giovedì 22 ottobre 2015

“Impatto Ambien­tale del Petro­lio, in mare e in terra”

“Io so. Io so i nomi dei respon­sa­bili di quello che può venire chia­mata una pic­cola sto­ria igno­bile. Io so i nomi dei respon­sa­bili che hanno por­tato alla con­danna, presso il Tri­bu­nale di Potenza, a una pena com­ples­siva di nove anni di reclu­sione, e all’interdizione per­pe­tua dai pub­blici uffici, di una docente dell’Università della Basi­li­cata, Albina Colella, accu­sata di con­cus­sione e pecu­lato per fatti avve­nuti tra il 1999 e il 2001, rela­ti­va­mente a un pro­getto di ricerca con fondi euro­pei da lei coor­di­nato. Io so tutti que­sti nomi e so tutti i fatti. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nem­meno indizi. Io so per­ché sono un intel­let­tuale, uno scien­ziato, che cerca di seguire tutto ciò che suc­cede, di cono­scere tutto ciò che se ne scrive, di imma­gi­nare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coor­dina fatti anche lon­tani, che mette insieme i pezzi disor­ga­niz­zati e fram­men­tari di un intero coe­rente qua­dro, che rista­bi­li­sce la logica là dove sem­brano regnare l’arbitrarietà, la fol­lia e il mistero. Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell’istinto del mio mestiere.”
E’ venuto molto facile uti­liz­zare una parte del testo di Pier Paolo Paso­lini, “Io so”, apparso sul Cor­riere della Sera del 1974, per descri­vere quanto sta acca­dendo in que­sta sto­ria del 2015, che riguarda una col­lega con la quale ho avuto sal­tuari rap­porti di lavoro e una reci­proca stima. Albina Colella è una geo­loga, più o meno lo stesso mestiere che faceva mio padre; ed è pro­fes­sore ordi­na­rio di geo­lo­gia presso il Dipar­ti­mento di Scienze dell’Università degli Studi della Basilicata
Da alcuni anni, Albina Colella svolge atti­vità di ricerca e di denun­cia sul pre­oc­cu­pante inqui­na­mento dell’invaso  del Per­tu­sillo, in Val D’Agri, regione Basi­li­cata, in una zona di mas­sima con­cen­tra­zione di pozzi petro­li­feri. Si noti come dall’invaso arti­fi­ciale del Per­tu­sillo venga tratta acqua pota­bile con­su­mata dalla popo­la­zione. Par­lando di una scien­ziata e non un sol­tanto di un’attivista, si riporta in fondo a que­sto arti­colo un esem­pio di un arti­colo scien­ti­fico su rivi­sta inter­na­zio­nale nella quale l’autrice illu­stra le basi scien­ti­fi­che della sua denun­cia ambien­tale. Oltre al libro recen­te­mente pub­bli­cato, “Impatto Ambien­tale del Petro­lio, in mare e in terra”, che si vede in figura ad ini­zio articolo.
Per rias­su­mere – dato che non di Lago del Per­tu­sillo si parla qui, ma di nove anni di car­cere inflitti ad una col­lega — le ana­lisi effet­tuate nel corso delle atti­vità di ricerca della prof. Colella mostrano come l’acqua di quell’invaso sia inqui­nata da idro­car­buri, deri­vanti con ogni pro­ba­bi­lità dall’attività estrat­tiva petrolifera.
Albina Colella è per­tanto una docente uni­ver­si­ta­ria che è stata sem­pre in prima fila nel denun­ciare i gravi inqui­na­menti da idro­car­buri deri­vanti dalle estra­zioni petro­li­fere in Basi­li­cata. Ha rifiu­tato, e di que­sto sono testi­mone, molti inca­ri­chi pre­sti­giosi, e sono anche testi­mone di come si sia oppo­sta a tutti i ten­ta­tivi di met­tere a tacere la vicenda, che è tut­tora in divenire.
Men­tre molti se la aspet­ta­vano fra i Con­su­lenti Tec­nici di una Pro­cura, in un even­tuale pro­cesso a carico della Com­pa­gnie Petro­li­fere, che facesse chia­rezza su que­stioni che, riguar­dando un disa­stro ambien­tale poten­ziale, costi­tui­scono un rischio per la salute degli abi­tanti di Basi­li­cata e Puglia, la vediamo invece sul banco degli impu­tati per una vicenda risa­lente ora­mai ad un quin­di­cen­nio fa. A dire il vero, non sol­tanto impu­tata, ma con­dan­nata – seb­bene sol­tanto in primo grado – ad una pena di ben nove anni di carcere.
Entriamo un poco nel merito, dato che non ci piace adom­brare ingiu­sti­zie sol­tanto col­le­gando eventi appa­ren­te­mente non cor­re­lati. Albina Colella è col­pe­vole, e merita nove anni di car­cere?  Il pro­cesso riguar­dava la mal­ver­sa­zione di fondi euro­pei desti­nati alla ricerca e l’uso impro­prio di un “gom­mone” di pro­prietà dell’Università, desti­nato alle escur­sioni scien­ti­fi­che nel lago.
Il pro­getto di ricerca riguar­dava le risorse idri­che in Val d’Agri, finan­ziato dalla Regione con fondi euro­pei. Secondo l’accusa, la prof. Colella, per ulti­mare il pro­getto che era rima­sto privo di fondi, avrebbe richie­sto ad alcuni ricer­ca­tori di resti­tuire parte dei loro com­pensi -  si parla in tutto di una cifra equi­va­lente a 50.000 euro, in realtà circa cento milioni di lire in totale, dato che i fatti risal­gono a prima dell’avvento dell’euro – in maniera da ria­vere a dispo­si­zione fondi per il pro­sie­guo del pro­getto. Che si è infatti con­cluso, poi, con sod­di­sfa­centi risul­tati, e senza insuc­cessi e resti­tu­zione di fondi all’Unione Euro­pea, come invece capita spesso per pro­getti di quel genere.
