lunedì 26 dicembre 2016

Così i pesci 'mutanti' sono sopravvissuti all'inquinamento

Individuati alcuni pesci capaci di evolversi, in virtù della loro grande ricchezza genetica, per sopravvivere in acque altamente inquinate. Ma gli scienziati avvertono: si tratta di casi rari

A scoprire la caratteristica degna di nota è stato un team di ricercatori guidato da Andrew Whitehead dell’University of California di Davis, che ha sottolineato le numerose mutazioni genetiche dei killifish. Grazie ad una notevole diversità, il processo evolutivo tipico degli animali può agire molto rapidamente e contrastare persino i cambiamenti nocivi figli di un discutibile contributo antropico.
Lo studio, pubblicato su Science, ha rilevato che i pesci, provenienti dalla costa orientale degli Stati Uniti, risultavano 8000 volte più resistenti dei loro simili a sostanze dannose come le diossine, o i metalli pesanti, o gli idrocarburi. Dopo aver analizzato il genoma di circa 400 killifish gli scienziati hanno concluso che il loro adattamento era dovuto alle marcate differenze genetiche fra i vari individui, che hanno consentito ad un numero rilevante di soggetti di sopravvivere in condizioni normalmente proibitive, proprio grazie a mutazioni spontanee del loro codice genetico.

Per capire come sono avvenuti i cambiamenti gli studiosi hanno paragonato il genoma di alcuni killifish provenienti da zone non inquinate con quello dei loro simili oggetto d’esame e prelevati da quattro siti purtroppo già avvelenati: New Bedford in Massachusetts, Newark Bay nel New Jersey, Bridgeport in Connecticut ed il fiume Elizabeth in Virginia. Da questo confronto è emerso che si tratta di un caso di evoluzione convergente, poiché la selezione si è sempre concentrata sui geni associati alla via molecolare del recettore per gli idrocarburi arilici (AhR).

In ogni caso, il segreto racchiuso nel DNA dei killifish non è una novità assoluta e recentemente si è anche parlato di elefanti che nascono senza zanne, o che sono più piccole del solito, come risposta ai bracconieri cacciatori di avorio (resta ancora da dimostrare se si tratta di un vero cambiamento genetico). Inoltre, alcuni anni fa una mutazione simile, capace proprio di regalare resistenza alle sostanze tossiche, era stata riscontrata nei merluzzi che popolano il fiume Hudson di New York. I ricercatori, però, mettono in guardia da una lettura superficiale di questi risultati che potrebbe far gioire e spingerci ad inquinare impunemente; infatti, si tratta di eventi rari (senza contare che, nel caso degli elefanti, l’eventuale assenza di zanne renderebbe l’animale menomato) che non possono coinvolgere un numero elevato di specie, incapaci di adattarsi con questa velocità.

E’ importante ricordare comunque che le mutazioni registrate hanno anche un rovescio della medaglia. I killifish, sempre più specializzati nella lotta contro l’inquinamento, perdono una parte della loro ricchezza genetica che ha rappresentato proprio la capacità di rispondere così velocemente alle sostanze tossiche presenti nell’acqua. In questo modo la selezione naturale viene ridimensionata, a causa di un numero di incroci e di scambi di informazioni ridotti.

In conclusione, la vera forza della nuova ricerca condotta dal gruppo di Andrew Whitehead è legata allo studio dei geni in grado di offrire protezione dalle sostanze tossiche. Analisi che si spera in futuro siano approfondite, per ottenere risposte sul perché alcune specie sono più sensibili di altre all’inquinamento. http://www.repubblica.it/ambiente/2016/12/24/news/cosi_i_pesci_mutanti_sono_sopravvissuti_all_inquinamento-154815614/?ref=twhr&timestamp=1482680852000&utm_source=dlvr.it&utm_medium=twitter

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