lunedì 25 gennaio 2016

A Rosignano Solvay il mesotelioma cresce del 300%: in Italia industria fa ancora rima con tumori

“Rosignano è ai primi posti in Italia per i casi di mesotelioma in rapporto alla popolazione, e il trend è tale anche per le altre patologie tumorali”: non lasciano spazio a interpretazioni le parole di Ezio Bonanni dell’Ona (Osservatorio nazionale sull’amianto) riguardo all’incidenza del tumore legato all’esposizione all’amianto di lavoratori e cittadini del paese di Rosignano Solvay.  “Emergono per la Asl 6 di Livorno 192 decessi rispetto agli 80 attesi” sono i risultati dell’ultima indagine Ona sulla provincia resi noti in questi giorni dalla Onlus che ha presentato un esposto alla Corte europea per chiedere “la condanna della Repubblica italiana per la mancata adozione di concrete misure per limitare l’incidenza epidemiologica delle patologie asbesto correlate in Rosignano e in tutto il comprensorio”.
Purtroppo l’Ilva di Taranto, nonostante sia l’esempio più eclatante, non è l’unico caso in Italia in cui lavoratori fa rima con tumori, in cui le esigenze produttive si scontrano con la tutela ambientale e la difesa della salute dei cittadini.
La vicenda legata alla multinazionale chimica belga, che nel 1913 ha iniziato i lavori per la costruzione dello stabilimento toscano per la produzione di soda caustica, bicarbonato e carbonato di sodio, è annosa e complessa. Rosignano Solvay non è un paese che ospita una fabbrica, è un paese creato intorno e per la fabbrica. Le case, le scuole elementari, il teatro, lo stadio, il circolo per il dopo lavoro, lo stabilimento balneare, tutto a Rosignano è stato creato dalla Solvay con il marchio di fabbrica sopra.
E lo stabilimento da oltre un secolo fa il buono e il cattivo tempo del territorio decidendo della vita, del lavoro e purtroppo anche della morte dei cittadini. Da anni la Solvay è accusata di essere la responsabile dell’alto tasso di malattie e tumori legati all’esposizione dell’amianto e della presenza di altre sostanze altamente cancerogene. I rischi per lavoratori e cittadini non derivano soltanto dall’amianto maneggiato all’interno della stabilimento, ma anche dalle sostanze cancerogene che la fabbrica disperde da decenni in aria tramite le ciminiere e in acqua tramite i fossi di scarico dei rifiuti chimici che arrivano direttamente in mare.
Dallo stabilimento di Rosignano Solvay esce la quasi totalità della produzione di carbonato di sodio utile all’industria italiana. Lo smaltimento regolare di rifiuti, come mercurio e arsenico, che si creano con una così alta produttività può costare alcune migliaia di euro a tonnellata: costi enormi per un’azienda che, invece, scarica in mare oltre 146mila tonnellate di rifiuti l’anno. La quantità di inquinanti presenti nel tratto di costa di fronte alla Solvay è così elevato che nel rapporto ONU del 2002, l’Organizzazione  mondiale ha incluso Rosignano Solvay tra i 15 luoghi costieri più inquinati d’Italia. Secondo le stime, infatti, nel mare turchese delle famose Spiagge Bianche create con il bicarbonato sarebbe concentrato il 42,8% dell’arsenico totale riversato nel mare italiano. Ed il mercurio scaricato dal fosso inquina il tratto di mare di fronte alla fabbrica fino a 14 chilometri dalla costa.
Lo stabilimento di Rosignano Solvay dai primi anni del ‘900 sversa in mare solidi pesanti e metalli come mercurio, arsenico, cadmio, cromo, ammoniaca e solventi organici potenzialmente cancerogeni. Nel 2014 il Ministero dell’Ambiente ha incaricato l'ARPAT (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale) di verificare gli effetti sull’ambiente marino dello scarico in mare dello stabilimento, con particolare riferimento ai solidi sospesi. Nell’ottobre 2014 l’Arpat ha pubblicato il rapporto che rivela: “Le acque marine antistanti lo scarico risulta uno stato chimico “Non Buono”, dovuto al superamento (nelle acque) dei limiti previsti per il mercurio e il tributilstagno, nel punto di monitoraggio Lillatro”.
