IL RAPPORTO
Wwf lancia l'emergenza risorse
"Nel 2030 ci vorranno 2 Terre"
Il Living Planet Report del 2010 indica un'accelerazione del consumo di fonti disponibili rispetto a quelle che si rigenerano e un depauperamento sempre più rapido. I maggiori squilibri negli Emirati, Usa, Belgio e Danimarca. Lo stile di vita dell'Italia richiederebbe una media di 2,8 pianeti
di ANTONIO CIANCIULLO
Consumiamo un pianeta e mezzo, cioè utilizziamo più risorse di quelle che si rigenerano e colmiamo la differenza divorando il patrimonio naturale della Terra. Nel 2030, in assenza di una drastica correzione di rotta, arriveremo ad aver bisogno di due pianeti. Sono i dati contenuti nel Living Planet Report, il rapporto biennale realizzato dal Wwf in collaborazione con la Zoological Society di Londra e il Global Footprint Network. Il volume, frutto di un lavoro di due anni di ricerca, esamina la situazione non dal punto di vista ambientale ma anche economico. Ecco i punti principali.
BIODIVERSITA'. Nell'anno internazionale della biodiversità, a pochi giorni dall'apertura della Conferenza di Nagoya che dovrà decidere le nuove strategie per fermare il tasso di perdita della biodiversità al 2020, il quadro è preoccupante. L'obiettivo della Convenzione sulla Biodiversità, proteggere il 10% di ogni regione ecologica, è stato raggiunto solamente nel 55% delle ecoregioni terrestri. Dal 1966 la pressione umana è raddoppiata, mentre lo stato di salute delle specie globali è diminuito del 30 per cento. Questo 30 per cento è una media tra il miglioramento nella zona temperata (più 29 per cento rispetto al 1979) ottenuto grazie agli sforzi nel campo della conservazione e un declino che ai tropici arriva al 60 per cento.
L'IMPRONTA ECOLOGICA. Per vivere entro i limiti della capacità del pianeta senza compromettere le generazioni future bisognerebbe che ogni abitante del pianeta si accontentasse di 1,8 ettari per ottenere le risorse di cui ha bisogno e per smaltire i rifiuti. Non è così. Se tutti adottassero lo stile di vita di un abitante medio degli Emirati Arabi ci vorrebbero 6 pianeti a disposizione, con lo stile di vita di Stati Uniti, Belgio e Danimarca ce ne vorrebbero 4,5, per Canada e Australia 4. Ma anche l'Italia - osserva il rapporto - non brilla per leggerezza: a ciascun italiano servono infatti ben 5 ettari globali per soddisfare il suo stile di vita, un valore equivalente alla capacità produttiva di 2,8 pianeti, che ci porta al 29° posto della classifica, subito dopo Germania, Svizzera e Francia, ma molto prima dei più virtuosi Regno Unito, Giappone e Cina.
ECONOMIA. La crisi economica che stiamo vivendo s'intreccia con la minaccia di bancarotta ecologica. Sovrappopolazione, sprechi, disattenzione hanno portato a un saccheggio crescente delle materie prime e delle fonti energetiche che oggi hanno un andamento fortemente instabile dal punto di vista dei prezzi e disastroso dal punto di vista ambientale: la depurazione dell'acqua, la fertilità del suolo, la stabilità dell'atmosfera (e quindi del clima) sono servizi gratuiti che la natura offre e che la crescita umana senza controllo sta minando. "I paesi che mantengono alti livelli di dipendenza dalle risorse naturali stanno mettendo in pericolo le loro stesse economie - ricorda Mathis Wackernagel, presidente del Global Footprint Network - I paesi che riescono a garantire la migliore qualità di vita con la minore pressione sulla natura non solo aiuteranno gli interessi globali, ma saranno leader in un mondo dalle risorse sempre più ristrette."
LA DIRETTA. La presentazione del rapporto è avvenuta in diretta mondiale webcast con la partecipazione della giornalista di Al Jazeera Veronica Pedrosa. A Repubblica Tv 1, due esperti del Wwf (il direttore scientifico Gianfranco Bologna e la responsabile per la sostenibilità Eva Alessi) hanno risposto in diretta alle domande che hanno insistito molto sulle possibilità concrete di azione per superare sia la crisi ambientale che quella economica.
(13 ottobre 2010) © RIPRODUZIONE RISERVATA
INDICE DEI LINK
1. Repubblica Tv — http://tv.repubblica.it/copertina/come-sta-il-pianeta-il-rapporto-wwf/54711?video=&ref=HRER2-1
I consumi insostenibili dei Paesi più ricchi dipendono largamente dallo sfruttamento delle risorse dei Paesi più poveri,Per la prima volta il Living Planet Report 2010 ha incrociato i trend delle specie e dell’impronta ecologica con i redditi dei singoli Paesi, mostrando come i Paesi a più alto reddito hanno un’impronta ecologica pari a circa 5 volte quella dei Paesi a basso reddito, che subiscono invece la maggiore perdita di biodiversità.