Albina Colella non ha inta­scato un euro (anzi, una lira), ma ha – diciamo, sem­pre secondo l’accusa – com­messo l’errore di chie­dere indie­tro dei com­pensi già ero­gati, ai fini della chiu­sura di un pro­getto. Una pro­ce­dura forse non pia­ce­vole per chi si è visto rivol­gere una tale richie­sta e che si poteva – tutto som­mato – evi­tare. Ma sono cose che suc­ce­dono, di restare senza fondi sul più bello e di avere biso­gno ancora di un pic­colo quid. Com­piuta que­sta neces­sa­ria cri­tica, sarebbe inte­res­sante appro­fon­dire in base a quali dedu­zioni – nelle moti­va­zioni della sen­tenza – un tale atto meriti la reclu­sione per cin­que anni. Anni cin­que, ripeto, non vi sono errori di sorta, non si parla di mesi. Cin­que anni.
La que­stione del gom­mone sarebbe quasi il caso di nep­pure men­zio­narla, tanto appare di tra­scu­ra­bile impor­tanza. Ma dob­biamo invece par­larne, per­ché l’accusa ha ipo­tiz­zato che venisse usato dalla pro­fes­so­ressa per motivi per­so­nali e non legati alla ricerca, con­te­stando anche il fatto che la manu­ten­zione del natante avve­niva in Puglia (secondo la Colella in Basi­li­cata non vi erano offi­cine spe­cia­liz­zate in que­sto set­tore). Que­sto vale, sem­pre nella sen­tenza di primo grado, quat­tro anni di reclu­sione. Anni quat­tro, ripe­tiamo anche qui, non vi sono nep­pure sta­volta errori di sorta, non si parla di mesi. Quat­tro anni.
Notiamo appena che il pm, in aula, aveva chie­sto otto anni di reclu­sione, che il giu­dice ha dun­que aumen­tato a nove (cin­que anni per la con­cus­sione e quat­tro per il peculato).
Notiamo che l’avvocato della docente ha dichia­rato che “la sen­tenza non risponde all’esito dell’istruttoria dibat­ti­men­tale” e che “l’impugnazione in appello sarà su ele­menti ogget­tivi che esclu­dono la sus­si­stenza dei reati contestati”.
Notiamo appena che gli avvo­cati della geo­loga hanno chie­sto la ricu­sa­zione del giu­dice che ha emesso la sen­tenza per mani­fe­sta inos­ser­vanza della pro­ce­dura processuale.
Non ci per­met­tiamo di cri­ti­care una sen­tenza della Giu­sti­zia Ita­liana, ovvia­mente. Poniamo sol­tanto dei dati di fatto e delle domande che emer­gono da que­sti dati di fatto.
I dati di fatto sono que­sti. La sup­po­sta col­pe­vo­lezza della prof. Colella appare impu­ta­bile per lo più ad un com­por­ta­mento impro­prio – se vi è stato – atto a rad­driz­zare e ben con­clu­dere le sorti di un pro­getto di ricerca euro­peo. Se vi è col­pe­vo­lezza, la pena appare assai severa, per uti­liz­zare un eufe­mi­smo. La prof. Colella si è, in que­sti anni, resa assai sco­moda per le sue denun­cie riguar­danti l’inquinamento in acque pota­bili della Basi­li­cata dovuto alla pre­senza di atti­vità di estra­zione di idro­car­buri da parte di com­pa­gnie petro­li­fere. Seb­bene lo scri­vente – così come molti altri finora – espri­mano la pro­pria soli­da­rietà ad Albina Colella, e seb­bene si tratti sol­tanto di una sen­tenza di primo grado, appare pro­ba­bile che l’attività sud­detta di denun­cia e di lotta da parte di Albina Colella possa subire una bat­tuta d’arresto, o per­lo­meno che ne venga dan­neg­giata, influendo que­sta sen­tenza, ad occhi super­fi­ciali, sulla sua credibilità.
Que­sti sono i dati di fatto. Le domande, le lascio emer­gere da chi — leg­gendo que­sto spunto — appro­fon­dirà que­sta sto­ria. Io, essendo uno scien­ziato ed un atti­vi­sta, ho tro­vato subito le rispo­ste alle mie domande. Le stesse rispo­ste di Pier Paolo Paso­lini, si parva licet.
L’auspicio, amaro per­ché ci appare quasi super­fluo, è ovvia­mente che Albina Colella possa uscire da que­sta vicenda, negli ulte­riori gradi di giu­di­zio, sca­gio­nata dalle accuse o comun­que non con­dan­nata ad una pena che — sin­ce­ra­mente — atter­ri­sce e costerna.
Nel frat­tempo, anche se so che non ascol­terà que­sto sug­ge­ri­mento, le con­si­glie­rei di occu­parsi di geo­lo­gia lunare, o mar­ziana, o – meglio – di Plu­tone. E lasciar stare il Per­tu­sillo: Albina, amica mia: non è cosa.

Hydro­car­bon con­ta­mi­na­tion in waters and sedi­ments of the Per­tu­sillo fre­sh­wa­ter reser­voir, Val d’Agri, Sou­thern Italy Albina Colella and Maria R. D’Orsogna, Fre­se­nius Envi­ron­men­tal Bul­le­tin (2014) http://ilmanifesto.info/storia/albina-colella-non-e-cosa/PetrolioColella

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