Il primo summit mondiale sul clima si tenne a Rio de Janeiro nel 1992: per la prima volta 178 paesi discussero di cambiamenti climatici. Decisero che la responsabilità maggiore del riscaldamento era dei paesi cosiddetti “industrializzati” e questi dunque dovevano assumersi per primi l’onere di porvi rimedio. I paesi sviluppati avrebbero preso degli impegni di riduzione delle emissioni e tra questi si collocarono Usa, gli attuali paesi dell’Ue, Turchia, i paesi dell’ex Urss e poi Giappone, Australia e Nuova Zelanda. I paesi rimanenti, “in via di sviluppo”, non avevano obblighi di riduzione delle emissioni.
Nel 1997 a Kyoto il nuovo summit condivise l’obiettivo di ridurre del 5% le emissioni che avevano avuto nel 1990 entro il 2012. Il protocollo entro in vigore nel 1995 quando venne raggiunta la clausola che prevedeva che fosse ratificato da almeno 55 nazioni e che queste rappresentassero almeno il 55% delle emissioni. Gli impegni erano molto diversificati, Canada, Usa e Giappone si impegnavano a ridurre del 6 e 7%, il Lussemburgo, la Germania e la Danimarca puntavano a oltre il 20%. L’Italia mirava al 6,5%.
Usa e Canada, tuttavia, si sono sfilati subito dall’accordoper inseguire il loro boom petrolifero della fratturazione idraulica. Altri come l’Europa o la Russia hanno rispettato gli impegni, ma spesso grazie a delle naturali deindustrializzazioni che erano in corso, anziché grazie a politiche precise. L’Italia, “nonostante” la deindustrializzazione ha raggiunto solo il 4,5% di riduzione.
Nonostante gli impegni assunti, le emissioni mondiali complessive, invece di ridursi sono aumentate tra il 1990 e il 2010 da 28,3 miliardi di tonnellate a 37,6. I motivi sono diversi, in primis è cambiata l’economia del pianeta. Nel 1992 gli Usa contribuivano per quasi un terzo delle emissioni mondiali, mentre nel 2012 il primo paese per emissioni è la Cina (25%), che nel 1992 era considerata “in via di sviluppo”. Al secondo posto si trovano gli Usa che producono il 14% delle emissioni mondali e seppure abbiano disatteso gli accordi di Kyoto, a questo vertice arrivano con forti promesse da parte del presidente Obama, il quale d’altra parte deve fare i conti con una maggioranza parlamentare di scettici riguardo le conseguenze climatiche delle emissioni. L’Europa è terza con il 10%, poi vi sono l’India con il 7% e la Russia al 5%.
Di tempo se ne è perduto molto. Il vertice di Parigi si chiama Cop21, perché sono 21 volte e più di 21 anni che i grandi si ritrovano a discutere. Dopo Kyoto 1997 si sono tenute le conferenze sul clima di Buenos Aires 1998, Bonn 1999, L’Aia del 2000, Marrakesh 2001, Nuova Delhi 2002, Milano 2003, Buenos Aires 2004, Montreal 2005, Nairobi 2006, Bali 2007, Poznan 2008, Copenaghen 2009, Cancun 2010, Durban 2011, Doha 2012, Varsavia 2013, Lima 2014 e Parigi 2015.
Sarebbe interessante studiare le emissioni provocate da tutti questi voli in giro per il mondo. Si sono prodotti molti documenti, diverse ipotesi, alcuni accordi parziali, studi e ricerche ed oggi quasi nessuno nega più la correlazione fra l’attività umana e i cambiamenti climatici. Proverò a descrivere nei prossimi giorni quali sono le posizioni riguardo il clima con cui i diversi paesi si presentano a Parigi e anche quali siano gli impegni necessari per limitare i danni; servirà anche riflettere su cosa verrà decisovalutando con attenzione il modo con cui gli impegni andranno monitorati e misurati, per evitare che si trasformino in un flop come 23 anni fa.
Poiché ogni giorno ciascuno di noi respira 12.000 litri d’aria, speriamo che questo vertice produca azioni concrete e che chi ne fa parte non abbia preso sul serio la battuta di Groucho Marx riguardo l’impegnarsi per il prossimo: “Ma cosa fanno, dopo tutto, le generazioni future per me?”. http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12/02/cop21-a-parigi-aumentano-le-emissioni-di-ipocrisia/2270206/