Allarme vero e messaggi fasulli di ANTONIO CIANCIULLO
C'è una famosa vignetta ecologista che raffigura un signore appollaiato sulla cima di un albero molto alto mentre con una sega taglia il ramo che lo sostiene. Un'immagine per rendere il paradosso di un'umanità che non si accorge del danno che si sta autoinfliggendo con la devastazione degli ecosistemi su cui poggia la nostra società. A quel paradosso se ne sta ora aggiungendo un altro. Dopo molti anni di allarmi ignorati, ci siamo finalmente accorti di essere in posizione precaria e pericolosa. A questo punto sembrerebbe ovvio buttar via la sega e pensare alla maniera migliore per riparare il danno, e invece c'è chi si arrovella in calcoli complessi per misurare quante ore ancora potrà resistere quel ramo sottoposto alla morsa dei denti d'acciaio: qualcuno sostiene che il ramo cederà fra tre ore, altri dicono che non bisogna esagerare e ci vorranno tre giorni.
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E' il dibattito sul catastrofismo, che in Italia si intreccia alla vague anti politica che porta a mettere nello stesso calderone l'eccessivo peso (e costo) della burocrazia e le dichiarazioni ambientaliste di leader come Gore, Cameron, Sarkozy, Bloomberg, tutti accusati di cavalcare l'onda delle preoccupazioni ecologiste per guadagnare qualche voto.
Un caos di informazione che rischia di diventare un boomerang disorientante. Vale quindi la pena di tracciare la mappa del buon senso. Cominciamo dal giudizio della comunità scientifica. I cultori della teoria del catastrofismo come pericolo incombente amano tirare per la giacchetta anche l'Ipcc, la task force degli scienziati Onu, per accomodarla ai loro desideri. Per sintetizzare le posizioni Ipcc conviene dare la parola al suo presidente, Pachauri, che il 10 dicembre, ritirando il premio Nobel ha detto: "Essere negligenti nella difesa delle risorse naturali che abbiamo ereditato potrebbe rivelarsi estremamente pericoloso per la specie umana e per le altre specie che condividono con noi la Terra".
Sono eccessive queste dichiarazioni? Rappresentano la sintesi di un rapporto che è stato approvato dalle Nazioni Unite con il metodo del consenso. Significa che sul parere vagliato da oltre duemila scienziati si sono trovati d'accordo anche i governi più restii agli impegni contro i gas serra: dagli Stati Uniti ai paesi produttori i petrolio. Cioè che l'evidenza di quelle considerazioni è innegabile. Ma c'è di più. Se si va a parlare con i glaciologi, si scopre che il quadro offerto dall'Ipcc ha sempre peccato di ottimismo.
Il terzo rapporto ha ipotizzato uno scenario meno drammatico di quello che è realmente successo da allora ad oggi. E se si va a guardare il gioco delle note di questo quarto rapporto si scopre che la valutazione sull'innalzamento dei mari non tiene conto della minaccia più consistente: i picchi improvvisi che, come durante l'ultimo periodo interglaciale, possono accelerare i processi di fusione delle calotte polari.
Non ne tiene conto anche perché il quadro delle conoscenze sta cambiando con una velocità impressionante e solo dal 2005, cioè a cavallo del periodo tenuto in considerazione dal quarto rapporto, stanno emergendo i dati che mostrano come il disequilibrio della criosfera, del mondo del ghiaccio, stia galoppando a ritmo imprevisto. Se questi dati verranno confermati, la dimensione temporale del rischio di un aumento di alcuni metri del livello dei mari potrebbe passare dall'arco dei millenni a quello dei secoli. Può sembrare ancora un tempo molto lungo, ma se guardiamo indietro a una distanza analoga dobbiamo riconoscere che non avremmo apprezzato che i monaci benedettini invece di lasciarci in eredità i manoscritti sui testi sacri ci avessero regalato un altro diluvio universale.
Il rischio c'è: il parere della comunità scientifica (nonostante i regali da diecimila euro dei gruppi di pressione pro oil per ogni articolo scettico) è netto. Nel quarto rapporto Ipcc si ricorda che 11 degli ultimi 12 anni sono stati più caldi nella storia della meteorologia: il riscaldamento viaggia sempre più veloce e se arriverà a tre gradi (la stima media) un terzo delle specie viventi sarà minacciato. E' catastrofismo ricordarlo?
Oppure è il caso di considerare la catastrofe uno degli scenari possibili, quello che corrisponde all'assenza di azioni correttive, e concentrarsi sulle soluzioni? La risposta è ovvia, ma mentre in paesi come la Francia, la Germania, la Gran Bretagna è già partito il dibattito sulle misure concrete per ridurre i gas serra prodotti dall'uso di combustibili fossili e dalla deforestazione (efficienza energetica, trasporto su ferro, fonti rinnovabili, stili di vita meno dispendiosi) in Italia gli atti virtuosi sono pochi e non tenuti assieme da una visione strategica della riconversione produttiva.
Inoltre la vecchia guardia energetica sogna ancora il nucleare (che all'elenco dei problemi irrisolti ha aggiunto il nuovo rischio legato alla crescita del terrorismo) e una parte del movimento ambientalista è arroccata dietro un muro di no che non offre prospettive né speranze. Catastrofica non è la conoscenza del rischio ma l'incapacità di reagire. E questa è una catastrofe che può essere evitata.
(24 dicembre 2007) http://www.repubblica.it/2007/12/sezioni/ambiente/ottimismo/commento-antonio-cianciullo/commento-antonio-cianciullo.html
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