E su questo aspetto c’è ancora un processo in corso. Nel 2009, infatti, la procura di Livono ha aperto un’indagine che ha portato la Solvay sul banco degli imputati nel 2013. L’allora direttrice dello stabilimento e quattro ingegneri sono stati rinviati a giudizio per la scoperta di quattro scarichi abusivi sconosciuti all’ARPAT, e una procedura per annacquare i fanghi e aggirare così i limiti di legge. La Solvay ha sostanzialmente ammesso le sue colpe chiedendo il patteggiamento, accettato dalla Procura di Livorno a condizione, però, che la fabbrica effettuasse un piano di risanamento e messa in regola entro il 2015.
E così mentre la Solvay era intenta a difendersi da pesanti accuse, lavoratori e cittadini hanno continuano ad ammalarsi. La cosa più assurda di questa situazione è che nessuna istituzione locale o nazionale ha ritenuto necessario svolgere una seria indagine sulla salute di lavoratori e dei cittadini per stabilire una volta per tutte se ci sia o meno un nesso tra alta incidenza di tumori registrata a Rosignano dall’ASL e presenza da un secolo di una fabbrica di tale portata. Nel 2014 anche la trasmissione della RAI Gazebo ha fatto un servizio sulla Solvay riaccendendo la polemica sui rischi legati all’amianto. (Qui per vedere il video: "Rosignano, una storia di anormale amministrazione"). A quel servizio la fabbrica ha risposto accusando la trasmissione di diffondere “assurdità” e respingendo ogni tipo di nesso tra morti e fabbrica. L’ONA, ovviamente, non è dello stesso avviso e nemmeno la magistratura.
Nel luglio scorso il tribunale di Livorno ha condannato l’INAIL a costituire la rendita in favore della vedova di un ex dipendente Solvay morto per tumore al polmone nel 2010. Aveva 57 anni e aveva lavorato per 31 anni nel settore manutenzioni dello stabilimento chimico di Rosignano. Nel corso del procedimento è stato provato che la morte del dipendente Solvay era legata alla “malattia professionale”, cioè all’esposizione all’amianto nel sito produttivo.
Negli anni ’20 e ’30 quando ancora si moriva di raffreddore e le conoscenze sanitarie era scarsissime non si poteva pretendere che all’interno di una fabbrica si facesse prevenzione o scelte legate alla tutela dell’ambiente. Ma negli anni la situazione è cambiata, la consapevolezza dei rischi per l’ambiente e la salute hanno preso il posto dell’ignoranza e della superficialità, ma in molti casi italiani il cambio di passo politico su queste tematiche non c’è stato. Le esigenze produttive e occupazionali, hanno sempre prevalso sui tentativi di lavoratori e associazioni di chiedere maggiori tutele e garanzie.
E così la Solvay per i lavoratori che per anni hanno lavorato senza alcuna protezione con l’amianto, che l’hanno respirato, ingerito, che sono tornati a casa dalla famiglia con i vestiti contaminati ha offerto qualcosa come un anno di pensione anticipata ogni due anni passati immersi nel minerale killer (e soltanto ai lavoratori più esposti). Perchè l’industria, le grandi multinazionali sono abituate a pensare con il portafoglio in mano, a pensare che si possa comprare tutto, anche il silenzio e la salute con qualche contributo in più.
“La contaminazione di polveri e fibre di amianto, e di altri cancerogeni, negli ambienti di lavoro e in quelli di vita ha determinato, sta determinando e determinerà – prevede ancora l’ONA - una più alta incidenza di patologie asbesto correlate (mesoteliomi, tumori polmonari, della laringe, dell’ovaio, del tratto gastrointestinale) e di altre patologie, in tutta la popolazione e non solo tra i lavoratori”. Per questo motivo la Onlus ha presentato esposto alla Corte Europea chiedendo che “in ambito comunitario si sanzioni l’Italia anche per l’operato della Regione Toscana e del Comune di Rosignano”.
