Il Manifesto, Domenica 05 Giugno 2011
Le mani sull'acqua, è solo il primo passo
di Andrea Palladino
Seguendo il corso dell'acqua si arriva lontano. Si scoprono le fonti, nascoste negli appennini italiani, gli antichi acquedotti romani, i pozzi contaminati del Lazio, le silenziose guerre per l'acqua che si combattono attorno alle sorgenti. Per chi ha pazienza e curiosità, le tubature oggi gestite dai colossi italo-francesi possono, però, sbucare nei posti più inaspettati, come il nuovo campus universitario di Tor Vergata, inaugurato da qualche mese con le gran casse delle tivù. O può capitare di ritrovarsi tra i rifiuti della Calabria, o tra le ceneri del bruciatore della Versilia, contenute in impianti che non funzionano e che, probabilmente, mai funzioneranno.
Gestire la vita
Le due sorelle francesi Gdf Suez e Veolia sulla gestione del nostro quotidiano non temono confronti. Hanno saputo vincere la concorrenza degli inglesi e degli spagnoli, hanno convinto governi di cinque continenti, hanno avuto la capacità di rendere docile la Banca mondiale e l'establishment di Bruxelles. Loro semplicemente gestiscono la vita: l'acqua quando si nasce, i rifiuti che produciamo, i nostri primi passi nell'università, accompagnandoci negli anni passati nei campus. E poi i trasporti, le scorie che producono le fabbriche chimiche e farmacologiche, la monnezza che - come è noto - in Italia è un bel business. Siamo clienti, dalla nascita alla morte.
Questa è la partita che si giocherà il 12 e 13 giugno, partendo dalla critica radicale al core business delle grandi sorelle dei servizi, scardinando il sistema creato più di dieci anni fa nelle grandi École de administration francesi, il PPP, ovvero il partenariato pubblico privato. Alleanza strana, dove lo Stato mette i suoi cittadini e loro - Suez e Velia - mettono la capacità di capitalizzare il reddito estraibile dalla nostra vita. Dalla nascita alla morte.
Studiare sotto il segno di Veolia
Cosa lega le bollette di Acqualatina alle università italiane? Jean Louis Marie Pons, manager di lungo corso di Veolia, oggi dirige la Siram Sì, società del gruppo francese che gestisce la città universitaria annessa a Tor Vergata, secondo ateneo romano. La realizzazione è stata affidata al gruppo Caltagirone, presente a sua volta in Acea - in teoria un concorrente diretto di Veolia - ben rappresentato dal cognato Marco Staderini, amministratore delegato del gruppo romano. Caltagirone da un paio d'anni ha iniziato una vertiginosa scalata in Acea, passando dal 4 al 15%, sperando con tutto il cuore di avere il via libera per diventare il vero successore del comune di Roma nella holding dei servizi romani. Per Veolia la gestione di pezzi delle università è uno dei tanti servizi diversificati, in grado di fare cassa, magari approfittando del clima friendly di un campus universitario per far capire che privato è bello.
Il valore della gestione del campus universitario di Roma - che Veolia si è aggiudicata - si aggira attorno ai 170 milioni di euro e include l'amministrazione di ogni aspetto della vita interna al campus, dagli affitti alla tutela della privacy. Il modello privato si vede e si sente: tutti gli accessi sono controllati, la vigilanza affidata a istituti di sicurezza privati, «che percorrono tutta l'area, all'aperto e all'interno delle palazzine 24 ore su 24», mentre ogni visitatore dovrà essere munito di apposito badge. Qui, nel campus gestito da Veolia, entri solo se sei invitato. Le palazzine che ospitano gli studenti - e che coprono il 60% dei posti universitari di Roma - sono state realizzate con un accordo pubblico-privato, che ha visto coinvolto il Fondo Aristotele dell'Inpdap, gestito da Fabrica Immobiliare Sgr spa, società partecipata dal gruppo Caltagirone. Il fondo Aristotele ha accumulato interventi milionari nelle infrastrutture degli atenei - pubblici e privati - italiani. Oltre alla residenza di Tor Vergata, il fondo d'investimento gestito dal principale azionista privato di Acea ha finanziato la facoltà di agraria di Napoli, l'università degli studi di Modena e Reggio Emilia, l'Ifo di Milano e il campus universitario di Bari.
La monnezza alla francese
«In cima alla piramide dei rifiuti ci sono le grandi imprese mondiali, come la Generale des eaux», raccontava nel 1998 un bizzarro personaggio, Guido Garelli, che amava presentarsi con il grado di Commodoro del Sahara Occidentale. Ha scontato una pena di 14 anni di reclusione e ai magistrati di Milano ed di Asti ha raccontato molto sul mondo dei rifiuti, partendo dall'Italia e arrivando in Somalia. Ora la Generale des eaux si chiama Veolia e di rifiuti se ne intende. In Italia - oltre ai campus universitari, alla gestione dell'acqua a Latina, in Calabria e in Sicilia - ha espresso una particolare vocazione per la monnezza. Da diversi anni Veolia gestisce gli inceneritori di Gioia Tauro in Calabria, di Falascaia in Versilia, di Brindisi, di Potenza e di Vercelli, molti dei quali acquistati dalla società spezzina Termomeccanica. E non sempre le cose sono andate per il verso giusto. Quando i tecnici mandati dalla sede di La Spezia del colosso parigino sono entrati negli impianti di incenerimento in provincia di Lucca si sono accorti che qualcosa non funzionava. I dati delle emissioni erano truccati, grazie alla correzione che veniva effettuata dagli operatori. Un sistema intollerabile, ha scritto l'ingegner Rossi - cognome italianissimo, ma datore di lavoro francese - che spiegava in un memorandum interno che era meglio ottimizzare quel sistema: «Si è rivelato necessario introdurre un nuovo artificio, al fine di poter mantenere l'impianto in funzionamento, consistente nel raccogliere i dati rilevati al camino e trasformarli, in modo continuo tramite l'inserimento del fattore di correzione (K) del valore 0,1», scriveva Paolo Rossi in un internal memo nel 2008. Oggi quell'impianto è definitivamente chiuso, divenuto una sorta di monumento a quella gestione della vita tanto cara alle multinazionali dell'acqua, dei rifiuti e dei servizi. Il caso di Falascaia non è il solo. Nel 2009 l'inceneritore di Brindisi - sempre gestito da Veolia - fu sequestrato dal Noe. Anche in questo caso il sistema di controllo delle emissioni aveva seri problemi, secondo le analisi dei carabinieri. E accanto agli impianti il Noe trovò mille fusti di scorie non identificate, di cui non fu possibile capire la provenienza.
Il cavallo di Troia
L'acqua è dunque solo la punta dell'iceberg, un cavallo di Troia che renderebbe accettabile ogni tipo di privatizzazione. La legge Ronchi punta - grazie anche alla consegna del silenzio - dritto al cuore dei servizi essenziali per la vita, aprendo culturalmente la strada alla privatizzazione diffusa e invasiva. Il referendum è una sorta di ultimo appello, di battaglia finale per bloccare la cessione della gestione dell'acqua potabile alle società multinazionali. C'è una ricorrenza che fa ben sperare: i 65 anni della Repubblica. Il mese di giugno del 1946 fu un referendum a sancire il valore repubblicano della nostra Costituzione. Dal 13 giugno probabilmente potremmo dire che l'Italia si fonda non solo sul lavoro, ma sulla difesa dell'essenziale della vita. Dalla nascita alla morte.
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