Rapaci, anfibi, pesci: grazie a progetti ambiziosi e ricercatori tenaci nel nostro Paese si è riusciti a salvare animali destinate a scomparire. Oggi la Giornata Mondiale dell'Ambiente, in tutto il mondo
di CRISTINA NADOTTI http://www.repubblica.it/ambiente/2016/06/05/news/ambiente_cosi_lo_salviamo_in_italia-141263238/?ref=HRER3-1C'è l'ornitologo che raccontando la reintroduzione del gipeto dà le stesse emozioni di una narrazione letteraria. C'è il libero professionista che ha dedicato il suo lavoro a salvare le berte minori sulle isole minori italiane. E lo zoologo che da Roma si precipita in Sardegna per monitorare quello che definisce "il bellissimo anfibio". La conservazione degli ecosistemi e della fauna che li contraddistingue in Italia è una storia dai tratti romanzeschi, che ha come protagonisti esperti sognatori e spesso un po' eroici, capaci di sposare la causa della reintroduzione di una specie animale e di portarla avanti in mezzo ai soliti ostacoli: miopia politica, mancanza di fondi, difficoltà di coordinamento tra gli enti di pertinenza del territorio.
Eppure sono storie di successo, importanti da raccontare soprattutto in occasione, oggi, della Giornata Mondiale dell'Ambiente. Perché se l'Onu ci ricorda ogni anno di impegnarci per salvare il pianeta, è fondamentale mettere in evidenza i risultati raggiunti. Perché cambiare si può.
Il gipeto delle Alpi
Il gipeto delle Alpi. All'inizio del Novecento le nostre montagne avevano perso un animale fondamentale per la catena alimentare e per "l'igiene" dell'ecosistema. Tutto a causa di un nome sfortunato, perché il gipeto (Gypaetus barbatus) è un rapace tra i più grandi in Italia, condannato dall'ignoranza popolare che lo indica come "avvoltoio degli agnelli". Da qui la caccia spietata non solo dei bracconieri, ma anche degli allevatori. "In realtà il gipeto non si ciba di agnelli - spiega Enrico Bassi, ornitologo del Parco nazionale dell'Adamello e referente del progetto "Gipeto" - e anzi svolge un servizio anche agli allevatori. Poiché il suo sistema digerente gli permette di nutrirsi anche di ossa è fondamentale come ultimo anello di una catena di "smontaggio"". Il gipeto è insomma lo spazzino delle montagne, indispensabile per far sparire anche le carcasse di animali morti di malattia e quindi di prevenire l'insorgere di epidemie. "Il progetto "Gipeto" è tra i più ambiziosi e di successo a livello europeo - spiega Bassi - perché va avanti da 30 anni di seguito ed è riuscito a coinvolgere tecnici, ricercatori, allevatori, cacciatori e semplici cittadini. Adesso quando reinseriamo un esemplare in natura tutto il paese fa festa". E dire, come racconta Bassi, che tutto è cominciato con un gruppo di pionieri un po' pazzi che avevano portato in montagna degli esemplari nati in cattività e fatto loro da madri surrogate con mezzi di fortuna, ben lontani dalla tecnologia con cui oggi si usano droni e alianti per insegnare a volare a pulcini senza madri. "Adesso siamo quasi fuori dalla fase emergenziale - annuncia Bassi, che ogni giorno si arrampica su creste e crinali per controllare i nidi - ma il gipeto è molto sensibile dal punto di vista ecobiologico. La loro nidifìcazione nei parchi è radicata, la nostra sfida, ora, è di portarli anche fuori dalle aree protette, dove la loro presenza è indispensabile".
Barbo comune
I pesci della Val Padana. I nostri fiumi sono malati, costretti in percorsi angusti, sbarrati, ma c'è chi non si dà per vinto di fronte a inquinamento e morie di pesci. Il progetto ha un nome fuorviante: "Life Barbie", che fa pensare a bambole e casette, in realtà si parla di animali, il barbo comune (Barbus plebejus) e il barbo canino (Barbus meridionalis) importantissimi come bioindicatori della qualità dell'acqua. A monitorare e salvaguardare 14 siti di interesse comunitario distribuiti tra le province di Parma, di Piacenza e di Reggio Emilia sono i ricercatori dell'Università di Parma, che studiano anche la riqualificazione fluviale e la gestione della risorsa idrica. In altre parole, stanno cercando di non far morire i fiumi di una parte della Pianura Padana. Per salvare i barbi e il loro habitat c'è una necessità principale "mantenere più acqua in fiumi e torrenti durante il periodo estivo - spiega il professor Francesco Nonnis Marzano, del dipartimento di bioscienze dell'Università di Parma - limitando i danni ambientali dovuti al prosciugamento degli stessi, oltre al ripristino della continuità fluviale laddove la frammentazione portata dalla cementificazione, e i continui e spesso ingiustificati lavori in alveo, alterano sistematicamente la fisiologica evoluzione degli ambienti naturali". E come sempre per salvare la fauna bisogna agire sul territorio, di concerto, pianificando uno sfruttamento migliore delle acque, anzi dei "corpi idrici" come li indica Nonnis Marzano, che conclude preoccupato: "le politiche ambientali comunitarie richiedono questa pianificazione, ma sono sistematicamente disattese a livello nazionale".
