche al basso livello culturale. E l'attuale maggioranza della Regione Lazio non ha certo brillato nè per risultati amministrativi, per obiettivi in favore del territorio, del lavoro, della classi sociali deboli, però almeno un pò di eleganza non guasterebbe.
Giorgio Libralato
Il Fatto quotidiano 14 ottobre 2011
di Luigi Galella
Renata Polverini viene “dalla strada: c*****.
Lo ricorda lei stessa agitando le braccia e sbraitando al pubblico di Genzano, con nobile e fiero risentimento verso la platea che si mostra ingrata, e la fischia, la contesta, le urla “va t t e n e ”.
Proviamo a decodificare. La presidente della Regione Lazio intende dire che quel genere di protesta – a lei che proviene da quel luogo prima e meglio di loro, evidentemente – non fa paura. Anzi, “io non ho paura nemmeno del diavolo... C****!”. Non si fraintenda: l’ultima frase nominale, reiterata più volte a beneficio dei più tardi di comprendonio, risponde alla funzione “fàtica” del linguaggio, come direbbe Roman Jakobson, e quindi serve meglio a ripristinare un contatto, lì dove si pensa di averlo smarrito. Lei lo stabilisce così. È come quando al telefono si dice: “Capito? Ci sei? Eh!”, e l’a l t ro replica per chiarire che è ancora lì. Si è trattato quindi di un equivoco. A Genzano la Polverini diceva “cazzo” solo perché aveva bisogno di percepire più intensamente il calore del suo popolo e quest’ultimo infatti la ricambiava, fischiandola, per comunicarle che aveva ben compreso il senso occulto della parola.
Non è il caso di ironizzare.
Lo si può fare su ciò che eccede la norma, non su ciò che la conferma. Ed è sempre più difficile compilare un bestiario originale, come tenta di fare “Striscia la notizia” – che aveva già proposto il turpiloquio dal palco di Genzano nella carrellata settimanale dei “Nuovi mostri” – se non altro perché le mostruosità di usi e costumi dei politici, fra partiti-gnocche vajasse e mignotte, rappresentano la norma, non l’eccezione.
Prendendo spunto dall’originale metafora dell'ex sindacalista dell’Ugl, la Iena Paolo Calabre s i (“Le Iene”, Italia 1, mercoledì, 21.10), ha cercato di avvicinarsi a colei che non ha paura nemmeno del demonio, per tentare un sobrio dialogo alla pari: “A Renata, me ‘nsegni come se dice c****?” Il poveretto, che si qualificava “della strada”, si aspettava una fraterna parola di conforto. Ma guai a pronunciare simili parole in presenza della Polverini. Quel cafone impertinente è stato subito strattonato, placcato, afferrato per il collo da un bodyguard, che gli intimava: “Cazzo lo dici a me, non a lei”.
A proposito di “c a fo n e ”. È proprio la parola pronunciata da quel tal Rositani, protettivo - nella veste di un’attempata guardia del corpo - all'indirizzo del nostro Carlo Tecce, che aveva osato chiedere lumi sul perché la Polverini avesse usato l’elicottero per recarsi alla sagra del peperoncino di Rieti. Cafone di un Tecce.
Ha detto “e l i c o t t e ro ”.
Ma com’è cambiata la Polverini. Che cosa le è successo? Forse il primo a chiederselo oggi dovrebbe essere proprio quel Floris, Giòva, come lo chiama Crozza, che di “s t ra d a ” tele visiva gliene ha fatta fare tanta e tanta, fra una poltrona e l’altra degli studi di Ballarò, finché pure i più distratti spettatori di ogni dove hanno iniziato a conoscerla e ad apprezzarne lo stile pacato e mite, l’eloquio né troppo forbito né troppo banale, il tono conciliante, il viso largo e il volto sorridente, sincero, pacioso. Allora.
Quando pure Veltroni, l’ecumenico, ne era rimasto conquistato e voleva candidarla nelle liste del Pd.
Nessun commento:
Posta un commento