La politica, infatti, a tutti i livelli nazionale e locale ha sempre avuto un comportamento ambiguo nei confronti dello stabilimento Solvay, così come delle altre fabbriche sul territorio. Sotto una patina di richieste formali di adeguamento alle norme europee e tutela dell’ambiente e della salute, le azioni concrete di controllo e indirizzo dell’operato della Solvay non si sono mai viste. Anzi, secondo Medicina Democratica grazie al decreto CITAI (Comitato Interministeriale Tutela Acque dall’Inquinamento) che affida alle amministrazioni locali il potere di concedere autorizzazioni in deroga alle fabbriche “la Provincia di Livorno concede da anni a Solvay autorizzazioni quadriennali in deroga per i solidi sospesi, veicolanti in mare migliaia di tonnellate di metalli tossici e solventi”. 
Della difficile, ma necessaria convivenza di industria, ambiente e salute si discute da anni. Su un piatto della bilancia ci sono gli interessi e gli investimenti di grandi marchi o multinazionali che portano sul territorio valore aggiunto e occupazione, ma dall’altra ci sono temi legati alla tutela dell’ambiente, l’aria e il mare, e soprattutto della salute chi vive dentro e fuori lo stabilimento.
In realtà, per quanto riguarda la Solvay, il piatto della bilancia con il valore aggiunto portato dall’azienda al territorio non è più così pesante, com’era, invece, nei primi decenni di attività. Secondo uno studio del dipartimento di economia e management dell’Università di Pisa (“Stima delle ricadute economiche della Solvay sul territorio della Val di Cecina dal 2006 al 2012” di Cheli, Coli, Del Soldato e Luzzati) ad oggi i dipendenti Solvay, compresi i lavoratori dell’indotto, rappresentano il 2-4% della popolazione e il valore aggiunto (calcolato in stipendi e tasse pagate all’amministrazione) si aggira tra l’1 e il 2% del valore complessivo prodotto dallo stabilimento Solvay.
Secondo le testimonzianze di molti dipendenti, infatti, la multinazionale belga vorrebbe chiudere il sito livornese, ma, in quel caso, sarebbe obbligata a bonificare tutta l’area, con un’operazione enorme e costosissima. Rosignano Solvay è il classico esempio dell’incompetenza e del lassismo della politica italiana che su temi importanti come la tutela dell’ambiente e della salute adotta un comportamento di rassegnato permissivismo in nome della produttività e dell’occupazione. Intanto, mentre si tutela il guadagno delle fabbriche, non si difendono i cittadini, con costi enormi in termini umani, ma anche strettamente economici. Secondo uno studio nazionale dell’ARPA (“Industria, ambiente e salute” del 2012) le stime dei costi sanitari e ambientali dovuti alle emissioni industriali indicano una conto economico, nel 2009, compreso tra 102 e 169 miliardi di euro.
“Anche la bonifica dei siti inquinati – spiega lo studio - richiede un impegno economico spesso molto rilevante. Eppure oggi ci sono studi che dimostrano la convenienza di investire nella prevenzione e nella bonifica: utilizzando una visione di più ampio respiro e strumenti già sperimentati a livello internazionale si può quantificare il saldo positivo che deriva dai costi sanitari “risparmiati” eliminando le fonti di esposizione”.
Ma anche in questo frangente l’Italia si dimostra miope, assoggettata agli interessi industriali e incapace di difendere i cittadini proponendo metodi alternativi di produzione, smaltimento sicuro dei rifiuti o diverso impiego dei siti. E intanto mentre multinazionali straniere la fanno da padrona nei paesi italiani (quello di Rosignano è soltanto uno degli stabilimenti in Italia della Solvay) alle associazioni come l’ONA non resta che fare la conta dei morti e invocare l’intervento europeo per chiedere quella protezione dei cittadini che lo Stato italiano non è in grado di garantire. di  @martapanicucci 25.01.2016 9:31 CET http://it.ibtimes.com/rosignano-solvay-il-mesotelioma-cresce-del-300-italia-industria-fa-ancora-rima-con-tumori-1435045

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