Euprotto sardo
L'euprotto sardo. Il coordinamento all'Università Roma Tre e ricercatori che battono a tappeto la Sardegna per salvare l'euprotto (Euproctus platycephalus Gravenhorst), un tritone endemico dell'isola che si nutre nei ruscelli di invertebrati e, come tale, di importanza cruciale per l'ecosistema. "Ci occupiamo da anni di questo bellissimo anfibio - racconta il professor Marco Bologna, zoologo ed esperto di ecologia animale - perché è una specie di estremo interesse biogeografico, il che vuol dire che ci può aiutare a comprendere la storia dell’evoluzione delle terre del Mediterraneo occidentale e del nostro Paese in particolare. Si tratta di un vero relitto dalle affinità non ben conosciute, che ci descrive la storia geologica e biologica molto affine delle due isole tirreniche, che si formarono quasi 30 milioni di anni orsono, staccandosi dalle terre iberico-provenzali come delle zattere flottanti, che lentamente si sono spostate fino ad arrivare nella posizione attuale, portando con loro un insieme di viventi, animali e piante, di cui alcune tracce sono riconoscibili ancora oggi proprio in questi elementi antichissimi". Ma l'euprotto non è soltanto uno "storico" è anche un indicatore di quanto sono minacciate alcune zone. "La specie ha un notevole interesse per la conservazione perché è considerata fortemente minacciata a livelllo dell’Unione Europea, date le sue peculiari esigenze di vita. L'euprotto è strettamente legato all’ambiente di acqua dolce, soprattutto di piccoli ruscelli montani o collinari, con acque pulite che formano pozze a lento scorrimento e soprattutto dove non ci sono voraci trote". Un articolato progetto di salvaguardia, autorizzato dal Ministero dell’Ambiente, con la collaborazione della Fondazione Bioparco di Roma, dell’Eaza (European association of zoos and aquariums), dell'Ispra e della Regione Sardegna, ha consentito di sperimentare l'allevamento di questa specie in condizioni di cattività. "Un vero successo - osserva Marco Bologna - abbiamo fatto nascere e crescere molti giovani euprotti che, qualora fosse approvato, potrebbero essere oggetto di un intervento di ripopolamento nei luoghi di origine. In secondo luogo, lo studio a tappeto della Sardegna ci ha permesso di individuare un buon numero di nuove popolazioni finora sconosciute, anche in zone del tutto nuove dell’isola, che quasi raddoppiano quelle note e di caratterizzarle geneticamente". Per salvaguardare il tritone sardo non bisogna abbassare la guardia: "La “nicchia ecologica” di questa specie è molto particolare - conclude Bologna - La prima cosa da fare è quindi evitare la trasformazione dei piccoli ruscelli montani in cui vive, come potrebbe avvenire in caso di sbarramenti artificiali, lo sversamento di sostanze tossiche, l’introduzione di pesci predatori o del micidiale gambero rosso della Louisiana, che sta distruggendo molte popolazioni di anfibi nell’Italia continentale".
Berta minore di Montecristo
La berta minore di Montecristo. Affascinati dalle acque che le circondano, spesso dimentichiamo che le nostre isole minori sono punti di approdo fondamentali per gli uccelli marini. È il caso dell'isola toscana di Montecristo, dove è indispensabile proteggere la berta minore (Puffinus yelkouan), una delle pochissime specie di uccelli marini nidificanti nel Mediterraneo, che lì si riproduce con il 5-10 per cento dell'intera popolazione mondiale. Per salvare la berta bisogna limitare la presenza del ratto nero, un predatore che a Montecristo è stato introdotto dall'uomo, che fa strage di pulcini. Il progetto Montecristo 2010, cofinanziato dall'Unione Europea e portato avanti da Corpo Forestale dello Stato, Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) e da una società privata di consulenza ambientale (Nemo srl), sta dando i suoi frutti. "Per eradicare i ratti - spiega Paolo Sposimo della Nemo srl - si è optato per la sola tecnica efficace: la distribuzione di esche rodenticide da un elicottero, l'unico mezzo che in un'isola montuosa, estesa su oltre 10 chilometri quadrati e priva di viabilità, permette di rendere disponibili contemporaneamente le esche sul suo intero territorio, in modo da raggiungere tutti i ratti presenti. La tecnica adottata è quella che, nel mondo, ha permesso di eradicare i ratti su oltre 300 isole, comprese alcune grandi da 10 a 60 volte più di Montecristo. Sebbene possa apparire pericoloso per l'intero ecosistema insulare, se correttamente applicato questo metodo permette di raggiungere l'obiettivo con effetti negativi trascurabili, tanto che è ormai una procedura abitualmente adottata in nazioni dove le politiche di conservazione della natura sono avanzatissime, quali gli USA, l'Australia e la Nuova Zelanda".
