venerdì 27 novembre 2015

Dagli allevamenti intensivi arriva il 20 per cento dei gas serra

L'ente protezione animali distrubuisce un documento ai politici italiani per sensibilizzarli su come l'industria della carne faccia male non solo alle bestie ma anche alla salute delle persone. "La Fao prevede che il consumo di carne nel mondo sia destinato a crescere del 73% entro il 2050"

 "Com'è noto, il metano deriva dalla fermentazione nei processi digestivi di alcune specie animali e dalla trasformazione delle loro deiezioni; a queste, e al loro trattamento, è legato il protossido di azoto, mentre l'anidride carbonica viene dalle combustioni di tutta la filiera della carne. Dalla produzione del foraggio - in particolar modo cereali, mais, soia  -  fino alla deforestazione a scopo di pascolo e di coltivazioni dedicate agli animali 'da piatto'. E poi, produzione e uso di fertilizzanti e pesticidi, trasporto, attività e le operazioni di mantenimento degli allevamenti, soprattutto quelli intensivi", spiega la Procacci, riportando che l'industria della carne produce il 65% del protossido d'azoto rilasciato in atmosfera, dove può rimanere per 150 anni, e il 44% di tutto il metano. Alla fermentazione enterica degli animali (70%) e le loro deiezioni (20%) si imputa il 90% delle emissioni del settore agricolo.

Aggiunge la Procacci: "La Fao prevede che il consumo di carne nel mondo sia destinato a crescere del 73% entro il 2050, raggiungendo i 463 milioni di tonnellate l'anno, mentre nel 1961 erano circa 70 milioni. Questo comporterà un ulteriore incremento dei sistemi di allevamento intensivo su vasta scala (rapporto Liverick 2011), con uno spaventoso impatto sull'ambiente e sulle sofferenze degli animali. Il trend in grande ascesa è naturalmente legato ai consumi dei Paesi emergenti - India, Cina, Brasile - che adottano sempre più il nostro stile di vita e modello alimentare".

Uno scenario apocalittico che non deve farci sottovalutare il presente. Secondo uno studio della Fao del 2013, sul Pianeta, in condizioni sempre più estreme, sono allevati 2,1 miliardi di ovocaprini, 1,6 miliardi di bovini e bufalini; 977 milioni di suini. Mentre, riguardo gli avicoli, nel 2010 il World Watch Institute stimava 19,7 miliardi di esemplari destinati alla produzione di uova e carne. E se nel 1970 si riteneva che gli animali allevati per l'alimentazione umana fossero 9 miliardi, ora si parla di 26,7, per un consumo di carne pro capite pressoché raddoppiato in 40 anni.

"Riscaldamento globale, deforestazione e vari tipi di inquinamento conducono a un massacro della biodiversità, siamo ormai alla sesta estinzione di massa della Storia, la più grave di tutte, prodotta dalle attività di una sola specie" annota ancora Annamaria Procacci. "In aggiunta ai gas serra, le deiezioni  -  solo negli Usa 1,4 miliardi di tonnellate l'anno  -  delle vittime della zootecnia, producono ammoniaca che inquina le falde acquifere. Inoltre, ormoni e antibiotici somministrati agli animali entrano nel ciclo dei rifiuti e dell'ambiente". Per tacere dei 15 mila litri d'acqua necessari a produrre un chilogrammo di carne di manzo, contro i 500-2000 litri richiesti dalla stessa quantità di vegetali. Così, un terzo delle risorse idriche mondiali viene utilizzato per l'allevamento, e il 70% della produzione globale di cereali finisce nelle mangiatoie degli animali da macello, sottraendo cibo e risorse alle popolazioni umane povere.

 "Gli allevamenti occupano il 25% della superficie
terrestre; miliardi di ettari di terreno riconvertiti a tale scopo. E' fondamentale che una realtà tanto grave cessi di essere estranea alla coscienza dei cittadini", conclude la Procacci, "e sia oggetto del giusto e urgente rilievo nel dibattito pubblico" http://www.repubblica.it/ambiente/2015/11/27/news/pericoli_industria_carne-128274534/?ref=HRLV-16
 

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