ricevo e pubblico
Sentenza T.A.R. del Lazio del 18.02.2022 N. 01995/2022 REG. PROV. COLL. N. 02958/2019 REG. RIC.
"Tanto premesso, applicando il punto percentuale (€. 2.217,01) relativo all’età del ricorrente (53 anni) al momento della proposizione della domanda, la percentuale di invalidità del 10 (cioè quella massima stimata dal CTU nella consulenza fatta propria nella sentenza n. 1242/2021) comporta il riconoscimento, a titolo di danno biologico, di €. 20.671,00, cui vanno aggiunti interessi e rivalutazione monetaria sino al soddisfo."
Mi vergogno di essere cittadino italiano.
Ho servito il mio Paese e in tempo di pace sono stato condannato a morte da uno Stato che ora quantifica il prezzo della mia vita E. 20.671,00 peraltro commettendo l'ennesimo clamoroso errore, atteso e considerato che la massima stimata dalla CTU nella consulenza fatta propria nella sentenza n. 1242/2021 non è del 10%, ma del 50%. Appare del tutto evidente che si vorrebbe anche negarmi i vitalizi, nonostante un Tribunale abbia nominato una CTU e sentenziato che sono invalido al 50% per la "Vittima del Dovere." Sono mortificato, moralmente distrutto come uomo, come marito e come padre, e temo il peggio. Hanno vinto i poteri forti, quelli che mi hanno fatto la guerra da dieci anni a questa parte per aver osato denunciare e liberare dall'amianto i miei colleghi, che, altrimenti, sarebbero rimasti esposti ad uno dei più micidiali cancerogeni del pianeta, con quelle inevitabili conseguenze che sto vivendo sulla mia pelle assieme alla mia famiglia. A questo punto, non so proprio più come fare ad andare avanti. Ancora una volta assistiamo ad una plateale offesa alla persona umana, dove essere dichiarato invalido al 10%, non mi consente di poter gridare al miracolo. Grave è asserire che tale punteggio d'invalidità totale mi è stato attribuito da una CTU, richiamando una sentenza nella quale invece risulta una invalidità del 50%. Nessun risarcimento potrà mai restituirmi la salute, la vita che mi è stata privata, la sofferenza che ho vissuto e sto vivendo e stanno vivendo mia moglie e i miei bambini, ma è acclarato che tutti sono stati risarciti a dovere, anche chi non versa nelle mie precarie condizioni. Improvvisamente, dopo aver cercato di negarmi qualsiasi diritto a qualunque costo, si arriva a negare l'evidenza di fatti inoppugnabili, anche quella malattia ingravescente e incurabile che purtroppo mi ha colpito giovane e conduce alla morte. Questa, non è giustizia!
Vittima del Dovere
Il Tar del Lazio riconosce un ulteriore risarcimento al finanziere di Latina, Antonio Dal Cin. Ventimila euro che suonano, però, come una beffa
Dal Cin: “Ho servito il mio Paese e in tempo di pace sono stato condannato a morte da uno Stato che ora quantifica il prezzo della mia vita in 20.671 euro”
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https://onanotiziarioamianto. it/risarcimento-dal-cin-tar- lazio/?fbclid= IwAR2xuxRb7ya2R0_BLPrJu7_ pqyCq3Z9grzLcbw7sauDHqWZuIN- TJWwo-7E
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2958 del 2019, proposto da
Antonio Dal Cin, rappresentato e difeso dall'avvocato Ezio Bonanni, con domicilio
digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, via
Crescenzio, 2;
contro
Ministero dell'Economia e delle Finanze, Guardia di Finanza - Comando Generale,
rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati in Roma, via
dei Portoghesi, 12;
per l’accertamento
del danno biologico e del danno esistenziale e per il conseguente risarcimento.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze
e del Comando Generale della Guardia di Finanza;
Visti tutti gli atti della causa;
N. 02958/2019 REG.RIC.
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2022 il dott. Angelo Fanizza e
uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso ritualmente proposto il sig. Antonio Dal Cin, appuntato scelto della
Guardia di Finanza in servizio dal 20.9.1991 all’8.1.2014, ha adìto questo Tribunale
per ottenere l’accertamento e il risarcimento del danno biologico e del danno
esistenziale quale conseguenza della violazione, da parte del Ministero
dell’Economia e delle Finanze, dell’art. 2087 del codice civile, del DPR 303/1956 e
del DPR 547/1955, del d.lgs. 277/1991, del d.lgs. 626/1994 e del d.lgs. 81/2008:
danni quantificati in €. 1.131.568,50 (danno non patrimoniale) e in €. 500.000,00
(danno patrimoniale), e quindi complessivamente in €. 1.631.568,50, ovvero per
l’importo maggiore o minore da accertarsi, anche in via equitativa, in sede
giurisdizionale, ed eventualmente al netto dell'importo di €. 11.350,00 erogato a
titolo di speciale elargizione ai sensi della legge 302/1990.
