Il vuoto intorno
Claudio Volpe con il suo primo romanzo è riuscito a sorprendere tutti...
Diversi romanzi epistolari sono stati dedicati ai propri cari, nel tentativo forse di offrire in memoria una parte di sé inconfessabile o semplicemente per liberarsi da qualcosa o qualcuno, nel qual caso il referente è solo fittizio, una scusa. Kafka scrisse nel 1919 un lunga lettera al padre, pubblicata postuma qualche decennio dopo, senza la possibilità o forse anche senza la volontà di una comunicazione diretta, e quindi di una possibile risoluzione. Si rivolge al genitore di cui ha sempre avuto terrore, che teme e adora come si fa per i carnefici talvolta, quando non si hanno altre vie di fuga. Oriana Fallaci ha consegnato alla storia della letteratura un libro commovente e tormentato con “Lettera a un bambino mai nato” (1975), rivolgendosi di fatto a se stessa in quanto donna e a tutti coloro che possono con lei condividere l'enigma della vita e la scelta di generare. Di recente una straziante lettera è stata scritta dallo scrittore e pacifista israeliano David Grossman, che la dedica al figlio Uri, caduto giovanissimo nella guerra israelo-libanese del 2006.
Nel libro di Claudio Volpe, Achille scrive ad Ettore, figlio che effettivamente nasce, esiste; tuttavia, poiché affetto da una sindrome che lo limita, nel suo caso, fortemente nella capacità di comprendere, non potrà mai davvero interpretare le parole del padre. Eppure questo padre parla, confessa ogni cosa. Non crea un altare alla perfezione e alla bellezza del figlio, che nonostante tutto rende perfetto e bello vestendolo di amore. Parla invece della sua imperfezione di uomo, dei suoi cedimenti, del suo baratro e della risalita. Perché di fronte a un figlio, ecco l'atto più coraggioso, non esiste un padre onnipotente creatore della perfezione; di fronte a un figlio l'amore più grande si manifesta lacerandosi l'anima e svelandola senza segreti, parlando senza pudore di quel vuoto intorno che si è cercato invano di esorcizzare riempendolo con ogni azione, anche la più scellerata nei confronti di se stessi.
Il vuoto intorno esiste, quindi, come afferma il titolo del libro, esiste e va guardato negli occhi. Altro che visione aristotelica del riempimento totale di ogni spazio; la scoperta di Otto von Guericke (1650) lo aveva smentito alla grande e da allora, filosofi, scienziati, uomini comuni hanno dovuto fare i conti con l'horror vacui dell'esistenza. Solo l'arte ha offerto sollievo. Lo diceva Mario Praz, pensando alle case vittoriane stipate di oggetti; ce ne hanno un esempio i più antichi manoscritti miniati e il fitto gioco di figure nei quadri del Medioriente e d'Oriente. E così anche il pop surrealism degli anni '70 e l'Art Brut, o arte non convenzionale, in voga negli stessi anni negli ospedali psichiatrici. Riempire, riempire, altrimenti è troppo doloroso stare nel vuoto e averlo tutto intorno.
“Il vuoto è sempre stato il mio problema, il mio fardello inabilitante. Noi viviamo con la paura del vuoto, lavoriamo, amiamo, creiamo, facciamo arte, facciamo guerre, ci uccidiamo, per paura di venire divorati da quel maledetto vuoto affamato. La nostra storia è scandita dal vuoto. Per sconfiggere il vuoto della comunicazione abbiamo imparato a parlare, per combattere il vuoto del buio abbiamo imparato ad accendere il fuoco, per paura del vuoto della solitudine abbiamo imparato ad amar. Ma per quanto possiamo lottare, per quanto possiamo buttare il nostro sangue per azzerare quel vuoto, lui è sempre al suo posto accanto a noi.” E solo dopo aver tentato invano di colmarlo ammette: “Ho capito che l'unica via di salvezza, l'unica possibilità di redenzione, sarebbe stata farlo oscillare. Il vuoto che oscilla e che trema: questa è la strada.” Un'oscillazione quindi, una vibrazione lunga che intercorre tra più esseri e fonda la solidarietà, questa la via d'uscita. Accettare che il vuoto ci sia e affrontarlo insieme col sorriso, come avviene nella fiaba cinese riportata nel testo, non a caso raccontata ad un Achille ancora ragazzino da uno scultore, l'artista maturo per eccellenza che ha imparato a dare una forma alla materia plasmandola secondo la visione di felicità che lo alberga dentro. Lo scultore che fa nascere lentamente dall'argilla la vita e non “vomita” di getto la sua rabbia come farebbe uno scrittore, sembra suggerire l'autore.
Nella fiaba si racconta che un sant'uomo abbia chiesto a Dio di mostrargli il paradiso e l'inferno; lo scenario che si presenta pare identico: gli uomini seduti intorno ad un tavolo hanno dei cucchiai lunghissimi collegati alle braccia, in modo tale che non possono nutrirsi da soli. Quindi nell'inferno gli uomini sono emaciati e affranti, nel paradiso felici e in carne. Come è possibile? Con la solidarietà è possibile tutto, da soli non ci si può nutrire ma si può nutrire il vicino e questi farà lo stesso con noi. “Inferno e paradiso sono uguali nella struttura. La differenza la portiamo dentro di noi!” I temi affrontati dal romanzo dello scrittore esordiente, e già maturo, Claudio Volpe, sono talvolta duri da digerire: la violenza sui bambini, l'handicap, il sesso prostituito, l'accettazione dell'altro (in particolare degli zingari).
Le pagine scorrono emozionando e facendo riflettere sull'ipocrisia della cosiddetta normalità, sui sistemi falsi fondati sulle gerarchie genetiche (i figli non si dice forse che sono di chi li cresce e non di chi li fa?), sulla spiritualità come bisogno universale. E infine rimane la confessione fiume di un padre che ama il figlio, la storia misteriosa di come dal dolore possa generarsi vita e di come questa vita possa addirittura farsi felicità autentica.
Il libro di Claudio Volpe è edito da Edizioni Il Foglio di Piombino: www.ilfoglioletterario.it E' stato presentato in occasione della rassegna Libri da Scoprire di Latina, con uno straordinario successo di vendite. Prosegue ora il tour in Italia. Prima tappa Pontinia, città in cui l'autore vive.
Rosa Manauzzi
http://www.parvapolis.it/page.php?id=53503
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