venerdì 26 febbraio 2016

Riscaldamento: pellet contro gas, qual è l'alternativa più sostenibile?

Le biomasse sono molto meglio per il clima rispetto al riscaldamento con fonti fossili, ma hanno il problema delle emissioni di particolato. Uno studio confronta le tecnologie con un'analisi del ciclo di vita di caldaie a pellet innovative e tradizionali e apparecchi a gas e a olio combustibile.
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Le stufe a legna e a pellet sono molto meglio per il clima, del riscaldamento a gas od olio combustibile, ma hanno il problema non trascurabile delle emissioni a livello locale che peggiorano la qualità dell'aria con relativi impatti sanitari. Andando a pesare tutti gli impatti nell'intero ciclo di vitadegli apparecchi - dalla produzione, al reperimento del combustibili fino alla combustione - quelli a biomasse restano molto più sostenibili delle caldaie a gas o a gasolio e la buona notizia è che le caldaie a pellet di ultima generazione hanno ridotto sensibilmente anche le emissioni di particolato.
È questa in sintesi la conclusione cui arriva un nuovo studio curato da ricercatori della bresciana Università Cattolica del Sacro Cuore, dell'austriaca Bioenergy 2020+GmbH e della Free University of Bozen-Bolzano, pubblicato sull'ultimo numero della rivista di AIEL, Agriforenergy, intitolato “Analisi del ciclo di vita di caldaie a pellet di bassa potenza caratterizzate da alta efficienza e ridotte emissioni” (in allegato in basso).
Clima ed emissioni locali e salute
L’utilizzo di biomassa legnosa al posto di combustibili fossili per il riscaldamento residenziale - vi si premette - comporta una riduzione delle emissioni di CO2 lungo l’intero ciclo di vita di una caldaia. Esistono però criticità legate alle emissioni diparticolato atmosferico (PM), idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e composti organici volatili (COV) da parte delle caldaie a biomassa legnosa, con conseguenti impatti rilevanti sulla salute umana fortemente dipendenti dalla tecnologia di combustione.
Con riferimento al particolato atmosferico in particolare, studi epidemiologici e sperimentali concordano nell’evidenziare una correlazione tra l’inalazione di polveri fini e una diminuzione della funzionalità polmonare e della resistenza alle infezioni, e un aumento dell’incidenza di fenomeni di asma acuta, oltre a effetti sul sistema cardiocircolatorio. Inoltre i metalli (vanadio, rame, zinco, nickel e ferro) e i composti organici (IPA) presenti nel particolato emesso dalle caldaie aggravano l’impatto sulla salute a causa della tossicità e, in taluni casi, delle proprietà carcinogeniche.
L'analisi del ciclo di vita
Dunque il riscaldamento a biomasse fa più male che bene? La risposta è un “no” secco e lo studio lo dimostra valutando l'impatto ambientale di caldaie a pellet di nuova generazione (BW10 e BW10 2, nei grafici) in tutte le fasi presenti nel ciclo di vita di una caldaia, partendo dalla produzione del pellet fino allo smaltimento finale della caldaia (e delle ceneri) e mettendoli a confronto con quelli sia di una caldaia a pellet “tradizionale” (cioè una tecnologia rappresentativa della media europea) che con quelle di caldaie a gas o a olio combustibile.
I risultati dello studio sono sintetizzati nei grafici sotto che mostrano per le varie caldaie considerate i diversi tipi di impatti nell'intero ciclo di vita, da quelli sul clima, alle emissioni di particolato, passando per gli impatti su risorse idriche, acidificazione del suolo e molti altri (vedi la legenda a fianco, click per ingrandire).
Come si vede le caldaie a pellet facendo una somma degli impatti sono di gran lunga preferibili al riscaldamento a gas e ad olio combustibile.
Fermandoci a guardare solo l'inquinamento atmosferico locale (tabella sotto) il gas vince di gran lunga la gara, ma le nuove caldaie a pellet sono molto migliori di quelle tradizionali su questo aspetto.
Altri ancora gli aspetti su cui si può lavorare per rendere più sostenibile il pellet: laparte a monte della filiera del combustibile, la pellettizazione, infatti pesa per ben il 57% degli impatti generali delle caldaie a pellet e qui – spiegano gli autori – gli impatti si potrebbero ridurre del 20-30% considerando una produzione locale e l’utilizzo di scarti forestali.

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