Il ricorrente ha precisato di aver svolto, dapprima (dal 2.8.1992 al 22.11.1992),
servizio presso il Gruppo della Guardia di Finanza di Ferrara - distaccamento di
Bondeno (FE) e, nel periodo dal 20.9.1992 al 18.1.2004, le mansioni di vigilanza
doganale – tranne che per un intermezzo temporale di 180 giorni dal 12.11.2003 al
4.7.2004 – presso la Brigata della Guardia di Finanza di Prosecco (TS) (cfr. pag. 4),
e ciò in un ambiente che sarebbe stato malsano tenuto conto che “presso il sito ove
il ricorrente ha svolto attività di servizio e alloggiato per ragioni di servizio, esiste
un imponente impianto di incenerimento, di rilevante importanza per l’intera
Regione Friuli Venezia Giulia e per la stessa dogana di Prosecco (TS). Detto
impianto, nel periodo in esame (1992-2004), è stato praticamente sempre in
funzione per sopperire alle esigenze della dogana e, tutti gli animali (ovini, bovini,
equini, etc.) giunti morti per “stress da viaggio” e/o che sono stati abbattuti in
loco, sono stati inceneriti insieme ad altre merci di varia natura”; e che “anche
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negli spazi doganali adiacenti” alla caserma vi sarebbe stata una “enorme quantità
di fibrocemento, meglio conosciuto come eternit, che rivestiva manufatti di vaste
proporzioni e di vecchia costruzione, adibiti al ricovero di animali vivi provenienti
dai paesi dell’Est Europa” (cfr. pag. 5).
Il ricorrente ha soggiunto che nell’ultimo periodo di permanenza a Prosecco ha
svolto “periodica attività di servizio presso la dogana di Fernetti (TS) - Sezione di
Villa Opicina (TS) Valico Ferroviario Internazionale di 1^ Categoria di Villa
Opicina (viaggiatori e merci), dove ha eseguito i controlli a bordo dei treni
“viaggiatori” in uscita e/o entrata Stato”: convogli che sarebbero stati “carichi di
amianto” e “comunque lasciati in sosta a breve distanza dall’omonima caserma”
(cfr. pag. 6).
Il ricorrente ha, poi, lamentato che “durante l’attività di servizio l’Amministrazione
della Guardia di Finanza abbia fornito soltanto una tuta, come quella in uso ai
meccanici, su cui è stato ordinato di collocare lo stemma delle “Fiamme Gialle”, il
cinturone con la fondina, la pistola di ordinanza e il cappello, dunque nessuna
maschera protettiva” (cfr. pag. 9).
Pertanto, in data 14.10.2013 il ricorrente ha presentato una domanda finalizzata al
riconoscimento della “dipendenza della causa di servizio in relazione alle
menomazioni della sua integrità psicofisica”; in data 3.6.2014 la Commissione
Medico Ospedaliera di Roma ha diagnosticato al ricorrente “1) disturbo ansioso
disadattativo con tratti labilità ed ambivalenza emotivo affettiva confermato al test;
2) ipertensione arteriosa cronica con extrasistole in attuale compenso
farmacologico; 3) diabete mellito; 4) bronchite cronica asmatiforme con pregresse
manifestazioni di edema della glottide in soggetto con asbestosi pleurica”,
giudicandolo “non idoneo permanentemente al servizio (...) in modo assoluto e da
collocare in congedo assoluto”: menomazioni ascritte alla categoria settima.