Una maggiore impronta ecologica e un alto livello di consumi non corrispondono necessariamente a un più alto livello di sviluppo.
Il Perù, per esempio, ha un’impronta ecologica pro-capite di 1,5 ettari globali, in linea quindi con la capacità del pianeta, e un Indice di sviluppo umano di 0,86 che rientra nei parametri di aspettativa di vita, reddito e livello di educazione stabiliti dall’ONU. L’Indice dello Sviluppo umano può quindi essere alto anche in Paesi con un’impronta ecologica moderata.
La perdita di biodiversità
Se l’Indice delle specie registra un certo miglioramento nella zona temperata (+ 29%) rispetto al 1970, per i migliori sforzi nella conservazione e nel controllo dell’inquinamento e perché deforestazione e cambiamenti di uso del suolo qui sono avvenuti soprattutto prima del 1950, ai tropici si registra un declino del 60% e fino al 70% per le specie di acqua dolce, il tasso più alto tra tutte le specie terrestri e marine considerate.
Ma nella complessa rete delle connessioni ecologiche la perdita di biodiversità è sintomo e sinonimo del cattivo stato di salute degli ecosistemi e implica un peggioramento dei servizi eco-sistemici che sono alla base della nostra vita e del nostro benessere: la fornitura di cibo, materie prime e medicine, la regolazione del clima, la depurazione di acqua e aria, la rigenerazione del suolo, l’impollinazione delle piante, la protezione da inondazioni e malattie. Basti pensare che circa il 75% delle 100 principali colture a livello mondiale fa affidamento sugli impollinatori naturali, che oltre metà degli attuali composti medici di sintesi provengono da precursori naturali, e che gli ecosistemi terrestri riescono a immagazzinare ben 2.000 miliardi di tonnellate di carbonio, dando un contributo preziosissimo anche alla lotta al cambiamento climatico.
L’impronta ecologica dell’uomo, ovvero la domanda di risorse naturali necessarie per le nostre attività, è in costante aumento e va ben oltre la capacità del pianeta di rigenerare le proprie risorse.
Dal 1966 l’impronta ecologica globale è raddoppiata, l’impronta di carbonio è aumentata addirittura di 11 volte, rappresentando oggi oltre la metà dell’impronta ecologica globale, l’impronta idrica è in costante aumento e considerando l’acqua “virtuale” contenuta nei prodotti commercializzati internazionalmente, ha impatti e ricadute su fiumi e falde acquifere di tutto il mondo (un abitante del Regno Unito, per esempio, consuma 150 litri di acqua al giorno, ma il consumo nel Paese di prodotti esteri porta questo valore fino a 4.645 litri di risorse idriche mondiali al giorno).
Considerando le aree necessarie a fornire le risorse che utilizziamo, la superficie occupata dalle infrastrutture e quella necessaria ad assorbire i rifiuti che produciamo, comprese le emissioni di CO2, basterebbe che ogni abitante del pianeta si “accontentasse” di 1,8 ettari globali per vivere entro i limiti della capacità del pianeta senza compromettere le generazioni future. E invece la stragrande maggioranza dei Paesi, in particolare le nazioni più ricche, superano di gran lunga questa misura arrivando a picchi di oltre 10 ettari globali pro capite.
Complessivamente, i 31 Paesi dell’OCSE, che includono le economie più ricche del mondo, sono responsabili di circa il 40% dell’impronta globale. L’unico tra i Paesi europei a rientrare nei limiti del pianeta è la Repubblica Moldava, mentre a chiudere la classifica con impronte da “cenerentola” sono Bangladesh, Afghanistan e Timor-Est. Considerando che nel 2050 la popolazione globale supererà con ogni probabilità i 9 miliardi, rientrare nei limiti del pianeta e investire nel capitale naturale è una scelta quanto mai urgente.
Come fare?
Il WWF ha elaborato un decalogo per il futuro sostenibile e la green-economy in cui ognuno ha un suo ruolo, a partire dall’elaborazione di nuovi indicatori di sviluppo all’aumento delle aree protette e della capacità produttiva del pianeta, dagli accordi internazionali per la distribuzione equa delle risorse, fino alle scelte individuali nella dieta e nei consumi di energia.
SCARICA IL PDF DEL LIVING PLANET REPORT 2010 (pdf, 13.8Mb) >>
http://www.wwf.it/client/render.aspx?content=0&root=6241
Calcola la tua impronta di carbonio e fai una spesa “a prova di CO2” >>
I progetti del WWF con le imprese verso un futuro sostenibile >>
Nessun commento:
Posta un commento