E oggi le berte a Montecristo sono quasi salve e come sempre succede quando si ripristina l'ecosistema, non sono le uniche a stare meglio. "I ratti sono scomparsi, e da allora le berte minori si riproducono con successo: in oltre l'80 per cento dei nidi l'unico uovo si è schiuso e il pulcino si è involato. Complessivamente si stima che nelle 4 stagioni riproduttive 2012-2015 Montecristo abbia “prodotto” ogni anno 300-400 giovani berte minori, che potrebbero essere fra 1/3 e 1/4 di tutte quelle che, nel mondo intero, si involano ogni anno. E la popolazione aumenta: anche se non è possibile indicare dati precisi, ad ogni primavera nuovi nidi vengono occupati. Oggi Montecristo è di gran lunga la più grande isola del Mediterraneo di nuovo priva di mammiferi predatori. I benefici dell'eradicazione dei ratti non riguardano però solo le berte: specie vegetali che un tempo erano rarissime si stanno diffondendo su tutta l'isola, così come insetti e piccoli uccelli che se ne nutrono, e negli ultimi 2 anni anche alcuni pipistrelli e una rara specie di geco appaiono in evidente aumento. Nessuna specie autoctona ha subito danni significativi dall'intervento, a cominciare dalla famosa capra selvatica, la cui popolazione ha la stessa consistenza numerica degli anni precedenti". Ora Sposimo e i suoi non vogliono però fermarsi e sperano di salvare le berte in altri siti di nidificazione essenziali delle nostre isole minori.
Falco grillaio di Matera
Il falco grillaio di Matera. Non sempre per conservare l'habitat di un animale bisogna eliminare le attività umane. Nel caso del falco grillaio (Falco naumanni J.G.Fleischer), meno campi coltivati a cereali e meno tetti hanno significato una diminuzione della popolazione. Certo, a causare la quasi estinzione del piccolo falco negli anni Settanta sono stati anche la solita brutta nomea dei rapaci e l'uso intensivo dei pesticidi che ne hanno decimato le prede, però adesso la loro ripresa si avvantaggia della conservazione delle case di Matera. Dice Jacopo Cecere ornitologo dell'Ispra "Fino a una quindicina di anni fa il grillaio era rimasto solo in Basilicata, con poche coppie in Sicilia e Puglia, ora i nidi aumentano in aumentato in Basiclicata, Puglia ed Emilia Romagna, Lazio Lombardia. Dipende da una serie di fattori ambientali, per fortuna è una delle specie che non soffre del cambiamento climatico, e sta bene nelle regioni steppose, dove può nutrirsi di grilli, locuste, lucertole e piccoli roditori, fondamentale per le colture". La salvaguardia del falco grillaio è cominciata con uno dei progetti Life, il programma di finanziamento per la salvaguardia dell'ambiente dell'Unione Europea, con i quali si sono creati nuovi siti di nidificazione, perché il rapace ha bisogno di palazzi antichi son il sottotetto o la copertura a tegole per fare la cova, meglio se intorno ci sono ambienti agricoli con siepi e boschetto. In pratica, il panorama di Matera.
E l'uomo non sempre è soltanto un distruttore, perché la tecnologia degli ultimi anni ha consentito di creare congegni elettronici sempre più piccoli, da assicurare ai falchi per seguirne la migrazioni e capire di più sulle loro abitudini. "Il grillaio arriva dall'Africa, ma prima di nidificare passa un mese a riprendere le forze. In questo periodo si concentra in alberi che chiamiamo "dormitori. Il nostro progetto - illustra Cecere - ora vuole studiare meglio questi ambienti definiti di "roost"
Grazie a una serie di progetti Life a Matera e in Puglia. Il nostro progetto attuale, dopo quello Life, stiamo studiando l'ecologia della migrazione, se ora si è intervenuti sui siti di nidificazione, è un migratore che va fino in Sudafrica. Quando arriva in Europa passa un mese senza nidificare, e dormono su alberi dormitori, perché devono ricostituire le riserve energetiche per riprodursi. Poi sta due mesi dopo la riproduzione passa due mesi qui. Il nostro progetto vuole studiare come vengono utilizzate le aree di "roost", cioè di riposo, monitorare attraverso i tracciati gps dove i grillai vanno a mangiare e che tipo di habitat utilizzano". La speranza è di conoscere ogni momento del ciclo annuale del falco, dal momento in cui lascia l'Africa a quello in cui, dopo essersi riprodotto in Italia, vi fa ritorno.
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