A ciò ha fatto seguito il parere n. 354 del 23.12.2015 del Comitato di Verifica per
le Cause di Servizio, il quale ha valutato che la bronchite cronica non sarebbe stata
riconducibile ad attività lavorativa ai sensi degli artt. 11 e 12 del DPR 461/2001;
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che il disturbo ansioso non sarebbe stato dipendente da fatti di servizio, trattandosi
di “forma di nevrosi che si estrinseca con disturbi di somatizzazione attraverso i
canali neurovegetativi, scatenata spesso da situazioni contingenti che si innescano,
di frequente, su personalità predisposta”; che, invece, l’asbestosi pleurica sarebbe
stata dipendente da fatti di servizio “in quanto dall’esame della documentazione
sanitaria e dagli atti allegati è dato ravvisare, il nesso di causalità utile tra
l’infermità denunciata dal richiedente e riscontrata dalla Commissione Medica con
l’attività di servizio prestata e che, comunque, gli elementi e le circostanze di fatto
evidenziati si prospettano in rapporto di valida efficienza eziopatogenetica con
l’insorgenza e la evoluzione della predetta affezione”.
Il ricorrente ha, peraltro, precisato che con successivo parere del 26.10.2016 il
Comitato di Verifica ha compendiato il giudizio di dipendenza dichiarando
riconducibile l’asbestosi pleurica alle “particolari condizioni ambientali ed
operativi di missione, previste dall’art. 1 comma 1, lettera C del D.P.R. 7 luglio
2006, n. 243 e risultanti dagli atti, le quali hanno esposto il dipendente a
circostante straordinarie e fatti di servizio caratterizzati da maggiori rischi in
rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di Istituto ponendosi
quali causa ovvero quanto meno con causa efficiente e determinante della
patologia suddetta” (cfr. pag. 12).
Il sig. Dal Cin ha, altresì, rappresentato che con decreto del 12.6.2018 il Ministero
dell’Interno lo ha riconosciuto come equiparato a “vittima del Dovere”, concedendo
allo stesso, a titolo di speciale elargizione ai sensi della legge 302/1990, la somma
di €. 11.350,00, e ciò sulla scorta del verbale del 27.4.2015 con cui la Commissione
Medica Ospedaliera Speciale Vittime del Terrorismo e della Criminalità
Organizzata, su richiesta della Prefettura di Latina – Ufficio Territoriale del
Governo Area 1, ha quantificato l’invalidità del ricorrente nella percentuale del 5%
con riferimento alla capacità lavorativa.
La predetta quantificazione, ritenuta dallo stesso ricorrente “esigua” (cfr. pag. 12),
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lo ha indotto ad intraprendere un giudizio, iscritto al RGNR 3985/2015, innanzi il
Tribunale del Lavoro di Latina: controversia pendente al momento del deposito del
ricorso e definita prima del passaggio in decisione.
Sul presupposto della sussistenza della giurisdizione amministrativa, ha dedotto i
seguenti motivi a fondamento del ricorso:
1°) violazione dell’obbligo di sicurezza di cui agli artt. dell’art. 2087 del codice
civile e dell’art. 32 della Costituzione, in combinato disposto con le norme di cui
agli artt. 1218, 1453, 2043 e 2059 del codice civile; degli artt. 2, 3, 4, 32, 35, 36 e
41 della Costituzione.
Il ricorrente ha lamentato che “non solo non è stato riconosciuto il disturbo
psichico (...), ma il Ministero dell’Interno ha versato (...) l’esiguo importo di €.
11.350,00 a titolo di speciale elargizione, senza che gli fosse riconosciuto l’equo
indennizzo e soprattutto l’integrale risarcimento dei danni” (cfr. pag. 16), in
sostanza evidenziando l’illecito civilistico imputato alla parte datoriale pubblica e
sotteso all’assenza di qualsiasi misura precauzionale volta a ridurre l’incidenza del
rischio specifico connesso alle mansioni svolte, nonché la mancata adozione,
sempre da parte del datore di lavoro pubblico, degli accorgimenti tecnici resi
indispensabili per la tutela del personale, previsti dalle normative speciali (DPR
303/1956; DPR 547/1955; d.lgs. 277/1991; d.lgs. 626/1994; d.lgs. 81/2008).
Ha, inoltre, evidenziato “la concreta preoccupazione e la lucida consapevolezza di
avere poco da vivere, sia perché l’asbestosi, al pari di tutte le altre patologie
asbesto correlate, è mortale anche in seguito ad arresto cardiocircolatorio e anche
perché in molti casi vi è una degenerazione in mesotelioma e cancro polmonare,
patologie neoplastiche difficilmente trattabili”, sottolineando di aver riscontrato
“un innalzamento del marcatore tumorale CEA” (cfr. pag. 18): una situazione
fortemente incidente sul piano familiare (il ricorrente è sposato ed ha due figli
minorenni), finanziario (il reddito, unico disponibile, è di €. 16.928,36) e personale
(la moglie sarebbe “affetta da sclerosi multipla”, cfr. pag. 19).
