«Cercate a Latina le scorie dei Casalesi» Ecomafie Carmine Schiavone, collaboratore di giustizia, torna a parlare dei traffici verso il sud del Lazio. L’Enea negli anni ‘90 avrebbe confermato la presenza di veleni a Borgo Montello
Andrea Palladino Terra 6 settembre 2011
La scoperta della discarica di Casal di Principe è una sorta di scoperchiamento del vaso di Pandora.
Le analisi dell’Arpa e della Asl dovranno datare con precisione l’epoca dell’immenso sversamento avvenuto alle porte della capitale del cartello dei Casalesi. Le immagini dei fanghi industriali ritrovati – analizzate da alcuni esperti – mostrano residui plastici ancora integri, che potrebbero far risalire quella discarica a tempi più recenti.
Una possibilità che riaprirebbe il capitolo della storia dei viaggi tossici dal nord verso la provincia di Caserta.
Intanto il collaboratore di giustizia Carmine Schiavone – che dal 1993 in poi ha raccontato ai magistrati di diverse procure il sistema rifiuti dei clan – ha reagito duramente all’accostamento del suo nome con lo sversatoio di Casal di Principe. «Vogliono farmi martire», ha raccontato a Il Tempo domenica scorsa, in una lunga intervista. Respinge le accuse, aprendo però un nuovissimo fronte di indagini, che punta sul basso Lazio. Secondo il suo racconto, venuto da uno dei principali testimoni del processo Spartacus – condannato a 10 anni e mezzo di reclusione, con i benefici di legge – dopo il 1993 l’Enea avrebbe verificato la sua testimonianza sui traffici illeciti verso la discarica di Borgo Montello di Latina, confermando la presenza di sostanze pericolose e, probabilmente, radioattive.
«Andammo sul posto con un elicottero partito da Pratica di Mare – ha raccontato Carmine Schiavone – c’erano anche i tecnici dell’Enea per verificare la radioattività. Mostrai i luoghi e alla fine dovemmo scappare, gli strumenti antinquinamento erano impazziti».
Il collaboratore di giustizia aveva già deposto il 13 marzo del 1996 davanti all’allora tenente colonnello del gruppo provinciale dei carabinieri di Latina Vittorio Tomasone.
Otto pagine di verbale, fitte di indicazioni poi risultate preziose nelle indagini della Dda di Roma sulla penetrazione dei Casalesi nel sud pontino. «La provincia di Latina non può definirsi immune dal problema dei rifiuti smaltiti illecitamente», spiegò Schiavone. «Mi diceva Antonio Salzillo, ai tempi in cui faceva parte ancora del nostro gruppo, che lui operava con la discarica ufficiale di Borgo Montello – prosegue nel racconto – e in tale struttura faceva occultare bidoni di rifiuti tossici o nocivi».
Quel racconto di Schiavone – fatto quindici anni fa – nel tempo è stato in buona parte completato da tanti elementi.
Nessuno, però, è mai andato a scavare nei sei invasi che compongono la discarica di Borgo Montello, nonostante gli indizi che sembravano convalidare la testimonianza del collaboratore di giustizia dei Casalesi.
Secondo alcune analisi dell’Arpa Lazio – realizzate recentemente per il rilascio dell’Aia della discarica, attualmente funzionante – le falde acquifere risulterebbero contaminate. Non solo. Raccontano gli abitanti della frazione di Latina che quando, anni fa, il fiume Astura esondò, sulle sponde poste ai limiti della discarica di Borgo Montello apparvero i fusti.
«Ricordiamo con chiarezza quelle immagini – spiega un abitante che chiede l’anonimato – che furono fotografate da un reporter di un giornale locale». Istantanee poi sparite.
Alla fine degli anni ‘90 vennero effettuati dei rilievi sull’area, che mostrarono la presenza di materiali ferrosi in profondità.
Per il Comune di Latina – il primo gestore dell’invaso zero, il più antico – si poteva trattare di «vasetti di omogenizzati», scaduti ed interrati nella discarica. Ma nessuno ha mai potuto escludere la presenza dei fusti.
Carmine Schiavone – dopo la scoperta della discarica nella sua terra d’origine – ha deciso di riprendere il filo di quel racconto, aggiungendo alcune elementi importanti ed inediti. «Raccontai queste cose ai magistrati, alla commissione ecomafie e alla scuola superiore di Polizia fin dal 1993», ha spiegato nella sua intervista uscita domenica scorsa.
Il 1993 è l’anno dell’inchiesta Adelphi, il filone d’indagine della Dda di Napoli che scoprì il grande traffico di rifiuti verso la Campania, nato da un accordo stretto alla fine degli anni ‘80 tra i clan del casertano con le grandi industrie chimiche, i principali produttori dei rifiuti pericolosi.
Lo sversamento verso il Lazio, spiega Schiavone, aveva visto come mediatore «un esponente della massoneria targata P2».
Un passaggio importante, che è possibile ricollegare alle sue dichiarazione del 1996:
«Chianese (l’avvocato oggi ai domiciliari, accusato di essere l’ideatore delle ecomafie in Campania) ha
introdotto Gaetano Cerci negli ambienti della P2 di Gelli – raccontò il collaboratore ai carabinieri di Latina – e mi risulta che il Cerci frequentasse la casa di Gelli, al pari dell’avvocato Chianese». Uno snodo tra gli ambienti dei casalesi e la massoneria che l’inchiesta Adelphi aveva indicato come il punto di contatto tra il mondo imprenditoriale del nord Italia con le cosche campane.
Se le ultime dichiarazioni di Schiavone fossero confermate, si potrebbe aprire un nuovissimo fronte d’indagini sulla discarica di Borgo Montello, con risvolti anche istituzionali. Occorrerebbe capire, ad esempio, perché dal 1993 ad oggi nessuno è mai andato a verificare in profondità cosa si cela nel ventre dell’invaso che serve i comuni della provincia di Latina. Molte istituzioni, poi, dovrebbero rendere noti gli studi realizzati sulla zona, ad iniziare dall’Enea, chiamata in causa dal collaboratore di giustizia.
C’è infine la mancata bonifica. Secondo Carmine Schiavone l’intervento sarebbe costato 26 miliardi di lire e non sarebbe mai stato realizzato per mancanza di fondi: e così «era meglio che lo scandalo non uscisse fuori», assicura l’esponente dei Casalesi.
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