Andrea Palladino
LA STORIA. Cento profughi, arrivati dal Centro di Manduria, in Puglia, trovati stipati in due case sui monti Lepini. In quarantasei in una casa per sei persone, senza sapere dove si trovano.
L'Italia è un deserto differente da quello libico, l’immensa distesa di sabbia e di pietre da percorrere con in mente Lampedusa, l’isola che sognano di raggiungere i migranti africani. Sanno che quel viaggio può essere mortale, conoscono le procedure infinite e disumane dei centri di accoglienza, hanno imparato a capire che in fondo l’Italia non è quel paradiso che speravano di incontrare. Quello che i rifugiati scappati alla guerra di Libia non possono, però, neanche immaginare è quel nuovo deserto che li aspetta, molto più insidioso, fatto di un abbandono che ti penetra l’anima. Un vuoto che scoprono una mattina per caso, svegliandosi in una casa abbandonata sui monti Lepini. La rotta è ormai nota, segnata dal bollettino quotidiano degli arrivi.
L’isola di Lampedusa, la vetrina da usare per mostrare al mondo l’accoglienza, i finanzieri pronti a dare la mano ai migranti che arrivano allo stremo sulla nostra costa. E poi i viaggi verso i centri di accoglienza, come il campo di Manduria, in Puglia. Lì le telecamere si spengono e inizia il silenzio infinito, senza risposte, senza numeri, senza storie da raccontare. In provincia di Latina, sui monti Lepini che sovrastano la pianura della bonifica, un centinaio di migranti – partiti da Manduria alla fine di giugno e arrivati un mese fa alla ricerca con la promessa dell’accogleinza – sono riapparsi, stipati in due case nella zona agricola di Sezze.
Non sanno neanche dove si trovano, e la giornata la passano attendendo «il padrone bianco che ci porta un piatto di spaghetti», come hanno raccontato al quotidiano Latina Oggi. Un unico piatto, due volte al giorno, oltre ad una tazza di caffellatte la mattina. Quarantasei di loro sono stati trovati dai carabinieri in un casolare di sessanta metri quadri, nella campagna del piccolo comune di Roccagorga, che al massimo poteva accogliere sei persone. Altri cinquanta – o forse più – erano infilati in una casa senza abitabilità nei boschi attorno a Bassiano – raggiungibile solo usando una strada chiusa mesi fa per una frana - risultata poi affittata ad una signora di ottantasei anni, a sua volta ospite in una casa di riposo di Sezze. Migranti gestiti da due cooperative sociali della provincia di Latina, che hanno ottenuto i finanziamenti dell’emergenza, gestiti in collaborazione tra assessorato ai servizi sociali della Regione Lazio e Protezione Civile.
La casa di Bassiano era in carico alla Karibù, il piccolo casolare di Roccagorga alla cooperativa sociale Fantasie, entrambe di Sezze. Quando sono apparsi i carabinieri del gruppo di Terracina – chiamati dagli abitanti, incuriositi da quegli africani arrivati dal nulla – nessuno si è ribellato. Lì passavano le giornate solo aspettando l’arrivo di quell’unico piatto di riso o spaghetti, identico a pranzo e a cena, senza avere idea di quello che sarebbe accaduto il giorno dopo. La cooperativa Fantasie – dopo l’apertura di un’inchiesta da parte della Procura di Latina – ha cercato di spiegare che in realtà quel gruppo di migranti arrivati da Manduria non dormiva in quel casolare, utilizzato solo come punto di accoglienza. «Non c’è nessuna truffa, anche perché non abbiamo ancora rendicontato nulla», ha sottolineato la Onlus di Sezze, in un comunicato stampa. Una versione che è ora al vaglio degli inquirenti.
L’inchiesta della Procura di Latina punta a verificare una per una la case di accoglienza che ospitano i migranti sbarcati a Lampedusa. Ieri i carabinieri hanno ispezionato insieme alla Asl molte strutture, cercando di capire se i requisiti richiesti siano stati rispettati. Intanto la cooperativa Fantasie si prepara a proseguire la sua “politica di accoglienza”, dopo essere risultata idonea nel bando di gara della Regione Lazio, chiuso mentre i carabinieri entravano nella casa di Roccagorga.
http://www.terranews.it/news/2011/08/dalla-libia-latina-l%E2%80%99incubo-dei-migranti
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