2°) Violazione dell’art. 2087 del codice civile.
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Il ricorrente ha dedotto che nella specie sarebbe ravvisabile una responsabilità per
inadempimento “ex art. 2087 c.c. per effetto delle infermità di cui sopra, e quindi
obbligo risarcitorio prima di tutto a titolo contrattuale (...) e, in via alternativa e
subordinata, anche a titolo di responsabilità extracontrattuale, ex art 2050 c.c. e/o
2051 c.c., ovvero aquiliana, ex art. 2043 e 2059 c.c., oltre alla c.d. responsabilità
civile da reato (in questo contesto fatta valere ai fini meramente risarcitori), in
relazione alle norme di cui agli artt. 590, 185 e 187 c.p.” (cfr. pag. 21).
Il ricorrente ha, poi, richiamato alcune pronunce della giurisprudenza,
stigmatizzando il nesso eziologico tra la condotta omissiva e il danno patìto sul
presupposto che “l’esposizione professionale ad amianto (...) è avvenuta solo e
soltanto nel sito della resistente amministrazione a causa dell’assenza di misure di
prevenzione tecnica e di protezione individuale” (cfr. pag. 28).
Con riferimento al danno patrimoniale, ha fatto presente che “in seguito
all’insorgenza delle patologie, in particolare di quelle già riconosciute causa di
servizio e vittima del dovere (asbestosi pleurica, tendenzialmente mortale), ed in
seguito a tutti quanti i comportamenti meglio evidenziati e descritti nel ricorso al
Giudice del lavoro del Tribunale di Latina (...), il militare è stato posto in congedo
perché totalmente inabile”; da ciò inferendo “una perdita netta di reddito, oltre che
un mancato avanzamento in carriera”, da risarcire anche alla luce del fatto che
avrebbe potuto conseguire “un più elevato stipendio” (cfr. pag. 29).
Quanto al pregiudizio non patrimoniale, ha sostenuto di aver subìto un danno
biologico “pari al 100%, ovvero all’80%” (cfr., ancora, pag. 29), nonché “danni
morali compresi nell’80% a causa della modificazione radicale della sua identità
personale”, visto che “il ricorrente ha perso il lavoro, gli è stato diagnosticato un
male gravissimo con la necessità di continui controlli sanitari” (cfr. pag. 30).
In sintesi, il ricorrente ha quantificato i danni, con applicazione delle tabelle del
Tribunale di Milano, in “€. 754.379,00 con personalizzazione pari al 50% e quindi
complessivamente € 1.131.568,50”, salva diversa valutazione del TAR, anche in
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via equitativa, per il danno non patrimoniale; e, per il danno patrimoniale, “un
importo annuale di €. 20.000,00 per tutto il tempo in cui questi presumibilmente
avesse potuto continuare a svolgere la sua attività di servizio nella Guardia di
Finanza (quindi circa 60 anni). Tenendo conto che è stato congedato all’età di 45
anni, ne discende che il danno patrimoniale per la diminuzione dell’entità del
reddito da lavoro, al netto della pensione, è di €. 300.000,00” (cfr. pag. 33).
Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Economia e della Finanze e il
Comando generale della Guardia di Finanza (12.6.2020).
In vista dell’udienza di discussione del ricorso nel merito, fissata per il 9 febbraio
2022, il ricorrente ha depositato una memoria nella quale ha reso noto che il
Giudice del Lavoro di Latina ha parzialmente accolto la sua domanda con sentenza
n. 1242 del 25 novembre 2021: in particolare l’Amministrazione è stata condannata
alla “riliquidazione in favore della parte ricorrente della speciale elargizione
prevista dall'articolo 5, comma 1, della legge n. 206/2004, già attribuitagli con
decreto del 12.06.2018, in riferimento alla invalidità complessiva del 50%, nella
misura e con la decorrenza di legge, detratte le somme già corrisposte al medesimo
titolo, oltre la maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria, dalla
maturazione al soddisfo”, nonché, “a decorrere dalla domanda amministrativa,
dello speciale assegno vitalizio mensile di € 1.033,00 e dell’assegno vitalizio
mensile di € 500,00, con relativa perequazione automatica, oltre accessori di
legge”.
All’udienza pubblica del 9 febbraio 2022 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto, ancorché nei limiti di seguito precisati.
Non può che essere addebitata al Ministero resistente una colpa specifica per la
violazione di leggi e regolamenti concernenti la sicurezza sul lavoro, tenuto conto
che l’amianto è stato completamente bandito dalla legge 257/1992, la quale prevede
che “sono vietate l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la
commercializzazione e la produzione di amianto, di prodotti di amianto o di
prodotti contenenti amianto” (art. 1, comma 2), stabilendo valori limite di
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concentrazione (art. 3) e obblighi di comunicazione, in capo alle imprese, circa la
durata delle esposizioni dei propri lavoratori nel corso dei processi produttivi (art.
9).
In seguito, l’art. 2 del d.lgs. 257/2006 ha aggiunto l’art. 59 decies al d.lgs.
626/1994: una norma di notevole impatto ai fini della sicurezza sul lavoro,
essendosi in essa previsto che “il valore limite di esposizione per l'amianto è
fissato a 0,1 fibre per centimetro cubo di aria, misurato come media ponderata nel
tempo di riferimento di otto ore”, soprattutto prescrivendosi che “i datori di lavoro
provvedono affinché nessun lavoratore sia esposto a una concentrazione di
amianto nell'aria superiore al valore limite” (comma 1) e soggiungendosi che, in
caso di superamento del predetto limite, lo stesso datore debba individuare “le
cause del superamento” e adottare “il più presto possibile le misure appropriate
per ovviare alla situazione”, stabilendosi, infine, che il lavoro possa proseguire
nella zona interessata solo all’esito dell’assunzione delle “misure adeguate per la
protezione dei lavoratori interessati” (comma 2).
Tale disciplina è rimasta inalterata nel d.lgs. 81/2008 (art. 254).
Per i fatti anteriori al 1992, tuttavia, la colpa del datore di lavoro che non abbia
provveduto ad adottare misure idonee all’abbattimento delle polveri di amianto,
ovvero alla protezione individuale dei lavoratori, è ricostruita dalla giurisprudenza
dando rilievo alla rinomata pericolosità dell’esposizione all’amianto.
Esemplificativa, sul punto, la sentenza della Corte di Cassazione, sez. lavoro, 21
settembre 2016, n. 18503, nella quale si è osservato come “ai fini del giudizio di
prevedibilità, deve aversi riguardo alla potenziale idoneità della condotta a
provocare danni, ma non necessita che l'agente si prefiguri lo specifico evento
concretamente poi verificatosi (Cass. 4, 5919/1991, Rezza; Cass. 4, 5037/2000,
Camposano; Cass. 4, 4675/07 Bartalini; Cass. 4, 21513/09, Stocchi). Il giudizio di
prevedibilità dell'evento in materia di malattie asbesto correlate non riguarda
soltanto specifiche conseguenze dannose che da una certa condotta possono
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derivare, ma si riferisce a tutte le conseguenze dannose che possono derivare da
una condotta che sia conosciuta come pericolosa per la salute (Cass.sez. 4,
11.7.2002 n. 988)”; si è, quindi, evidenziato che “la conoscenza della nocività
dell'amianto per la salute dell'uomo era nota e diffusa dall'inizio del 1900 (...);
mentre l'asbestosi - che è pure essa una malattia mortale o comunque produttrice
di una significativa abbreviazione della vita - è stata inserita nell'elenco tipizzato
delle malattie professionali dalla L. n. 455 del 1943”: un passaggio ricostruttivo di
indubbia rilevanza, essendosi concluso che “la valutazione della responsabilità
civile deve investire, anche nel caso di specie, non già l'attività di impresa in sé e
per sé considerata, bensì soltanto il modo con cui essa è stata esercitata. E senza
nessuna valutazione retrospettiva ("ora per allora" come pure afferma il giudice
d'appello nella medesima sentenza); bensì avendo esclusivo riguardo alle norme in
vigore al momento della condotta”.
Ad approdi non dissimili è pervenuta, altresì, la IV Sezione penale della Suprema
Corte, che nella pronuncia del 24 maggio 2012, n. 33311 (c.d. caso Fincantieri,
riguardante una fattispecie relativa a lavoratori che erano stati esposti dal 1987 a
“concentrazioni di fibre d'amianto superiori al limite di 2 fibre per millilitro
d’aria”) ha statuito che l’eventuale rispetto delle previsioni antinfortunistiche non
avrebbe potuto esonerare il datore di lavoro dall’obbligo di “mettere in atto tutte le
cautele del caso che la pericolosità del materiale trattato imponeva”, né,
tantomeno, avrebbe potuto assumere “pregnanza logica la critica secondo la quale
l'affermazione di colpevolezza avrebbe dovuto tener conto della differenziazione
del grado del rischio”.
Sussistono, quindi, i presupposti per accertare nei confronti del sig. Dal Cin un
danno dipendente da un’attività lavorativa posta in essere senza l’adozione di
adeguate misure precauzionali.
Venendo alla quantificazione del danno, occorre premettere:
a) che in occasione del procedimento conclusosi con il riconoscimento
dell’equiparazione alle vittime del dovere e con l’elargizione, ai sensi della legge
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302/1990, di €. 11.350,00, la Commissione Medica Ospedaliera Speciale Vittime
del Terrorismo e della Criminalità Organizzata ha quantificato l’invalidità del
ricorrente nella percentuale del 5% con riferimento alla capacità lavorativa;
b) nella domanda introduttiva del presente giudizio, di contro, il ricorrente ha
chiesto il riconoscimento di un danno biologico “pari al 100%, ovvero all’80%”,
nonché “danni morali compresi nell’80% a causa della modificazione radicale
della sua identità personale” (cfr. pag. 29);
c) che nella sentenza n. 1242/2021 il Giudice del Lavoro di Latina ha riconosciuto
“una invalidità complessiva – intesa come somma fra danno biologico, danno
morale e differenza ottenuta fra invalidità permanente e danno biologico: IC=
DB+DM+ (IP-DB) – pari al 50%”.
Preliminarmente, ritiene il Collegio che, alla luce della consulenza tecnico d’ufficio
disposta nell’ambito del giudizio sopra indicato e allegata agli atti del presente
giudizio, sia ultroneo disporre un ulteriore accertamento peritale.
Al designato CTU è stato, in particolare, posto il seguente quesito: “esaminati gli
atti ed i documenti di causa, effettuati gli accertamenti clinici del caso anche
attraverso l'esame diretto di parte ricorrente. ovvero a mezzo di altri medici
specialisti se ritenuto necessario, il c.t.u.: a) descriva le condizioni di salute psico-
fisiche del ricorrente; b) accerti in relazione alle patologie “asbestosi pleurica”,
"opacità del domo pleurico bilaterale" nonché "bronchite cronica asmatiforme" se
esse siano riconducibili sotto il profilo causale al tipo di attività svolta dal
ricorrente secondo le modalità descritte in ricorso; c) in caso di valutazione
positiva del quesito di cui al punto b), determini l'eventuale ascrivibilità tabellare
di cui al D.p.r. n. 834/ 1981". d) in caso di valutazione positiva del quesito di cui
al punto b), determini altresì se sussista lo status di "vittima del dovere”,
calcolando il danno biologico e morale secondo i criteri dettati e le tabelle
richiamate dal DPR 181/2009”.
Al consulente è stata, infatti, rivolta una richiesta di valutazione della patologia
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(asbestosi pleurica) ai fini della determinazione del danno biologico e morale
(ancorché riferita alla domanda di riconoscimento dello status di “vittima del
Dovere”).
Il nominato CTU, per quanto interessa il profilo controverso, ha così concluso:
“sulla scorta della ascrivibilità della menomazione complessiva alla tabella A,
categoria 6 di cui sopra e applicando la tabella delle corrispondenze di cui all’art.
3 del DPR 181/2009, è possibile identificare un grado complessivo di invalidità
permanente pari al 45%. Passando ora ad analizzare il danno biologico riportato
dal p., in base ai riferimenti di legge di cui agli artt. 138 e 139 d.lgs 209/2005 (cd.
Tabelle delle macro e micropermanenti), considerando gli ispessimenti pleurici e la
molteplice nodularità rilevata in occasione dell’ultimo accertamento pneumologico
in assenza di deficit apprezzabili della funzione respiratoria, la menomazione
complessiva dell’integrità psicofisica può essere quantificata attualmente nella
misura dell’8-10%. In conclusione, ai sensi del DPR 181/2009, successivamente
all’applicazione del criterio valutativo disposto, è possibile riconoscere una
invalidità complessiva pari al 50%”.
In linea generale, occorre osservare che le tabelle di riferimento per i diversi ambiti
di valutazione medico-legale comprendono la quantificazione del danno biologico
in responsabilità civile (ad esempio la responsabilità civile per la circolazione dei
veicoli o quella generale), l’assicurazione contro la invalidità permanente da
malattia e l’assicurazione contro gli infortuni (tabelle ANIA e INAIL).
Tali tabelle medico-legali propongono una serie di menomazioni “tipiche” (in
termini diagnostici e/o sinteticamente descrittivi), a ciascuna delle quali è correlata
un’indicazione valutativa che esprime la permanente diminuzione, in percentuale,
rispetto al “valore totale”: e quest’ultimo va inteso in modo differente a seconda
che si tratti di stima in responsabilità civile (danno biologico) ovvero nell’ambito di
assicurazione privata contro l’invalidità permanente cagionata da infortunio o da
malattia.
In altri termini, per la valutazione del danno biologico esistono, nell’ordinamento
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italiano, diversi sistemi tabellari, dalla cui applicazione discendono differenze
percentuali, talvolta anche sostanziali, pur per analoghe tipologie di danno.
La ragione principale di tale differenziazione è nella natura della provvidenza.
Nel sistema dell’assistenza sociale le tabelle prevedono percentuali di danno
generalmente più alte rispetto alla responsabilità civile in ragione della natura stessa
della provvidenza, per l’appunto di tipo assistenziale; in tale ambito rientra, ad
esempio, la normativa per gli “invalidi civili” che utilizza un proprio sistema
tabellare (cfr. Decreto del Ministero della Sanità 5 febbraio 1992, “approvazione
della nuova tabella indicativa delle percentuali d'invalidità per le minorazioni e
malattie invalidanti”).
Differenti tabelle sono, poi, utilizzate nell’ambito delle assicurazioni sugli infortuni
sul lavoro, caratterizzato da diverse percentuali di danno e indennizzi (non si parla
di “risarcimento”) sia rispetto agli invalidi civili sia alla responsabilità
professionale; tabelle che implicano una quantificazione del danno biologico non
già mediante valutazioni di pertinenza medico-legale, bensì attraverso
l’applicazione di prefissati coefficienti (le tabelle di riferimento per la
quantificazione in tale ambito sono previste dal Decreto del Ministero del Lavoro e
della Previdenza sociale 12 luglio 2000, “approvazione di "Tabella delle
menomazioni"; "Tabella indennizzo danno biologico"; "Tabella dei coefficienti",
relative al danno biologico ai fini della tutela dell'assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali”).
Infine, le tabelle da utilizzare per stabilire la percentuale di danno biologico
nell’ambito della responsabilità civile sono da ricondurre al Decreto del Ministero
della Salute 3 luglio 2003 (tabella delle menomazioni alla integrità psicofisica
comprese tra 1 e 9 punti di invalidità) e al Decreto del Ministero dello Sviluppo
economico 25 giugno 2015 (“aggiornamento annuale degli importi per il
risarcimento del danno biologico per lesioni di lieve entità, derivanti da sinistri
conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, anno 2015”);
N. 02958/2019 REG.RIC.
anche in questi ambiti la quantificazione economica avviene mediante
l’applicazione di coefficienti in relazione all’entità del danno biologico, ma il
calcolo viene effettuato tramite le c.d. “tabelle di Milano”, le quali contemplano un
punto percentuale che viene moltiplicato per i punti percentuali di danno
riconosciuti dal consulente.
Nella specie, il Collegio è dell’avviso che la determinazione del danno biologico da
riconoscere al ricorrente debba fondarsi sui criteri tradizionalmente elaborati nella
civilistica e sintetizzati nelle predette tabelle, non potendosi, di contro, prendere in
considerazione l’impostazione di carattere solidaristico propria della disciplina sulle
vittime del dovere (cfr. DPR 181/2009, artt. 3 e 4).
L’impostazione eletta meglio rappresenta, infatti, l’oggettività e l’appropriatezza
della definizione giurisprudenziale del danno biologico come pregiudizio che
“consiste nelle ripercussioni negative, di carattere non patrimoniale e diverse dalla
mera sofferenza psichica, della lesione psicofisica. In particolare, la liquidazione
del danno biologico può essere effettuata dal giudice, con ricorso al metodo
equitativo, anche attraverso l'applicazione di criteri predeterminati e
standardizzati, quali le cosiddette "tabelle" (elaborate da alcuni uffici giudiziari),
ancorché non rientrino nelle nozioni di fatto di comune esperienza, né risultano
recepite in norme di diritto, come tali appartenenti alla scienza ufficiale del
giudice” (cfr. Corte di Cassazione, sez. lavoro, 12 maggio 2006, n. 11039).
Tanto premesso, applicando il punto percentuale (€. 2.217,01) relativo all’età del
ricorrente (53 anni) al momento della proposizione della domanda, la percentuale
di invalidità del 10% (cioè quella massima stimata dal CTU nella consulenza fatta
propria nella sentenza n. 1242/2021) comporta il riconoscimento, a titolo di danno
biologico, di €. 20.671,00, cui vanno aggiunti interessi e rivalutazione monetaria
sino al soddisfo.
Non può, invece, accogliersi la domanda di accertamento del danno esistenziale.
La Corte di Cassazione, anche in tempi recenti (cfr. sez. lavoro, 4 marzo 2019, n.
6260), ha ribadito che:
N. 02958/2019 REG.RIC.
a) le Sezioni Unite dell’11 novembre 2008 n. 26972, nel definire la consistenza e le
condizioni di risarcibilità del danno non patrimoniale, dopo avere chiarito che, al di
fuori dei casi di risarcibilità previsti direttamente dalla legge, il danno non
patrimoniale è risarcibile unicamente se derivato dalla lesione di diritti inviolabili
della persona riconosciuti dalla Costituzione, hanno “respinto tanto la tesi che
identifica il danno nella lesione stessa del diritto (danno - evento) che la variante
costituta dalla affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno
sarebbe in re ipsa; inoltre, si è osservato che entrambe le tesi snaturerebbero la
funzione del risarcimento in quella di una pena privata per un comportamento
lesivo”;
b) riguardo ai mezzi di prova del danno, le stesse Sezioni Unite hanno precisato che
“mentre per il danno biologico comunemente si ricorre all'accertamento medico
legale, per il pregiudizio non-biologico, in quanto relativo a beni immateriali, il
ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo; a tale
rilievo non va disgiunto, però, il principio che il danneggiato dovrà tuttavia
allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la
serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto”.
In piena analogia con il predetto orientamento, il ricorrente non ha allegato alcun
elemento finalizzato a provare (o, quanto meno, a fondatamente presumere) il
peggioramento della qualità della vita, inteso in forma autonoma rispetto alla
dedotta menomazione all’integrità psico-fisica (cfr. Corte di Cassazione, sez. III
civile, 22 settembre 2015, n. 18611, che, inoltre, ha escluso la mutuabilità, a tale
titolo di danno, della tabella prevista per il danno biologico).
Tale notazione è da ritenersi dirimente anche ai fini di una possibile
“personalizzazione” del danno.
La giurisprudenza (cfr., tra le più recenti, Corte di Cassazione, sez. III civile,
ordinanza 27 marzo 2018, n. 7513) ha, sul punto, rilevato che la perduta possibilità
di continuare a svolgere una qualsiasi attività, in conseguenza di una menomazione
N. 02958/2019 REG.RIC.
fisica, non può sfuggire da una stringente alternativa: o si tratta di una conseguenza
“normale” del danno (cioè indefettibile per tutti i soggetti che abbiano patito una
menomazione identica), ed allora si terrà per pagata con la liquidazione del danno
biologico; ovvero è una conseguenza peculiare, ed allora dovrà essere risarcita,
adeguatamente aumentando la stima del danno biologico (c.d. “personalizzazione”),
ma in tal caso sarà necessario allegare circostanze specifiche atte a comprovare
l’ulteriore pregiudizio patìto.
Il ricorrente, infine, si è limitato ad indicare nella proposta domanda risarcitoria –
senza, però, far seguire alcun riferimento, neppure minimo, nei propri scritti
difensivi – condotte suscettibili di integrare il c.d. mobbing.
Nei termini e nei limiti illustrati in motivazione, il ricorso va accolto.
Le spese processuali seguono la soccombenza e vengono quantificate, ai sensi del
DM 55/2014, in €. 3.000,00, oltre accessori, che il Ministero dell’Economia e delle
Finanze dovrà corrispondere al ricorrente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quarta),
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie
nei limiti e nei sensi espressi in motivazione.
Condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento delle spese
processuali, che liquida in €. 3.000,00, oltre accessori, in favore del ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del
decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del
Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile
2016 e all’articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come
modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di
procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento,
all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato
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di salute del ricorrente.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 febbraio 2022 con
l'intervento dei magistrati:
Roberto Politi, Presidente
Angelo Fanizza, Consigliere, Estensore
Giuseppe Grauso, Referendario
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Angelo Fanizza Roberto Politi
IL SEGRETARIO
Dal Cin: “Ho servito il mio Paese e in tempo di pace sono stato condannato a morte da uno Stato che ora quantifica il prezzo della mia vita in 20.671 euro”
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